“La danza delle anime” di Alexey Waltz: l’anteprima a Venezia’80 di un film sulla danza

Dopo il Festival del cinema Venezia’80, abbiamo incontrato il regista
cinematografico che, in un modo più unico che raro, porta avanti il cinema com’era agli albori: quello concentrato sulle azioni e gesti in quanto privo di parola.

I film di A. Waltz non sono muti. Sono piuttosto concentrati sulle azioni accompagnate dalla musica. Sono le opere cinematografiche incentrate sulla danza.

Alexey Waltz e il cinema a passi di danza

Alexey, Lei si occupa di coreografia e porta il cognome di Waltz che in più lingue europee significa “walzer”. È un nome d’arte così azzeccato o una fortuna che è diventata la Sua sorte?

Nessuna fortuna della nostra vita è casuale. “Waltz” è il mio vero cognome, in effetti, significa “walzer”. Mi dedico alla danza dall’età di quattro anni. Più tardi mi sono interessato anche alla regia e ho iniziato a fare cinema.

È stato alla Mostra internazionale del cinema Venezia’80. Che film ha portato al Festival e dove si può vederlo?

Quest’anno ho portato a Venezia il mio film “La danza delle anime”. Per ora è soltanto un trailer. Continuo a lavorare sull’opera, è già nella fase di post-produzione. Appena è pronta, l’anno prossimo, la invierò ad alcuni festival internazionali compreso quello veneziano. Spero molto nel successo della pellicola: il lavoro da me svolto lo meriterebbe in tutto e per tutto.

A quali proiezioni ed eventi è riuscito ad assistere alla kermesse veneziana?

Sono stato alla prima del film di Woody Allen,“Coup de chance”, è un’opera di tanta ironia. Non potevo perdermi il film. È stato annunciato che dopo questa fatica il regista si sarebbe allontanato dal cinema per immergersi nella scrittura delle memorie. Ho assistito a un paio di altre proiezioni, una delle quali mi ha altrettanto colpito, e sempre dal punto di vista di un atteggiamento ironico nei confronti della vita. Intendo il film di Pietro Castellitto “Enea”.

Il regista e coreografo Alexey Waltz sul Red Carpet di Venezia’80

Parliamo del Suo percorso artistico. Ha iniziato a fare arte occupandosi di danza e di coreografia. Che danze e in che scuola studiava? Come e dove si esibiva?

Mi occupo di danza da quattro anni di età quando mi hanno iscritto a uno studio di danza. Ero l’unico maschietto del gruppo. Molto presto mi sono fatto notare e ho avuto l’opportunità di esibirmi sui migliori palcoscenici della mia città. Sono nato e cresciuto ad Astrakhan. Quando dovevo scegliermi gli studi professionali, mi sono iscritto alla Scuola regionale della cultura di Astrakhan. Poi mi sono trasferito a Mosca e mi sono iscritto all’Università di stato per la cultura. Ho iniziato a lavorare nei musical e show di danza. Ben presto mi sono reso conto che le conoscenze nella sola danza non mi erano sufficienti e mi sono avviato a girare videoclip sulla danza. Tutto ciò si è via via trasformato nel film “Face of Love” selezionato prima per la categoria “Un certain regard” del Festival di Cannes e poi di “Selected Films” del Festival di Venezia.

La coreografia è per Lei una necessità o una scelta consapevole? Che vette ha raggiunto come danzatore, maestro di ballo e coreografo?

Ero fra coloro che hanno messo in scena lo show di Eurovisione tenutosi inRussia. Ho lavorato con tutte le star dello showbiz russo. Mi sono esibito tantissimo anche in Cina. Come danzatore professionista ho preso parte al musical francese “Romeo e Giulietta” messo in scena da Mahmoud Reda. Come maestro di ballo, ho messo in scena sette musical a Mosca: “Lukomorie”, Biancaneve e i sette nani”,I musicisti di Brema”, “L’isola del tesoro”. Mi piace parecchio il genere del musical, ci vorrei lavorare. Intendo creare i miei show d’autore, ho tante idee da realizzare. Secondo me, è ancor troppo presto per parlare dei risultati da me raggiunti. Fin qui ho fatto solo dei passi a salire su una grande scala. È
solo una minima parte di quel potenziale che devo usare per dire la mia parola nell’arte.

Che cosa è la musica per Lei come coreografo e regista di opere di danza? Come lavora sulle immagini che Le vengono all’ascolto di brani musicali?

La musica fa parte integrante del mio lavoro. Certamente, adoro la musica classica, il blues, il jazz. Ascolto questi generi sui dischi in vinile, mi ispirano. Quando, invece, arriva il momento per scegliere le musiche per i miei film, mi rivolgo ad alcuni autori. Come Masala Band Quartet. La mia collaborazione con gruppi musicali è partita proprio da loro. Hanno composto brani per il mio primo film e anche per “Golden Fish” – opera in
cui, per mezzo di una favola, si parla di un amore moderno: di quanto può essere sia sincero sia distruttivo. La musica è il violino dell’animo umano che rivela il mondo interiore di un film e di un’opera artistica in genere.

Come Le e venuta l’idea di girare i Suoi film? Qual è la Sua prima esperienza registica al cinema? È, per caso, “Otello” che pare allo spettatore un frammento di un Suo spettacolo di danza tratto dal
celebre dramma shakespeariano?

È stata la produttrice Marina Ravier a propormi di girare la mia opera prima. Marina rappresentava la società cipriota “MariFilmas Group” che viaggia per il mondo in cerca di talenti e dà loro opportunità. Ho avuto la fortuna di poter realizzare il mio primo film, “Face of Love”, e di inviarlo a Venezia nel 2019. Da allora sono stato preso dal vortice del cinema, mi sono interessato ai festival più grandi come Berlino, Cannes, Venezia. Mi sono reso conto che ho un mio messaggio da comunicare al mondo. Perciò , continuo a creare il mio cinema corto, ma mi dedico anche a un lungometraggio. Il mio debutto nella categoria lungometraggi sarà con il film “La danza delle anime” che ho presentato e pubblicizzato a Venezia
quest’anno. Spero che il mondo lo veda nel 2024. Mentre “Otello” era un
frammento di uno show di danza con cui ci eravamo esibiti al Campionato internazionale di show danzanti negli USA. Abbiamo preso il Grand Prix, ed è nata l’idea di immortalare la danza riprendendola in video. Ridurre la storia di Otello e di Desdemona a tre minuti di
durata non è stato facile, ma mi sono posto il supercompito di narrare allo spettatore le dinamiche delle passioni dei personaggi,
e, a mio avviso, questo obbiettivo è stato da me raggiunto.

Alexey Waltz al Festival del cinema di Venezia, settembre 2023 

Ci parli del progetto cinematografico “Great Reboot”. Che titolo avrebbe questo film in italiano?

“Great Reboot” si traduce in italiano come “una grande ricarica energetica”. Ho realizzato questo corto al termine della pandemia. In questo film racconto l’atteggiamento che hanno i creativi nei
confronti della pandemia. L’arte si è ridimensionata, le persone non
lavoravano, avevano fame. L’opera narra l’addio alla pandemia: per lasciar andare qualcosa in sé stessi, bisogna prima riconoscerlo in sé e poi sbarazzarsene (nel corto – bruciando). Solo dopo aver abbandonato il passato, entriamo nel presente. Attraverso questo film, ho
cercato di lasciar andare tutto il passato che si è accumulato in me. La musica è stata composta in base a due brani universalmente conosciuti: Jingle Bells e marcia funebre. Tutto ciò è stato fatto in uno spirito sarcastico. Mi piacciono molto i film sarcastici. Tuttavia, vorrei che la
gente capisse: dobbiamo ringraziare l’anno pandemico di essere diventati più forti e più efficienti. Bisogna sempre ringraziare la vita perché niente in essa accade per caso.

La visione del Suo lavoro “Face of Love” fa pensare al cinema muto, Charley Chaplin e Woody Allen. Ha avuto anche altre fonti di ispirazione? Come definirebbe il genere di questo cortometraggio?

L’amore conosce diverse fasi. Ho raccontato nel corto esattamente le fasi
di un amore (tradimento, solitudine, riconoscimento di sé, amore grazie al quale doniamo gioia a chi ci circonda). Mi fa molto piacere venir paragonato a tali personalità esemplari del cinema mondiale. Alla visione dei loro film, le loro esperienze si depositano sulla nostra corteccia e non si fanno mai più dimenticare. Ma, lavorando su questo mio film, mi sono lasciato guidare dalle emozioni. Per farle provare anche dagli spettatori. Perché, pur senza parole, potessero immergersi in sé stessi e
conoscere sé stessi. Perché trovassero nel profondo dell’anima ciò che si deve sempre custodire – l’amore.

Qual è il Suo atteggiamento nei confronti del cinema muto?

Per me è un genere difficile e unico attraverso il quale si può fare osservare allo spettatore ciò che accade senza ricorrere ai mezzi linguistici. Il cinema muto crea l’aura, l’atmosfera. Farsi capire dal pubblico, fargli intendere il senso del film e la fatica fatta per arrivare
alla comprensione e all’intesa è, a mio avviso, uno dei supercompiti del cinema globale. Raggiungere tali obiettivi nel cinema non è, certamente, da tutti. Più parole contiene un film, più possibilità ci sono per gli autori di nascondersi dietro a esse. Mentre i gesti, le emozioni, gli sguardi dipendono solo dalla professionalità degli attori. Il cinema muto è un genere serio e profondissimo, genere che adoro.

Ci racconti del film “Shakespeare’s Ecology”. Come è nata l’idea dell’opera? A che punto è la lavorazione del film?
Che genere di opera sarà?

“L’ecologia di Shakespeare” è ancora in produzione. Ultimamente le riprese sono state sospese per il trasferimento in un altro paese della protagonista principale. Com’è nata l’idea? Stavo facendo un
progetto teatrale sull’ecologia. Mi sono dovuto immergere nei problemi ecologici del nostro pianeta. Volevo esprimere tutto ciò attraverso la danza. All’improvviso, quando il progetto era già ultimato, ricevo una lettera dal Festival di Cannes sull’esistenza di una raccolta
fondi che l’organizzazione del festival destina all”ecologia. Mi sono ricordato che anche noi avevamo società locali che contribuivano nella protezione dell’ambiente. Per quanto riguarda Shakespeare, amo molto e cito spesso le sue opere nei miei lavori. Così mi è nata l’idea di raccontare per mezzo di Shakespeare la storia dell’ecologia. Tutti i problemi sono ciclici, soprattutto, quelli globali. Anche nei tempi di Shakespeare
c’era l’ecologia dell’anima umana. Attraverso le citazioni di Shakespeare ho deciso di trasmettere il mondo interiore che creiamo come persone e il mondo interiore del futuro ovvero del patrimonio
che lasciamo nel mondo dopo di noi.

Sembra che Lei abbia trovato il proprio stile originale nel cinema. Che cosa vorrebbe di più adesso – continuarequesto percorso oppure ottenere riconoscimenti in un cinema più classico e più main stream che usa attori piuttosto che danzatori e si appoggia alla parola come mezzo espressivo principale? Potrebbe un giorno lavorare con attori non danzatori?

Sì. È uscito il mio film “Golden Fish” in cui lavoro con attori professionisti che non sono danzatori. E un’opera in lingua inglese tratta da una favola russa su un pesce dorato. Le risponderò così. Per me il cinema è un mezzo di trasmissione delle mie conoscenze, esperienze e anche della mia coscienza. Il tempo ci farà vedere come sarà il percorso
dell’arte cinematografica. Vorrei poter lavorare con attori del cinema mondiali quali il giovane Timothee Chalamet, Leonardo Di Caprio , Meryl Streep: sono convinto che loro, con la loro specifica esperienza e maestria, sappiano creare qualcosa di unico e di straordinario. Sarà solo il tempo a dire se i miei lavori verranno molto richiesti o saranno dimenticati, se saranno percepiti come classici o meno. Sarà il tempo a definire lo stile delle mie opere. Ma io faccio quel che amo. Ogni professionista ha sempre qualcosa da dire. Quando un attore si dovrà misurare con un supercompito a lui del tutto nuovo, egli scoprirà qualcosa di insolito in sé e nell’arte. Ciò è già successo agli attori che rivelavano al mondo le proprie doti vocali. Ciò avverrà anche quando
avranno il supercompito legato alla danza. L’unione di tutte e tre componenti potrebbe apportare al cinema una nuova bellezza… La ringrazio delle domande interessanti, sono state di mio gradimento.

Alexey, la Redazione di Q Cultura La ringrazia di questo excursus nel mondo del cinema legato alla danza. Auguriamo a Lei ulteriori successi artistici e – ai nostri lettori – di conoscere la Sua opera così originale.

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