Purtroppo la nostra società presenta ancora stigmi e pregiudizi che fungono da vere e proprie barriere mentali difficili da radere al suolo. Quando si parla di salute mentale, il subitaneo accostamento -altamente errato- che la mente ci propone è l’ambiente ormai diventato mitologico del manicomio. Ma trattare i disturbi mentali è quanto mai importante, dopo l’evidente crisi che gli anni di pandemia hanno portato. Occorre sensibilizzare e scuotere le coscienze, informarle sui benefici delle terapie e domare quella paura che ci è insita per l’inconscio. Tutto ciò lo fa un coraggioso esordio, La vertigine del tutto di Valentina Di Ludovico, edito da Augh edizioni. Grazie alla sua preparazione come riabilitatrice psichiatrica, Valentina ci conduce per mano a conoscere la storia di Manuela, una bambina che assiste all’arresto del padre malavitoso. Una volta cresciuta e scappata dalla sua terra d’origine, l’Abruzzo, Manuela però non riesce a far pace con quell’avvenimento, e cade in una spirale di ansia e angoscia patologica che le provocano seri problemi sociali e professionali. Riuscirà a sconfiggere i suoi demoni interiori? Chi l’aiuterà? Parliamone insieme con l’autrice Valentina.
Da operatrice di riabilitazione psichiatrica, quanto dei tuoi studi e delle tue esperienze lavorative hai inserito nel romanzo e nella costruzione di Manuela, la protagonista?
Tanto, La vertigine del tutto si pone proprio come ponte tra una storia di vita e il concetto di salute mentale. Molte, troppe persone che soffrono di problematiche inerenti alla psiche si nascondono, minimizzano o non riconoscono di avere un problema. Quindi ho voluto attraverso questo romanzo dire a quelle persone che non sono sole e che è possibile intraprendere percorsi di cura volti al benessere e al miglioramento della propria qualità di vita.

Manuela e l’ansia patologica: come si manifesta questo disturbo di salute mentale e quanto può debilitare nel condurre una vita sociale e professionale?
Il disturbo d’ansia nella protagonista si traduce nella paura di non saper gestire al meglio eventi e relazioni portandola a evitare contatti, luoghi affollati e mezzi di trasporto. Manuela vive costantemente in una bolla insonorizzata che lei minimizza cercando di portare avanti una vita limitante e frustrante. La sua ansia patologica le comporta problemi di sonno, pensieri catastrofici ricorrenti, agitazione e la sensazione di essere schiacciati dagli eventi. Tutto questo comporta un vivere precario tramite una presenza della paura costante.
Cosa rappresenta il personaggio di Nano per Manuela?
Nano possiamo definirlo come un Alter ego, la parte sana che ci sprona a vedere quello che è offuscato dalla nostra mente. Nano cerca di aiutare Manuela a riconoscere la sua ansia, a definirla e a canalizzarla verso un processo di cambiamento e di rinascita. Il suo ruolo è a volte fastidioso per la protagonista perché essere messi davanti all’evidenza elicita in Manuela sentimenti di impotenza e conflitti interiori ad alta intensità.
Questo romanzo tocca anche il tema delle dipendenze: che rapporto ha Manuela con l’alcol?
Manuela ha un rapporto disfunzionale con l’alcol. L’alcol, nel caso specifico della protagonista, la vodka, fa da “spinta” per affrontare le situazioni temute. Il ricorrere all’alcol per Manuela diventa una spirale del “Tutto e subito” che temporaneamente sembra aiutarla a relazionarsi e a gestire alcune situazioni ma che in realtà la spinge sempre di più verso il basso e aumenta paradossalmente i suoi stati di ansia e depressione.
Attacchi di panico, alcol e depressione diventano un connubio per far perdere il controllo della propria vita e aumentare la sofferenza emotiva.

Lo stigma di assumere psicofarmaci: perché è importante seguire la prescrizione medica e come possono aiutare a gestire i disturbi di salute mentale?
L’aderenza farmacologica è il primo passo verso il benessere e la salute mentale. Purtroppo, ancor oggi siamo influenzati dalla cultura manicomiale e dalle vecchie terapie. Siamo quindi più propensi a prendere una terapia a vita per una malattia fisica e rifiutiamo il concetto che anche la terapia psicofarmacologica insieme alle terapie riabilitative e psicologiche siano fondamentali per una stabilità mentale a lungo termine.
Manuela ha anche qui un rapporto conflittuale con gli psicofarmaci che assume insieme all’alcol e, a volte, ne abusa per poter sedare la frustrazione interna. Il pensiero della protagonista verso il farmaco è anch’esso un concetto legato al “tutto e subito”.
Due sono i suoi assunti di base:
Ho l’ansia e voglio toglierla subito.
Più aumento la dose e più non sentirò questo stato di agitazione.
Questi pensieri disfunzionali porteranno la protagonista a non fidarsi delle prescrizioni mediche e a non essere costante nelle cure fino a dover richiedere un ricovero.
Cosa sono le cliniche di riabilitazione psichiatrica e quali sono le figure professionali che vi lavorano per aiutare i pazienti?
Le cliniche di riabilitazione psichiatrica sono strutture specializzate in percorsi terapeutico-riabilitativi rivolti alla persona e non alla malattia.
Con questo voglio dire che tutti i progetti terapeutico riabilitativi pongono al centro la persona, la sua motivazione e la sua capacità di scegliere al fine di migliorare la propria qualità di vita e di potenziare le risorse del singolo. L’obiettivo non è avere una vita perfetta ma è riuscire a raggiungere il miglior equilibrio possibile per una vita soddisfacente per la persona.
Nel romanzo non solo Manuela vivrà questo percorso terapeutico riabilitativo sulla propria pelle ma incontrerà anche diverse figure professionali: lo psichiatra, lo psicologo, il riabilitatore psichiatrico, l’infermiere, l’educatore e l’oss.

La malattia mentale è ereditaria? Parlaci del collegamento tra Matilde, zia di Manuela, e la protagonista stessa.
Spesso la malattia mentale insorge in una persona che presenta una vulnerabilità e quindi una predisposizione a tale problematica. Ciò però non vuol dire che, se c’è una predisposizione, sicuramente si avrà un esordio della malattia ma significa che c’è più probabilità di svilupparla rispetto alla media della popolazione. Su questo concetto viene costruito il rapporto fra Matilde e Manuela dove la prima ha il ruolo della “pazza” ricoverata in un ospedale psichiatrico e da cui la protagonista vuole prendere le distanze. In realtà nel romanzo Matilde e Manuela vivranno una vita parallela di accettazione dove la figura dell’una servirà all’altra per superare il terrore della pazzia e ricongiungersi in un unico percorso di rinascita.
Il libro tratta anche il rapporto tra genitori e figli: che relazione ha Manuela con il padre e come si differenzia da quella che intrattiene invece con la madre?
La seconda paura di Manuela è quella di essere una delinquente come il padre. Umberto Turati è un padre latitante, che ha creato una voragine nella vita della protagonista con la sua incostanza e la sua assenza. Quindi la paura dell’abbandono e del giudizio sono tematiche insite nella protagonista e sviscerate nel romanzo per sottolineare quanto la mancanza di punti di riferimento e di “abbracci” possano diventare fardelli ingombranti nella vita di una persona. Manuela diventa quindi inquieta nel vivere una vita ideale fatta di illusioni che la proteggono dall’assenza del padre e la distanziano dall’amore della madre.

Il romanzo ha una valenza sociale: come si può sensibilizzare alla salute mentale e distruggere i pregiudizi che ancora esistono sull’argomento?
Credo che in questo le istituzioni abbiano un ruolo cruciale di sensibilizzazione, informazione e prevenzione. Sottolineando quanto la salute mentale deve essere un diritto universale a cui tutti devono avere la possibilità di accedervi a prescindere dalla gravità e dal ceto sociale in un’ottica di inclusione e integrazione (OMS. Organizzazione mondiale della salute). Ognuno può fare la propria parte. Solo così si possono superare i retaggi culturali e costruire basi solide per un futuro volto al benessere.
Grazie a Valentina Di Ludovico.
Brava, da distribuire nei vari ospedali ai tuoi colleghi in quanto li trovo molto impreparati. Ho avuto da tempo dei disturbi, ho cercato di mia iniziativa dal momento che mi accorgevo del mio disorientamento, la memoria peggiorava ed infine quando sopravvenne la neuropatia mi accorsi che la mia grafia aveva preso altra forma. Lasciai il professore che mi curava continuando la cura che malyl volleri tollerav per gli effetti devastanti in seguito mi sono fatta seguire da un psicologo per più di un anno che lasciai in quanto proveniva da una scuola con metodi non più usati da tempo.Io avevo voglia e ho voglia di colloqui diretti, schietti per poter scrollare il malessere interiore…cmq nesuno mi ha soddisfatto ; le mie esigenze, le lacune sono rimaste e al mio malessere primario sopraggiungere molti sbagli da parte di chi mi seguiva, ho subito un innesto di pacemaker, perché, forse, i disturbi provenivano dal mal funzionamento del cuore, così veniva detto dai medici. Ho trascorso sei mesi con del liquido formatosi al pacemaker e la paura di tutti di un rigetto. Ho superato anche questo con molta fatica. Allora si pensò che dal momento che mi veniva a mancare lammemoria e svenivo senza alcun motivo sarebbe stato meglio aumentare le dosi per l’epilessia. Il tempo della mia giovinezza trascorreva tra medici e medicine… non riuscivo a riprendere la mia vita. Mi confidavo con la moglie di un neurologo, coinquilina , il marito opera al cervello in uno dei due ospedali eccellenti di Verona, mi indicò un professore…finisco qui la storia perché peggio di come mi è andata non poteva andare. Mi sono dimessa dall’ospedale,mi fecero firmare …poi mi dissi: sono forte se non sono morta non morirò più. Invece la sorte mi fece un’altro regalo: un tumore. Scusami se mi sono sfogata ne avevo bisogno perché i guai non finiscono mai. Durante quel duro periodo mio marito muore per una leucemia fulminante .A volte non serve dire devi essere tu ad aiutarti e rialzarti quando cadi…Adesso che sono a casa minacciata a non uscire perché le ultime due crisi mi hanno fatto rompere il femore sinistro e nell’ultima ho battuto la testa, ho perso tanto sangue da dover fare cinque trasfusioni.
Mi sento una persona normale, forse non avrò un pizzico di fortuna, sogno la casa che ho lasciato fatta con sacrificio dove ogni oggetto rispecchiava il nostro gusto, mi sono dovuta trasferire in un paese del nord dove vi abita uno dei miei figli, dove sembra che ci sia sempre un freddo permanente, piatto. Dopo quattro anni di permanenza nei luoghi conosco solo i cigni e nutrie che girano nel canale…è la che lanvita continua…come?…