Paolo Battistel, docente universitario e scrittore di origini torinesi, è laureato in filosofia e si è in seguito specializzato nello studio del mito e del folklore. Nel suo curriculum figurano numerose collaborazioni con testate giornalistiche e trasmissioni televisive sui canali Mediaset, tra cui Mistero, e su emittenti locali. Tra le sue molte pubblicazioni, ricordiamo i saggi di storia e mitologia Il sangue di Caino, I figli di Lucifero e Il dio cornuto; e sullo studio della fiaba La vera origine delle fiabe. Gli ultimi frammenti di un mondo perduto, divenuto un bestseller. Il suo ultimo volume, L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari, edito da Oligo Editore, è in libreria dal 16 giugno. In questo saggio, l’autore indaga la figura femminile, che nelle fiabe è spesso protagonista indiscussa, a partire dalle vesti di una virginea principessa come Rosaspina e di una bambina coraggiosa come Gretel, ma anche antagonista, come nel caso della matrigna di Biancaneve. E il principe azzurro? Un’invenzione “stucchevole, che non appartiene alla fiaba autentica”.
Ne abbiamo parlato insieme.
Lo studioso esamina nel suo ultimo libro la figura della donna nelle fiabe della tradizione, tra censure figlie del proprio tempo e “versioni edulcorate”.
Paolo, molte grazie per averci concesso questa intervista. Raccontaci, da dove nasce l’idea di un saggio sulle figure femminili nella fiaba?
Fin dalla più tenera infanzia ho amato le fiabe e il loro “magico” potere di trascinarci, attraverso le portentose parole “C’era una volta…”, in mondi meravigliosi e terribili celati nei recessi archetipici dell’essere umano. Seguendo il sentiero delle fiabe prima da semplice lettore e in seguito da studioso, risulta immediatamente evidente che le donne rappresentino un elemento centrale nel genere letterario della fiaba. In primo luogo, come raccoglitrici e narratrici di storie, sono state (per secoli) potremo dire i principali “mezzi” attraverso cui le fiabe sono sopravvissute e si sono propagate nel tempo. Queste donne sono spesso le “fonti” a cui attingono i vari letterati, filologi ed etnologi nel loro arduo compito di mettere su carta le fiabe folkloriche. Anche tra simili letterati ci sono tuttavia da annoverate numerose donne che hanno trascritto e rielaborato la fiaba. Si va dalla francese Madame d’Aulnoy fino all’italiana Gonzenbach. Tuttavia, per quanto il ruolo del femminile nella fiaba, visto da questa direzione, ricopra un’indubbia centralità, la sua importanza è destinata a crescere verticalmente se lo osserviamo attraverso le fiabe stesse. Ci rendiamo conto immediatamente che sono proprio loro le protagoniste indiscusse di alcune delle fiabe più note. Dalle vergini innocenti come Cenerentola o Rosaspina fino a oscure divinità del bosco come Trude o la strega di Hänsel e Gretel, queste figure ci hanno incantato e terrorizzato plasmando (e risvegliando) il nostro immaginario.

Ha senso “riscrivere le fiabe” in base alle modifiche della società, magari seguendo il “politically correct”?
Da quando la fiaba è stata messa su carta (in verità ancora prima di quel fatale momento), questa forma letteraria ha subito costantemente l’ottusa censura del suo tempo. La fiaba è un racconto sacro e iniziatico che ha radici antiche e arcaiche – proprie del lontano paganesimo che l’ha generata – e, dalle corti francesi, attraverso la borghesia tedesca, fino agli zuccherosi film della Disney, ha subito innumerevoli censure nella forma narrativa, nei personaggi, negli elementi sessuali e sanguinari fino a diventare un ottuso racconto pieno di invidie e lustrini dorati che la società del tempo trovava “inoffensivo” o che serviva a uno specifico “uso educativo”. La fiaba, quella vera e arcaica, non ha bisogno di censure, ha bisogni di essere “compresa” nel suo dirompente significato autentico. Solo allora, di fronte alla vera fiaba, si potrà svelare alla modernità delle storie meravigliose e terribili e un affresco di personaggi dinamici e intrepidi, come le donne che prima della censura e dell’addomesticamento moralistico erano nelle fiabe figure impavide e coraggiose, che combattono fino all’ultimo istante di vita per coloro che amavano o per raggiungere i loro desideri. Gli stucchevoli principi azzurri non sono mai esistiti nella fiaba autentica. Solo nel percorso inverso alla censura il significato autentico della fiaba potrà finalmente esserci svelato.

La figura della matrigna è spesso “cattiva” e ricorrente nelle fiabe. Perché?
Come ho ampiamente spiegato nel mio testo precedente La vera origine delle fiabe. Gli ultimi frammenti di un mondo perduto, la grande diffusione della figura della matrigna nelle fiabe si origina nel pieno Ottocento quando il mercato della cultura si trova principalmente nelle mani della neonata borghesia. Gli stessi Grimm che escono nel 1812 con la loro prima edizione di Kinder- und Hausmärchen (Le fiabe del focolare) si trovano costretti (per il moralismo dell’epoca) a modificare in corsa il loro progetto filologico/letterario censurando la maggior parte di madri malvagie e oscure generando la piatta (e onnipervasiva) figura letteraria della matrigna che nel nuovo tessuto letterario della fiaba diventa il capro espiatorio di ogni male. Le madri (amorevoli) svaniscono con delle morti precoci e il padre diventa alla merce “dell’oscura” matrigna che si trova a “odiare” la protagonista per motivi spesso piuttosto venali e poco legati al senso autentico della fiaba. È l’inizio della banalizzazione della fiaba. Il terrore senza nome che ci suscita l’antica storia di Biancaneve, dove una bambina di sette anni viene vessata dalla sua stessa madre, desiderosa di alimentarsi del fegato e dei polmoni della figlia (non è mai esistito in nessuna versione un riferimento al cuore), non può in nessun modo paragonarsi allo zuccheroso e piatto mondo della matrigna che perseguita la giovane figliastra per un’artefatta guerra di bellezza. La nuova fiaba edulcorata non “spaventa” più i bambini, ma perde la sua meravigliosa capacità di rappresentare l’uomo fino alle sue radici più profonde.

Quali sono la protagonista e l’antagonista femminile che più ti hanno colpito?
Come ho rivelato in numerose occasioni, la mia fiaba preferita, quella attraverso cui si è dischiuso il mio amore per le fiabe, è senza dubbio Hänsel e Gretel. In questa storia, terrorizzante nella sua stupenda bellezza, troviamo la perfetta complementarità tra il maschile e il femminile proprio in questa coppia di fratelli abbandonati dal mondo e dai loro stessi genitori, il cui legame inossidabile fa pensare alla coppia dei gemelli originari del mito. Nella seconda parte del racconto, Gretel protegge l’amato fratello dagli oscuri stratagemmi della strega e, in questo confronto apparentemente impari, si possono scorgere due volti meravigliosi del femminile nella fiaba, da un lato la vergine innocente che con coraggio, e tenacia, si appresta a diventare donna e dall’altro l’oscura dea della foresta, negromantica e oscura, che terrorizza fin dentro l’anima di coloro che solo sentono il suo nome arcaico. Due volti meravigliosi e immortali del femminile nella loro eterna e ciclica lotta, la luna nascente da un lato e quella nera dall’altro si scontrano eternamente (nel mito come in questa fiaba) ma soltanto nel punto di reciproca comprensione è possibile la vittoria della giovane e l’instaurazione del nuovo ciclo, in modo tale che la vita possa continuare. Quindi Gretel e la cosiddetta strega della casetta di marzapane sono le due figure femminili che ho più amato.