Cristina Zaia è una It specialist con la devota passione per la scrittura. Corsista alla Scuola Holden, nel 2022 è uscito il suo primo romanzo Ultima chiamata Bangkok per i tipi di Castelvecchi editore.
Il libro si incentra sulla vita di Carlo, cinquantenne di Torino, il quale si divide tra la relazione ormai consumata con la moglie e quella con un’altra donna. Stanco ormai della monotonia della sua quotidianità decide di partire per un viaggio, completamente da solo, alla scoperta della Thailandia. Con l’alternanza di capitoli che parlano del suo presente e quelli in cui conversa tramite lettera con la madre, Carlo nel viaggio incontra persone e vive esperienze che gli rivelano parti di sé rimaste fino ad allora inesplorate. Che cos’è l’amore e la leggerezza? Dove si trova una relazione semplice e genuina?
Ma andiamo a parlarne meglio con la scrittrice.
Ultima chiamata Bangkok ci parla del viaggio di Carlo, il protagonista, in Thailandia. Perché hai scelto proprio questo luogo? Ci sono motivazioni autobiografiche? Viaggiare è anche una tua passione?
Ho scelto la Thailandia perché è un luogo che conosco, è una delle mete dei miei tantissimi viaggi. Come New York e l’Africa, e come Torino che è la mia città.
Non ci sono motivazioni autobiografiche se non l’aderenza dell’esperienza del protagonista del mio romanzo alla mia: siamo andati, uno nella fiction e l’altra nella propria realtà, in Thailandia da soli.
Si, viaggiare è una passione, ma più che altro, per me, un bisogno di esperienza.

Il viaggio come metafora di comprensione di sé. Cosa deve capire Carlo di sé stesso? A che punto approda?
Viaggiare (che sia in sé stessi o fisicamente verso mete tangibili) è un percorso. Per me l’obiettivo non coincide mai col punto di arrivo ma con lo sperimentare sé stessi nel percorso, negli inciampi, negli incontri. Credo che sia anche questo un modo per comprendersi, scoprirsi, migliorare la relazione con sé stessi e col mondo. Carlo scopre di sé possibilità che, prima di tutte le esperienze narrate nel libro, non riusciva a guardare. Approda in un luogo dove indossa finalmente “nuovi occhiali” per guardarsi, guardare e vedersi, e finalmente riesce ad “abitarsi” e a “farsi abitare” da un altro essere umano eliminando in parte sovrastrutture interiori.
La Thailandia diventa la terra di atmosfere fluide. Qual è la tua concezione della fluidità di genere?
La fluidità di genere, ma anche la fluidità in generale in ogni contesto, significa sapere guardare da tanti punti di vista. Condividere mille possibilità in più che non si trovano negli stereotipi sociali, ancora presenti. La normalità… non esiste, se non quella “soggettiva”.
Sento parlare di “tolleranza” e “accettazione” in generale. Le vedo come “dinamiche di potere” e mi chiedo sempre: che autorità ho io di accettare o tollerare un altro essere umano? La risposta per me è che nella vita vale tutto per cui è una questione di “condivisone”, di rapporti orizzontali e non verticali.

Questo esordio contiene la storia di un amore libero. Come concepisci, da scrittrice e da persona, l’amore romantico e l’idea di relazione?
L’amore romantico non lo concepisco. Mi respinge il melenso, i ruoli predefiniti nelle relazioni, gli stereotipi. Le principesse e i principi azzurri mi puzzano di fregatura da sempre. L’essere una metà della mela (o del cielo) pure: ognuno di noi è tutta la mela e tutto il cielo, così anche siamo bicchieri tutti pieni e non mezzi.
Credo che una relazione sia dialogo e scoperta. Crescita personale. Condivisione della propria “singolarità”. Penso sia necessario approdare in relazioni quando siamo un po’ risolti e sappiamo stare con noi stessi, e con una certa solitudine scelta. Altrimenti il rischio è generare relazioni di dipendenza, di vuoto, di bisogni e mai di dono di sé, condivisone di sé. Semplicemente, in ogni contesto, per condividere bisogna aver qualcosa da “dare”, vedo invece relazioni nelle quali le persone cercano esclusivamente qualcosa da “prendere” per colmare le proprie mancanze, interiori e materiali.
Nel libro si parla di dolore e infelicità, di assenze, di vuoti da colmare. Qual è la genesi di Carlo, il protagonista?
La genesi di Carlo è quella di qualsiasi altro essere umano: impara dall’infanzia, dai genitori, da fatti o sensazioni che da piccoli assorbiamo inconsapevolmente e poi, se abbiamo o cerchiamo gli strumenti, sappiamo tradurre in modo consapevole. Ogni sfumatura, ogni colore, della quotidianità ha una conseguenza diversa su ogni essere umano. Per Carlo alcuni fatti hanno creato delle domande alle quali, nel romanzo, cerca risposte nonostante il dolore oppure soprattutto grazie a quella sofferenza.

Struggenti sono i capitoli rivolti alla madre. Che rapporto ha Carlo con la figura femminile che gli ha dato la vita?
Si, i capitoli delle lettere alla madre sono quelli in cui Carlo svela sé stesso, il suo passato, il suo presente e una certa sua idea di futuro nel quale finalmente apre la sua cassetta degli attrezzi interiore e imparar a usare meglio ogni arnese virtuale.
Il rapporto con la figura femminile è descritto nel romanzo e nelle lettere. In parte, alcune di queste, danno una risposta ai comportamenti di Carlo, alle sue mancanze, alle sue fatiche, alla sua ricerca di serenità e autostima.
Scopre che la prima, e più importante, “esperienza” della sua vita è proprio “il bisogno di esperienza”.
Grazie a Cristina Zaia.