Nata e cresciuta immersa nella creatività e nell’immaginazione, Silvia Clo Di Gregorio inizia prestissimo a presentare al pubblico il proprio sguardo, il suo immaginario, attraverso fotografie scattate con la sua analogica.
Dopo la laurea in Arti e Scienze dello spettacolo inizia subito a lavorare all’interno di festival cinematografici come Pesaro Film Fest e Fiuggi Film Fest, proseguendo successivamente gli studi a Berlino in Filmmaking alla Btk University e a Milano in Cinematografia Avanzata alla Nativa.
Silvia Clo Di Gregorio è una degli esempi di giovanə creativə che arricchiscono con i loro immaginari il panorama audiovisivo italiano, ma di cui forse troppo raramente sentiamo parlare.
Silvia è una storyteller e questo, come dice lei stessa, è un elemento che non ha mai abbandonato, nemmeno nei videoclip musicali dove la narrazione, la storia, assume un ruolo fondamentale. Ma non è l’unico elemento. Nascendo come direttrice della fotografia, anche l’immagine, l’estetica, assumono ruoli cardini nella sua narrazione, insieme alle rappresentazioni femminili e della comunità queer che contraddistinguono le sue storie.
Ho avuto l’occasione di conoscere Silvia Clo Di Gregorio, di parlare dei suoi progetti (come regista e DOP) dai videoclip musicali di artisti come Pinguini Tattici Nucleari, LOGO, Frah Quintale e Giorgio Poi, agli spot promozionali come Patto per il lavoro e per il clima realizzato per Regione Emilia Romagna, fino alla serie TV su Prime Video Love Club.
Con Silvia abbiamo però parlato anche delle difficoltà del settore, dei progetti realizzati da artistə emergenti che spesso rimangono relegati all’interno di bolle, spazi grigi lontani dalle tradizionali forme di distribuzione e fruizione. Abbiamo parlato dell’importanza della rappresentazione, fuori e dentro lo schermo.
“L’Italia non è un paese per giovani”, quante volte lo sentiamo dire in relazione alle poche opportunità che vengono riservate alle nuove generazioni. Forse non è del tutto sbagliato. Ma l’Italia è anche un paese di giovani. Ciò che è necessario fare, è dare spazio a queste voci ed ascoltarle.
Ciao Silvia, raccontaci chi sei e dove è nata la tua passione per l’audiovisivo.
Mi chiamo Silvia Clo Di Gregorio, sono nata sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, a Verbania, da genitori emiliani e siciliani, entrambi emigrati al nord. Nella mia famiglia si è sempre usato l’ingrediente dell’immaginazione, delle storie narrate, alla Big Fish per intenderci. La creatività è sempre stata presente nella nostra casa: nella musica, nei libri, nei mondi immaginari, nei viaggi. E le fotografie e i video erano un mezzo espressivo di tutto questo.

Hai iniziato con i videoclip musicali. È stata la passione per la musica a spingerti verso questa strada?
La musica è sempre stata una passione familiare, in casa c’era musica da ascoltare, ballare e poi c’era mia sorella Giulia, musicista e cantautrice, che suonava in tante band e che ora ha il suo progetto, LOGO.
Ma iniziare con i videoclip musicali è stata più una questione produttiva-autoriale. I videoclip con cui ho iniziato, sono stati tutti autoprodotti, non necessitavano di budget sproporzionati, si poteva lavorare creativamente sperimentando nuovi linguaggi, immagini, idee con attori non professionisti: insomma erano indie dall’inizio alla fine. E seguivano anche un filone musicale che in quegli anni nasceva tra le etichette indipendenti. Ti faccio tre esempi a caso, da Irene dei Pinguini Tattini Nucleari del 2017, a Resistenza di Fulminacci del 2019 o a Rompompom di Logo del 2020.

Il tuo obiettivo è però il cinema. Hai diretto un cortometraggio intitolato Pollo all’ananas ’98. Vuoi parlarcene?
Ho sempre orientato il mio sguardo verso la narrazione, anche all’interno dei videoclip si può vedere questa tendenza nel ricreare storie. Nel 2020 ho scritto il mio primo corto che ho girato l’anno scorso, anche questo progetto è indipendente. Abbiamo girato due giorni in un ristorante cinese, il titolo può essere un’indizio! Ancora non si sa quando e come uscirà, siamo in attesa dei festival ma sono contenta di aver sperimentato anche nel narrativo, con poche risorse e tanto amore, in una piccola commedia grottesca.
È un peccato che i cortometraggi rimangano spesso confinati all’interno dei festival e non trovino spazio nella distribuzione tradizionale. A cosa pensi sia dovuto?
Si dovrebbe aprire un gigantesco discorso riguardo la distribuzione in generale, ma anche ai confortevoli festival che spesso sono una bolla. So quanto per alcune persone sia fondamentale creare un buon prodotto con il proprio primo corto, perchè è per molti l’unica via di accesso. Mi sento fortunata da questo punto di vista, perchè nel frattempo sto lavorando come autrice e sto scrivendo altri progetti come regista, non aspettando e non ponendo l’unica speranza nel proprio corto, che come sappiamo, alla fine non trova mai spazio nel mercato dell’audiovisivo.
Sei anche fra le autrici della nuova serie tv di Prime Video, prodotta da Tempesta: Love Club. Siete riuscite a dare voce a chi purtroppo spesso voce non ha. Raccontaci di più. Com’è nato il progetto?
Siamo riuscite a tirar fuori la nostra voce. Per noi questo è stato fondamentale, parlare delle storie della comunità queer senza filtri e arrivare non solo al pubblico generico, ma anche a chi, come noi, quelle storie le vive e le ha vissute sulla propria pelle, per non farli più sentire soli.
Il progetto è nato dall’idea di Denise Santoro, a gennaio 2021. Poi Bex Gunther e io tutto quell’anno abbiamo delineato il mondo del Love Club e i personaggi che ci vivevano all’interno. A metà 2022 ci siamo trovati a bordo di un progetto concreto con Prime Video, Tempesta e i nostri alleati in scrittura Veronica Galli, editor e sceneggiatrice e Tommaso Triolo, sceneggiatore. Neppure un anno dopo, il 20 giugno 2023 è uscita la serie su Prime Video! La prima stagione sono quattro puntate da trenta minuti e siamo felicissimi che Love Club sia una fessura, un passo verso il cammino di una reale e sincera rappresentazione queer nei media.

Ed è bellissimo che abbiate scelto come attori protagonisti membri della comunità LGBTQIA+.
Sì, l’autenticità del prodotto sta anche in questo, nella sincerità e nel realismo degli attori non professionisti, delle loro storie che trasmettono dentro ma anche fuori lo schermo. Ma non solo, io adoro ricordare anche tutte le meravigliose comparse sul set che riempivano il locale di un’energia molto forte, tutti ragazzx della comunità. L’impressione sul set era di aver ricreato davvero il Love Club!

E adesso quali sono i tuoi progetti? Cos’hai in serbo per il futuro?
Sono in fase di scrittura e bandi. Ho tante idee e voglia di girare e scrivere nuove storie. Alcune molto vicine alla mia storia personale, altre completamente distanti che mi fanno scoprire ogni giorno come avvicinarmi a nuove soggettività, passioni e mondi immaginari.

Sei giovanissima, eppure hai già un incredibile curriculum alle spalle, questo è meraviglioso. Tendiamo spesso a vedere le stesse personalità nel panorama audiovisivo. È difficile per unə giovanə esordientə entrare nell’industria?
Certo che è difficile. Anche se personalmente, lo dico proprio in maniera sincera, non mi sento “dentro” niente.

Hai anche “l’aggravante” di essere una regista donna, in un sistema ancora fortemente patriarcale non è spesso facile per una donna affermarsi nell’industria audiovisiva. Hai mai percepito una sorta di preclusione dovuta al tuo genere?
Certo, molte volte. Dai diminutivi, agli aggettivi, ai vezzeggiativi che utilizzano solo con me e non con miei colleghi maschi ed etero. Ma penso che non sia semplice in nessun campo. Per questo bisogna continuare la lotta, perchè il cinema italiano non ha solo un problema di visione patriarcale ma ha anche nepotismo, classismo e poco coraggio. L’unica salvezza è trovare dei veri e propri alleati e continuare nella stessa direzione, insieme.
Sei regista ma anche direttrice della fotografia, un altro dipartimento, come suggeriscono i dati, in cui difficilmente le donne riescono a coprire ruoli di responsabilità. Qual è la tua opinione a riguardo, secondo la tua esperienza? È una scelta delle filmmaker o si tende a ritenere più “autorevoli” gli uomini a ricoprire questi ruoli?
Ho studiato come direttrice della fotografia e sono entrata prima in reparto fotografia facendo la classica gavetta. Grazie a questo percorso mi sento molto consapevole dell’immagine, di quello che mi piace visivamente e sono grata di aver studiato un reparto così bello, ma che in qualche modo era per me incompleto. Anche questo è un reparto in crescita con tante professioniste in aumento, che stanno ri-prendendo i propri spazi.

Ti definisci una regista femminista. In che modo porti il femminismo nelle tue opere?
In tante cose, da una visione intersezionale dei personaggi, alle tematiche politiche che cerco di mettere in risalto. Sono cresciuta in una famiglia militante di estrema sinistra (dico estrema perchè poi qualcuno quando dico sinistra poi pensa al PD) e credo che questo possa essere applicato alla quotidianità, alle scelte che ogni singola persona fa: dall’alimentazione, a cosa leggere, a cosa osservare, chi aiutare, quando tirare fuori la voce e la rabbia per sostenere le lotte di altre persone che non possono farlo.

Per concludere, cosa consigli a giovanə filmmaker che vogliono intraprendere questa strada?
Preparatevi a comunicare cosa volete e in cosa credete, senza paura. E per favore, per la vostra sanità mentale, non paragonatevi agli altri.
Grazie a Silvia Clo Di Gregorio!