Com’è essere una donna nell’industria dei film di animazione in Corea? Ce lo racconta Jang Na-Ri, regista di cortometraggi di animazione indipendente.
Dopo aver conosciuto la sua arte e le sue principali opere, entriamo nel contesto in cui opera la filmmaker. Jang Na-Ri racconta cosa significa essere una regista di film di animazione in Corea.
Ciao, Nari. L’ultima volta abbiamo parlato delle tue opere, della tua animazione. Oggi mi piacerebbe parlare della tua esperienza da filmmaker donna nel contesto in cui operi. Com’è essere donna nel contesto nella Corea del Sud? Ti sei mai sentita emarginata o hai mai avuto la sensazione di essere vittima di pregiudizi o ingiustizie causati semplicemente dal tuo “essere donna”?
Se guardi la percentuale di uomini e donne nel settore dell’animazione nelle università coreane, quasi l’80% sono donne. Ci sono sicuramente differenze fra i diversi settori e dipartimenti, ma molti campi artistici sono simili. In particolare, i dipartimenti come le belle arti e le arti performative mostrano proporzioni molto estreme, come quella che ti ho appena citato. Ma questo non significa che le donne abbiano una sensibilità artistica maggiore. Sicuramente, ci sono molte più donne che si diplomano in animazione, quindi ci sono molti più registe donne di animazione in Corea.
Se devo essere sincera, da donna avverto un maggiore pregiudizio per il mio essere regista di “animazione” piuttosto che come una donna che si sente emarginata o vittima di pregiudizi. Questo sicuramente dipende solo dagli standard industriali. Se fossi stata nell’animazione commerciale, avrei avuto sicuramente una risposta differente. Per spiegare meglio: In Corea, l’animazione in sé è una cultura non-mainstream, anzi per dirla tutta “indipendente” e “corto” sono i non-mainstream del non mainstream.
Non solo siamo abituati a vedere gli uomini svolgere ruoli di potere all’interno dell’industria audiovisiva, ma spesso ciò che vediamo sullo schermo è filtrato dalla loro prospettiva. Per questo spesso le donne avvertono la (falsa) responsabilità di sentirsi portatrici di uno sguardo femminile, questioni femminili, per ottenere una sorta di approvazione da parte della società. Cosa pensi a riguardo? Pensi sia importanti che le donne parlino di donne? O pensi che le filmmaker debbano seguire il loro istinto a costo di adottare strutture narrative (o svolgere ruoli professionali) tradizionalmente non “da donna”?
Ad essere onesti, è difficile per me rispondere. Non ho mai pensato alla posizione e al ruolo delle filmmaker donne nell’industria cinematografica. Quando voglio esprimere e parlare di qualcosa attraverso il mio lavoro, non voglio lanciare un messaggio alla società dimostrare qualcosa. Nel mio caso si parla più he altro di concentrarsi ed impegnarsi a provare a capire gli umani. Tuttavia, penso che dobbiamo stare attenti a descrivere i ruoli di genere o questioni di genere perché tutti i creatori di contenuto non hanno una piccola influenza nella società, e quindi nella coscienza collettiva. Penso che valga la pena per le filmmaker affrontare i problemi delle donne da una prospettiva femminile. Ci sono storie che solo le donne possono raccontare e affrontare. Ma penso che il valore stia nel lavoro, non nella donna.

Non so se hai mai avuto questa percezione, ma spesso mi rendo conto che il pubblico si aspetta sempre che un’opera diretta da una donna sia eccezionale, mentre non si pone lo stesso problema per le opere dirette da uomini. Siamo disposti ad accettare la mediocrità dagli uomini, ma ci aspettiamo che le donne che riescono ad “emergere” se lo siano davvero meritato, siano superiori alle altre. Anche questa è una delle mille sfumature della disuguaglianza di genere nel settore cinematografico.
Spesso deduciamo che un’opera è diretta da una donna per la delicatezza che emana. Anche se chiaramente la delicatezza non è l’unica caratteristica propria delle donne. Poi ni stupisco poi me stessa per aver pensato una cosa del genere.
Di solito il genere della o del filmmaker non mi importa. Non capisco perché ci debbano essere delle aspettative dovuto esclusivamente al genere della/del filmmaker. Piuttosto chiederei: davvero la gente lo pensa?

Adesso una domanda più tecnica: esistono in Corea delle misure e leggi volte a ridurre la disuguaglianza di genere nel settore cinematografico?
Purtroppo, sono una regista di animazione indipendente, quindi non conosco molto come funzioni l’industria audiovisiva. Le questioni della diseguaglianza di genere nell’industria cinematografica e le protezioni delle leggi e degli interessi degli artisti sembrano essere completamente differenti. La Corea ha progetti di supporto degli artisti e sistemi di welfare, ma negli ultimi tempi si stanno incredibilmente contraendo e stanno perdendo il loro valore e la loro potenza, e anche l’animazione ne sta soffrendo parecchio. Questo è dovuto al fatto che molte policy coreane sono innervate di capitalismo, in particolare riguardanti l’arte.
Secondo te quali misure e strategie potrebbero aiutare a ridurre questo gender gap?
Non ci ho mai pensato, ma lo farò adesso. Non so com’è la situazione in Italia, ma c’è una parola in Corea che si riferisce a una donna la cui carriera è stata stroncata dal matrimonio o dalla nascita di un figlio. Questo è un elemento che causa un incredibile disuguaglianza di genere in molte industrie che richiedono esperti. La società è organica quindi una sola misura non risolverebbe un problema. Avremmo bisogno di dieci soluzioni per risolverne solamente uno. È difficile capire cosa funzionerebbe bene, ma ci sono sicuramente alcune misure e policy per le donne le cui carriere sono state interrotte. Ma questo non funziona nell’industria dell’arte.
Grazie, Nari!