L’amore, la ricerca delle origini, lo spirito di sacrificio e il patrimonio genetico: gli ultimi due romanzi della scrittrice Roberta Lepri

Sono entrambi editi dalla casa editrice Voland, una realtà indipendente e prestigiosa, molto prolifica nel produrre letteratura aulica, gli ultimi romanzi della scrittrice Roberta Lepri.

Hai presente Liam Neeson? affronta il momento di un grandissimo trauma fisico e psicologico per Rita, la protagonista, la quale, dopo un incidente d’auto in cui ha quasi perso la vita, si ritrova a vivere un’amnesia retrograda che le ha fatto scomparire la memoria de due uomini più importanti della sua vita.

Dna chef, invece, ha come protagonista il talentuoso, ma dannato Guido Nocentini, cuoco di grande fama internazionale. In questo romanzo Roberta Lepri esplora la tematica del ritorno alle origini, della gabbia dorata che può rappresentare la famiglia e della volontà di fuga e di ritorno per dare dei contorni più definiti alla propria esistenza. Il tutto condito dalla passione per il cibo, leitmotiv anche della vita della scrittrice. Ma ascoltiamo proprio dalle sue parole cosa c’è da dire di queste due imperdibili uscite.

Hai presente Liam Neeson?

La vita di Rita viene stravolta da un incidente con la macchina, la cui conseguenza è una vistosa cicatrice sul viso e un’amnesia retrograda. Che potenzialità narrativa ha, in questo romanzo, il fatto di non ricordare?

L’oblio è il cardine di questo romanzo. La protagonista a seguito dell’incidente dimentica solo due persone: gli uomini più importanti della sua vita. Sono anche quelli che più l’hanno fatta soffrire.

Rita, appunto, non ricorda due figure della sua vita: il padre e Mario, l’amante segreto da dieci anni a questa parte. Esiste tra queste figure maschili un rapporto di somiglianza?

Si somigliano molto. Entrambi se ne sono andati all’improvviso, in maniera premeditata e senza tenere conto della sofferenza che avrebbero inflitto a Rita. Entrambi, con la stessa “disinvoltura”, torneranno o cercheranno di tornare da lei.

Il trauma come esperienza di catarsi: quando il male ci dà la possibilità di rinascere.

Sì, un trauma, fisico e psicologico, quasi al limite della morte. Nel suo superamento sta la possibilità di non venire più abusati e sopraffatti. Si rinasce, dunque, nella consapevolezza di essere più forti di qualsiasi cosa.

Che concetto emerge dell’amore da questo romanzo?

L’amore romantico come sentimento sincero qui non esiste. Esiste un rapporto tra carnefice e vittima, fatto di promesse mai mantenute, di rancore e ossessione. E di attese che aprono voragini, nel cuore e nella mente. Quando c’è, è comunque soggetto all’usura dell’abitudine e alla rassegnazione causata dalla malattia, come nel caso degli anziani Vittorio e Sofia, che Mario incontra a Lanzarote e che divengono suoi amici. I due si sono scelti e hanno lottato per il loro amore, questo riesce a dare un senso alla loro vita, o almeno la forza per rimanere insieme. L’amore è altro: quello della sorella di Rita, Teresa, delle sue amiche e della vicina di casa. Persone disposte ad ascoltare, a sorreggere e a consolare. Pronte a tirare fuori la protagonista dalla sua immensa e dolorosa solitudine.

Il valore degli oggetti: che cosa rappresenta emotivamente e psicologicamente per Rita il segno dell’anello che le compare sul dito? Quali implicazioni ha nel passato e nel suo futuro il fatto di non indossarlo?

L’anello come simbolo di infinito. Messo all’anulare sinistro, perché lì passa la vena che conduce al cuore. Un anello da poco, per la protagonista solo l’ennesima illusione. Comprato su una bancarella dall’uomo amato, è anche anello d’una catena che imprigiona, quasi con un rituale di magico, colei che lo porta. Rita lo lancia contro l’uomo che la sta abbandonando ma anche così non sarà libera. Il segno rimane. Ha lasciato una cicatrice, che è l’abitudine alla schiavitù d’amore. Per guarire non basta toglierlo. Si deve guardare in faccia il dolore subito e riconoscere il male.

DNA chef

L’ultimo tuo lavoro, DNA chef, pone come tematica centrale la ricerca delle origini. Che cosa si può dire del passato e del tormento di Guido Nocentini?

Guido è il giovane chef protagonista del romanzo. Un uomo mosso soprattutto dalla rabbia, in cerca di una realizzazione personale a cui è disposto a sacrificare tutto: amicizie, amore e anche i rapporti con la famiglia. Si tratta di un personaggio tormentato in primo luogo da se stesso, che detesta l’ambiente in cui è nato e cresciuto e che ha come unico modello quello del nonno paterno, anche lui cuoco, anche lui spinto all’azione dalla rabbia

Il viaggio concreto come viaggio interiore: che cosa rappresentano le isole Tremiti per Guido e in che modo si sviluppa il cosiddetto viaggio dell’eroe?

Il ritorno di Guido alle Tremiti, fisico e interiore, è doppiamente simbolico. Torna alle origini, nel luogo che ha visto protagonista il nonno Giovanni durante la seconda guerra mondiale, perciò va in cerca di una conferma alla propria esistenza, che a suo parere tanto somiglia a quella dell’avo. Vi rientra però con l’urna delle ceneri paterne da spargere in mare. Dunque è il padre Bruno a fare da ponte tra il passato e il presente. Il vaso aperto da Guido si rivela poi davvero quello di Pandora, portatore di tutti i segreti che hanno mosso le vicende della sua famiglia. Il loro disvelamento porta a conclusione il viaggio dell’eroe, liberato dal passato e capace di decidere per il futuro.

Ambizione, sacrificio, dna e o coincidenze: come si legano tra loro questi concetti?

La rabbia è il collante perfetto. Stimola l’ambizione, rende sopportabile il sacrificio, giustifica e avvalora il dna e dona un senso alle coincidenze. Fino al suo esaurimento. Poi torna la pace.

Il valore delle tradizioni e della famiglia come è emerso nella scrittura di questo romanzo?

La crescita di un individuo per affermarsi nel nucleo della famiglia è spesso traumatica. Nella lotta per affermarsi al suo interno egli affronta la sua prima sfida, che lo porta a essere ciò che è nella società civile. Non sempre si finisce nella famiglia “giusta”. Chi è diverso, chi vuole una vita fuori dall’ordinario ed è disposto a scappare per averla, non sempre trova comprensione. Nella famiglia ci si può amare e odiare con la stessa forza. Guido è amato ma non ama. E un destino simile ma contrario era toccato a suo padre. Le relazioni sono spesso complicate, e il non detto apre ferite molto profonde. Le tradizioni perciò spesso sono gusci vuoti, gesti che ci illudiamo possano appartenere al cuore ma che in realtà sono fantasmi d’amore.

Si affronta, inoltre, una passione che ti accomuna al protagonista, Guido: la cucina. Che cosa rappresenta la preparazione del cibo per Guido e per te?

Per Guido il cibo è ossessione creativa, ricerca della perfezione, archivio di ricordi. Lo ama, ne è schiavo, rappresenta tutta la sua vita e riesce a portarlo lontano, proprio dove vuole arrivare. Per me è gesto d’amore, potente nel darmi grande consolazione.

L’accenno al lockdown come possibilità di isolamento positiva: cosa ci insegna, nella nostra esperienza umana, lo stare da soli con i propri pensieri?

Io sono una persona molto solitaria, perciò credo che restare in compagnia dei propri pensieri, con il supporto di un buon libro e magari di un bicchiere di vino, sia una vera benedizione. Il lockdown nel romanzo compare sul finale, a voler sottolineare come la vita, nella sua straordinaria diversità, elargisca soluzioni inaspettate. Attribuire loro un valore spetta solo all’individuo.

Grazie a Roberta Lepri.

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