Non sono le storie a guidare l’arte e i cortometraggi d’animazione di Jang Nari, ma i sentimenti. È quasi impossibile per lo spettatore non immergersi profondamente nei suoi personaggi, empatizzare con loro e sentirsi parte integrante nella narrazione e del flusso di emozioni.
Jang Na-Ri, regista di cortometraggi di animazione, si racconta e racconta le sue opere.
Laureata in animazione alle Korea National University of Arts (K’Arts) nel 2016, Jang Na-Ri non smette di dedicarsi a ciò che ama fare e inizia immediatamente a dirigere cortometraggi di animazione. Nel 2016 presenta My Father’s Room, cortometraggio pluripremiato, l’anno successivo è il turno di The Black Crocodile e al 2020 risale il suo ultimo corto Salvia at Nine.
Ho conosciuto Jang Na-Ri e ho avuto l’occasione di parlare con lei delle sue opere, del potere incredibilmente terapeutico della sua arte, non solo per lei ma anche per il suo pubblico che inevitabilmente rimane immerso e ritrova sé stesso, i propri vissuti, nelle sue opere.

Ciao Nari. Sei una regista giovanissima quando hai iniziato a fare film?
Mi sono laureata in animazione alla Korea National University of Arts (K’ARTS). L’obiettivo di K’ARTS è quello di formare artisti professionisti. Mentre ero all’università disegnavo cartoni animati e facevo animazioni, questo era il mio dovere da studente. Ma dopo la laurea ho pensato che avrei dovuto continuare a fare animazioni. Non avevo una vera e propria opera in mente, semplicemente era qualcosa che volevo davvero fare. Ho cominciato a fare animazioni e mi piaceva, penso che questo sia il mio valore.
Non ho mai pensato di diventare una regista di animazione. L’ho fatto perché volevo fare film e fortunatamente ho ricevuto un’ottima accoglienza e successo. In qualche modo sono diventata una regista di film d’animazione. Ho realizzato di voler intraprendere la via del cinema d’animazione in età abbastanza tarda: in Corea di solito a 30 anni hai già un lavoro stabile. Questo l’ho realizzato solo dopo My Father’s Room.
Quali sono le tue ispirazioni? Chi (o cosa) ti ha ispirato e continua ad ispirarti?
Vorrei poter dire che ciò che mi ispira è ascoltare buona musica, leggere libri e vedere tanti la ori ben fatti. Sarebbe ottimo se fosse così chiaro. Credo che siano tante le cose che nella mia quotidianità possono ispirarmi. Possiamo paragonarlo alla pesca: ci sono così tanti pesci in mare, ma io sono solamente un povero pescatore. Non sono uno di quegli artisti che cercano l’ispirazione, sono una normale artista che ha solo paura di non riuscire a concludere il prossimo lavoro.

Parliamo dei tuoi film: spesso sono senza dialoghi, è incredibile riuscire a comunicare tanto senza dire nemmeno una parola. Ci sono dei temi che ricorrono spesso nei tuoi lavori?
Il fatto che i miei film siano senza dialoghi permette agli spettatori di immergersi profondamente nelle emozioni dei personaggi. Penso potesse essere efficace in questo modo.
Nei miei film parlo più che altro di me e della mia famiglia. Per essere più chiara e specifica, ho lavorato nei momenti in cui ho scoperto cos’è il dolore. Molti registi di animazione indipendenti raccontano storie su se stessi, ma c’è una differenza fra rivelare e nascondere: io tendo a rivelarmi.

C’è un enorme e importante elemento autobiografico nei tuoi lavori. Per esempio, il tuo pluripremiato “My Father’s room” sembra essere un ritratto della tua vita. Come sei arrivata a questa storia?
Un insegnante quando ero al college mi ha detto: “Lavora sulla più potente immagine della tua vita”. My Father’s Room è la più potente immagina della mia vita. Al matrimonio di mio cugino, ho immaginato il mio matrimonio senza mio padre. Questo è l’inizio di My Father’s Room. Pensavo a questo quel giorno. Non avrò un padre in ogni momento della mia vita per essere riconoscente e felice. E mio padre non sarà in grado di condividere la felicità dei suoi figli nella sua vita. Mi è dispiaciuto. Ho provato compassione perché era mio padre, anche se è stato un uomo che mi ha ferita moltissimo. Così ho creato My Father’s Room.

Hai detto che “My Father’s room” è terapeutico sia per il regista che per lo spettatore. Questo elemento terapeutico era intenzionale? O più in generale, è uno dei tuoi obiettivi quando dirigi i tuoi film?
Quando ho creato, mi aspettavo che ci fosse solamente un pubblico molto stretto che potesse essere interessato ed empatizzasse con la mia storia. Perché ho pensato che la mia storia, la mia esperienza, fosse inusuale. Ma il pubblico che ho incontrato a molti festival è stato inaspettato. Il posto in cui vivevano, la razza e la cultura erano diverse, ma le ferite che si scambiavano fra le loro famiglie erano simile alle mie. All’inizio l’ho fatto per me, ma è stato di conforto anche per il pubblico. L’ho capito solo dopo aver incontrato tutte quelle persone che mi ringraziavano.

Il tuo modo di fare animazione è molto atipico: non segui una storyline. Ma ti lasci guidare dai sentimenti dei personaggi. Penso sia straordinario! Vuoi dirci di più su questo?
Fortunatamente il pubblico interpreta i miei lavori meglio di quanto lo faccia io. Ciò che volevo esprimere attraverso i miei lavori la relazione complicata con mio padre. Era importante essere in grado di enfatizzare con quei sentimenti. Così ho iniziato ad accatastare i sentimenti dei personaggi come strati. Non riguarda la storia, ma riguarda i sentimenti.

So che è difficile dirlo, ma c’è uno dei tuoi film a cui ti senti più affezionata?
Assolutamente My Father’s Room. Ma spero che in future possa esserci un altro film a cui possa tenere anche di più.
Stai lavorando ad un nuovo progetto?
Ho avuto un bambino da poco, quindi sono occupata a fare la mamma. Probabilmente ci vorrà un bel po’ di tempo prima cominciare un nuovo lavoro!
Grazie, Nari. Noi speriamo arrivi presto!