Fra visibile e invisibile: la fotografia evanescente di Paola Tornambè

Quando scattiamo una foto proviamo ad immortalare un preciso momento, un istante. Per Paola Tornambè scattare significa rappresentare lo scorrere del tempo. La sua fotografia è ricca di sovrapposizioni ed evanescenze rese possibile grazie alla lunga esposizione, una tecnica che richiede un tempo di scatto più lungo, che mostra, appunto, il flusso del tempo. Grazie alla lunga esposizione il mare increspato può diventare seta, una macchina per strada di notte può diventare una scia luminosa. Paola Tornambè, come vedremo e come lei stessa ci mostrerà, applica questa stessa tecnica di scatto anche nei ritratti rivelando una nuova dimensione, onirica, ma anche sensazioni ed emozioni.

“Fotografare per me è pormi tra il visibile e l’invisibile”, così Paola Tornambè presenta la sua arte.

Ho conosciuto Paola, abbiamo parlato della sua arte, delle sue ispirazioni, dei suoi progetti e, soprattutto, del confine fra “il visibile e l’invisibile” che caratterizza la sua fotografia rendendola unica.

Ciao, Paola, sono felice di conoscerti. Inizio chiedendoti: da dove nasce la tua passione per la fotografia?

Ciao a tutti e, innanzitutto, grazie di ospitarmi nella vostra rivista. Sono felice di avere l’occasione di rispondere a domande che trovo davvero stimolanti e nello stesso tempo dimostrano grande comprensione della mia arte.

La passione per la fotografia ha origine dalla mia infanzia. Mio padre mi portava in giro con la sua Zenit, di cui ricordo il peso, la messa a fuoco manuale e, soprattutto, il rumore dello scatto meccanico, che rendeva quasi tangibile la fotografia. Qualche anno più tardi avremmo allestito una camera oscura nella cucina di casa, passando le domeniche a sviluppare rullini e stampare fotografie. L’alternativa era la visione di diapositive, di album fotografici antichi di famiglia o di quelli più moderni contenenti le nostre stesse vite in corso. Ricordo anche un opuscolo per bambini, su cui passavo le ore, che spiegava il funzionamento della macchina fotografica. Da quando ho memoria, la fotografia ha sempre fatto parte della mia vita.

Un campo. A maggio n. 8 – © Paola Tornambè

Nelle tue foto rivedo il dinamismo tipico degli artisti futuristi. Quali sono le tue ispirazioni?

Sì, sicuramente ci sono tracce riconducibili al futurismo nelle mie opere. Ma al tempo stesso anche, all’opposto, ai dipinti preraffaelliti con i loro elementi naturali e di “romantica drammaticità”, chiaramente rielaborati in maniera personale e dinamica.

E sicuramente alcuni fotografi mi hanno, se non ispirato, emozionato e condotta nell’ambito della fotografia artistica per il loro modo di trattare poeticamente anche i drammi dell’esistenza. Tra questi i più importanti per me sono stati: il nostro Mario Giacomelli e il russo Alexey Titarenko. Del primo ho amato più quello che non si vede nei suoi scatti in bianco e nero così contrastati: le anime, lì dove ci sono dei panni stesi al vento; il tempo che passa, dietro i capelli evanescenti di Caroline Branson etc. Del secondo mi ha folgorato la tecnica del lungo tempo di esposizione, che rendeva San Pietroburgo magica sotto la neve, sebbene quelle fotografie fossero di critica al regime. Tecnica che ho poi sperimentato ampiamente trovandone un uso personale.

Acquerello n.2 – © Paola Tornambè

Spesso attraverso la fotografia si sceglie di intrappolare un momento, un istante. Tu al contrario attraverso la tua arte non fermi il tempo ma mostri il suo scorrere. Ciò che è eccezionale della lunga esposizione, la tua tecnica di scatto, è la capacità di catturare più momenti, più istanti e riunirli all’interno di un unico frame. La tua, come la descrivi tu, è una fotografia fra visibile e invisibile. Vuoi spiegarci cosa significa per te?

Esattamente, è proprio questo il senso della mia fotografia: concentrare il tempo in un unico frame, da cui sia possibile conservare non l’istante, ma proprio lo scorrere. Rendere visibile ciò che non si vede: ossia il tempo attraverso il quale, secondo me, si riesce a catturare l’anima delle cose e/o delle persone. Proprio questo è il senso della frase “tra il visibile e l’invisibile”: amo cercare in quel mondo di confine fatto di percezioni, di ricordi, di sensazioni. Quell’intangibile che, tuttavia, si intuisce dietro al tangibile. Ed è così che un volto, ripreso nel suo scorrere nel tempo, rivela molto più di quello che si vedrebbe normalmente: i suoi turbamenti, i desideri, le inquietudini. Diventa visibile una percezione dell’anima, se non l’anima stessa. Esattamente allo stesso modo in cui, come dicevo prima, dietro la famosa immagine “dei panni stesi” di Giacomelli, è possibile vedere (nel senso di “intuire”) tutto un invisibile composto da percezioni aperte su un mondo “altro”.

Spesso la lunga esposizione, questo effetto estremamente dinamico, viene applicato nelle foto di paesaggi, si tende quindi a cogliere la dinamicità degli oggetti o di determinate situazioni e contesti. I tuoi soggetti sono invece spesso le persone, i ritratti. Non si tratta solo di dinamicità dei movimenti, vero? C’è un significato più profondo, forse una rappresentazione, come la definisci tu, onirica?

Sì, per me vuol dire cogliere la dimensione interiore delle persone; principalmente la mia, trattandosi in gran parte di autoritratti. Sensazioni, emozioni, anche negative, che altrimenti resterebbero invisibili. Credo che proprio attraverso il dinamismo, che permette di conservare lo scorrere nel tempo, vengano alla luce le mille sfaccettature dell’interiorità, ma anche un “oltre”. Possiamo parlare di una dimensione onirica, perché chiaramente si va a disegnare con la luce un mondo differente da quello che conosciamo, che possiamo accostare, a livello di rappresentazione visiva, alla materia di cui sono fatti i sogni, ma che secondo me, più che altro, apre ad una realtà più profonda e intangibile, ma vera. Simile al sogno, ma reale.

La nebulosa del cigno – © Paola Tornambè

Le tue foto sembrano composte minuziosamente. Cosa c’è dietro un tuo scatto? Studi tutto nei minimi dettagli o ti lasci ispirare anche dalla spontaneità e dal momento?

Non ho una regola fissa. Di solito parto da un’idea più o meno precisa e capita sia che la riesca a seguire, come anche che la casualità mi diriga verso altre idee che diventano loro, a quel punto, ad essere rielaborate e strutturate. Bisogna dirigersi dove “si sente” ci sia qualcosa. E’ come pescare o andare in cerca di funghi. Parte la fa la conoscenza, ma bisogna anche essere bravi ad intuire dove ci possa essere materiale interessante e disposti eventualmente a cambiare rotta anche più volte. Questo capita spesso all’inizio di un lavoro. Una volta capito bene in che direzione mi sta portando, pianifico con maggiore rigore gli scatti e posso ripeterli anche cento volte fino ad ottenere il risultato che desidero. Che poi è quello che “parla”, che da solo è in grado di mostrare il significato.

Con la lunga esposizione giochi anche molto sulla materialità dei soggetti. Alcuni sembrano per esempio di carta, altri dipinti con gli acquerelli. È un effetto ricercato già prima di scattare o, invece, è un risultato quasi inatteso?

Sì, questo è assolutamente ricercato. La mia è una fotografia estremamente pittorica ed è la caratteristica che distingue la “mia” lunga esposizione dalle altre. La uso per fondere i miei soggetti con uno sfondo che ricorda una tela o un foglio, o per mescolare i colori come negli acquerelli; in generale per creare stratificazioni di immagini che, oltre al significato concettuale di cui ho parlato prima, abbiano anche un effetto visivo vicino alla pittura o al disegno.

Le pieghe dell’animo – © Paola Tornambè

Sei di origini siciliane e hai dichiarato spesso di ispirarti ai tuoi natali siculi. Dove possiamo ritrovare la Sicilia nelle tue opere?

In realtà sono romana, nel senso che sono nata a Roma, ma da padre siciliano e questo fa la differenza. Non abbiamo mai perso i contatti con la sua terra di origine, perciò sono stata abituata fin da piccola alla bellezza e all’arte che c’è lì.

Possiamo dire che la Sicilia nelle mie opere sta nelle pose barocche e quasi tridimensionali, che il mio primo curatore: Mauro Mazziero, accostò alla scultura del Serpotta a Palermo. Sta nell’uso della luce e nei colori che ricorrono nelle mie fotografie. Ma, soprattutto, io direi che la Sicilia sta nel “sentire”. Come dicevo, non abbiamo mai perso i contatti con la Sicilia e questo significa che ho passato tutte le lunghe estati della mia infanzia nella casa di campagna appartenuta ai miei bisnonni. Qui ho avuto la grandissima fortuna di crescere a stretto contatto con la natura, che è uno temi più ricorrenti nelle mie opere. Di “respirare” ogni più piccola percezione; di “sentire” gli spiriti, vivendo in un tempo senza tempo; di guardare la luce del tramonto accarezzare aghi di pino rendendoli quasi vivi; di aprire la porta a ricordi sfuggenti, ai sogni, all’immaginazione, alle sensazioni improvvise e rivelatrici. È questa Sicilia che più ha influenzato le mie immagini da adulta.

La mia fotografia è tutta una evocazione di quella natura e di quelle percezioni che da bambina immagazzinavo nelle estati siciliane passate sotto le stelle.

Noi – © Paola Tornambè

Esiste nella tua carriera un momento che porterai per sempre nel cuore?

Sono una persona abbastanza emotiva, per cui ogni momento per me è importante e da conservare nel cuore. In genere però, le più coinvolgenti emotivamente sono le prime volte: uniche le sensazioni alla mia prima mostra; la prima volta che, invece, le mie fotografie vennero esposte all’estero, a Londra; quando vidi una mia opera stampata, sempre per la prima volta, su una rivista Fine Art americana, in Minnesota; la prima intervista in televisione, al telegiornale; la prima menzione d’onore ad un concorso internazionale. Ma sono del parere che una carriera è fatta da ogni piccolo mattoncino, ogni piccolo traguardo raggiunto, e che tutto sia importante per la sua solida costruzione.

Stai lavorando ad un progetto adesso?

Sì, certamente. Non potrei vivere senza fotografare. Ho terminato un nuovo lavoro: “Un campo. A Maggio”, quasi tutto inedito (lascio anche a voi l’unica anteprima, pubblicata a Londra), ispirato alla Caroline Branson di Mario Giacomelli, che citavo prima. Qui ho sperimentato la mia tecnica nel ritratto altrui e non più solamente nell’autoritratto e, ulteriore novità, ho introdotto l’ambiente naturale circostante non più come mero sfondo, ma come parte integrante della narrativa fotografica. E poi sto lavorando ad un altro progetto, ancora in essere, dove tutte principali caratteristiche della mia arte: gli elementi naturali, la drammaticità anche nella gioia, la pittoricità, la stratificazione d’immagine attraverso la lunga esposizione, per la prima volta, vengono applicati anche allo studio del corpo maschile, nel tentativo impossibile di decifrare l’amore.

Per andare ancor più a fondo nell’arte di Paola Tornambè, vi invito a visitare il suo sito web: https://www.paolatornambe.com/

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