“Scherza con i fanti e lascia stare i Santi”, recita il celeberrimo e scanzonato adagio citato da Puccini nella Tosca. Ma che cosa significa esattamente? Cosa è e che cosa rappresenta un Santo? Il proverbio lo dà per scontato, e lo stesso facciamo noi: collocandosi sovente fra una realtà umana concreta e vibrante e la rarefatta sfera di simbolo e leggenda, tra Uomini selvaggi, Sirene, Giganti o Lupi Mannari tali figure tracimano e sconfinano frequentemente nell’ambito del mito, e come di Gnomi, Orchi o Angeli se ne ha troppo spesso una concezione approssimativa, parziale o fallace, nella corriva convinzione, dovuta all’abitudine, di averne una cognizione chiara e precisa. Oggi, nel giorno dedicato al tutt’ora veneratissimo San (Padre) Pio da Pietrelcina, proviamo ad approfondire queste figure di capitale importanza per la cultura occidentale ben al di là della sola dimensione religiosa, con l’aiuto dello storico medievalista e scrittore Arnaldo Casali

In occasione del giorno dedicato al celeberrimo San (Padre) Pio da Pietrelcina, discettiamo intorno ai Santi e proviamo a scandagliare queste figure antropologicamente significative con l’esperto Arnaldo Casali
Giornalista e scrittore, si è laureato in Esegesi delle Fonti storiche Medievali (Storia Medioevale) all’Università La Sapienza di Roma. Direttore della rivista multimediale Adesso, ha altresì pubblicato su varie altre importanti testate, e dirige l’Istituto di studi Teologici e Storico-Sociali di Terni. Molto attivo nell’ambito della divulgazione artistica e culturale, ha collaborato per anni col Festival del Medioevo di Gubbio, è stato direttore artistico del Terni Film Festival e membro della giuria ecumenica del Warsaw (Varsavia) Film Festival e di altri prestigiosi festival cinematografici nazionali e internazionali. E’ autore di opere eterogenee, da documentari come Lo spirito di Assisie Sarajevo Adesso al radio racconto Il Giorno di Natale, interpretato, tra gli altri, da Gastone Moschin ed Enzo Decaro. Tra i suoi scritti vi è l’opera teatrale Il Giullare di Assisi (messa in scena per la prima volta nel 2010), il volume di interviste Tra cielo e terra. Cinema, artisti e religione (edizioni Pendragon, 2011) e il romanzo storico Valentino. Il segreto del Santo innamorato (Dalia edizioni, 2014). Per il lavoro svolto favorendo l’utilizzo del cinema come veicolo per la conoscenza di popoli, culture e religioni è stato insignito, nel 2018, del premio Strefa Wolnosci della città di Breslavia, in Polonia. Nel suo agile e sopraffino volume Zombi. Strane storie di santi, edito da Graphe.it. nel 2019, egli ci illustra un campionario di formidabili e singolari figure della Tradizione Cristiana, la cui natura e complessa matrice le pone nel novero dei cosiddetti Morti Viventi, dimostrando come il Cristianesimo stesso abbia contribuito fortemente alla nascita della narrativa dell’Orrore.
Innanzitutto grazie di essere qui con noi. Quando si legge di figure appartenenti ad altre culture e dottrine come i Ba Xian, gli Otto Immortali del Taoismo cinese, ci si avvede di come si specifici che esse vengono “venerate”, affermazione spesso integrata e circostanziata attraverso l’aggiunta, con i dovuti distinguo, della precisazione: come i santi cristiani ortodossi o cattolici, loro affini. Che cos’è, nell’ottica sia antropologica che teologica e dottrinale, un Santo? Da dove scaturisce una simile figura? Presenta in parte origini o radici ebraiche o pagane?
Premetto che io sono uno storico, non teologo né un antropologo, quindi le mie risposte possono non essere molto esaurienti su questo versante. Sicuramente sotto il profilo dottrinale i santi sono considerati dalla Chiesa Cattolica persone che, per i meriti acquisiti in vita, hanno meritato il Paradiso. Sono le figure più vicine a Dio, e per questo – attraverso la cosiddetta “comunione dei santi” – sono in grado di intercedere presso Dio stesso. Di qui le “grazie” concesse al fedele che chiede un miracolo, così come la “protezione” accordata ai propri devoti.
Sotto il profilo strettamente teologico direi che non ci sono precedenti né nel paganesimo né nell’ebraismo. E’ innegabile, però, che sotto il profilo antropologico i santi abbiano assunto, per i cristiani, il ruolo che hanno per gli ebrei i profeti dell’Antico Testamento; è altrettanto innegabile che, nella pratica quotidiana, i santi cristiani siano stati a tutti gli effetti assimilati alle divinità pagane.
Da testimoni di fede – quali, teoricamente, dovrebbero essere – i santi cristiani hanno finito quindi per sostituire in tutto e per tutto gli dei pagani, con templi ad essi dedicati, protettorati, altari, preghiere e così via. Sotto questo profilo non possiamo negare la grande contraddizione che emerge nel cristianesimo: una religione monoteista sotto il profilo teologico e politeista di fatto.
Quando sono andato in India sono rimasto particolarmente colpito dall’affinità del cattolicesimo con l’induismo e dalla radicale differenza con l’islam. Ed è un paradosso, perché teoricamente noi veneriamo lo stesso Dio dei musulmani: Allah, infatti – a dispetto dei luoghi comuni – non è il nome islamico di Dio, ma la semplice traduzione in arabo della parola “Dio”: troviamo “Allah” in tutte le preghiere cristiane tradotte in arabo, e questa è una cosa che mi ha fatto molto riflettere, perché non è vero – come si dice – che cristiani e musulmani danno a Dio nomi diversi: preghiamo lo stesso Dio usando le stesse parole. Eppure, il monoteismo radicale dell’islam ne ha allontanato molto la pratica religiosa dal cristianesimo. L’Islam, come l’ebraismo, prega un solo Dio senza volto e senza raffigurazioni. Paradossalmente, invece, l’induismo ha una pratica religiosa che è di fatto identica a quella cristiana: l’unica differenza è che noi mettiamo sulla scrivania la statuetta di un frate cappuccino con le stimmate e loro quella di un uomo con la testa di elefante, noi abbiamo sant’Antonio da Padova e loro Sai Baba, noi la Madonna e loro la Dea Kalì, ma il culto è identico e ho scoperto che anche nella teologia induista è presente l’idea di un unico Dio che si manifesta attraverso una pluralità di volti, per non parlare della Trimurti, che è per certi versi affine alla Trinità. E nel paganesimo le cose non erano diverse: il monoteismo era molto presente tra i romani; i culti pagani rientravano nelle tradizioni e nelle superstizioni più che nella fede. Non vedo molta differenza con il cattolicesimo. Per tornare alla tua domanda, i santi sono dunque testimoni di fede il cui culto è andato a sostituire quello delle divinità pagane. Basti pensare alle chiese (ce ne sono diverse in Italia) chiamate Santa Maria sopra Minerva, dove la più importante donna tra i santi si è sovrapposta alla più importante tra le donne dell’Olimpo romano.
Una nota filosofica: il pensatore e drammaturgo Gabriel Marcel discerne le due categorie del Problema e del Mistero: semplificando allo stremo, il Problema è qualcosa a noi esteriore, reificabile, su cui possiamo posare un algido sguardo analitico da soggetti; il Mistero è invece il sostrato inderogabile, imprescindibile, inalienabile, intangibile a cui soggiace, inscindibilmente, il nostro stesso Essere. Sovviene alla mente come molto prossima, scavalcando i confini del Cristianesimo, la tradizione induista della Bhagavadgītā, ove l’eroe Arjuna è esortato a “rinunciare al frutto delle proprie azioni”. Potrebbe la santità corrispondere ad una tracimazione e superamento dell’Io e delle sue infingarde pretese verso il dispiegarsi dell’autentico Sé nella comunione con la Sfera Divina?
Si

Dei, Demoni, Angeli, Santi, esseri umani: come districarsi…
Laddove i Santi sono coloro che assurgono alla pienezza e all’adamantina compiutezza di virtù e carità cristiane, gli Angeli, nelle tre religioni monoteiste, araldi, messaggeri e servitori, sono invece esseri intermediari, e i più gerarchicamente elevati sono a contatto diretto con Dio.
Se alcune preminenti figure ebraiche, come il Gran Sacerdote Aronne fratello di Mosè, sono considerate appartenenti alla schiera dei santi, questo si verifica persino con alcuni Angeli, come San Raffaele, l’arcangelo biblico che presiede alla salute e della conoscenza. Alla loro morte, tuttavia, tutti i Patriarchi sono inquadrati nell’elevato Ordine degli Angeli Troni, a cui appartengono gli ebraici Ophanim, le “Ruote” facenti parte della Visione del profeta Ezechiele, la Merkavah o “Carro di fuoco”, ove sorreggono il Trono Divino. Qual è l’effettivo confine, in ambito cristiano, tra Santi e Angeli? Secondo la leggenda, poi, Santa Maddalena della Croce avrebbe avuto come amico e confidente, fin dall’infanzia, uno Spirito Elementale, ossia uno Gnomo. Ritiene che un essere senziente non umano, quale, ad esempio, un extraterrestre, potrebbe possedere gli attributi per essere dichiarato Santo?
Come ho già detto, io sono uno storico, quindi le figure dei santi mi interessano soprattutto nel loro profilo più concreto, di esseri umani che hanno costruito un pezzo di storia dell’umanità. Confesso una enciclopedica ignoranza in fatto di miti, mitologia ed esoterismo, quindi sinceramente fatico a risponderti su gnomi amici di santa Maddalena e alieni venerati come santi! E’ vero però – come tu stigmatizzi – che la tradizione cristiana ha mescolato insieme angeli e santi, e cioè figure simboliche (o se vogliamo teologiche) e figure storiche. Nel calderone dei santi è finito di tutto: uomini, angeli, miti. Quindi sì, non mi stupirebbe se ci finissero anche gli alieni. Ma ti dirò di più: certe forme di devozione popolare non hanno affatto bisogno di esseri senzienti! Se gli antichi veneravano il Sole, i nostri contemporanei si fanno catechizzare da un algoritmo. Quando si cerca qualcosa da venerare non importa che sia umano, senziente e nemmeno reale. Ma, come dicevamo, qui usciamo completamente dalla sfera della storia e anche della teologia, ed entriamo nel campo della superstizione.
Riguardo al confine tra angeli e santi, è molto labile, perché la tradizione cristiana da una parte ha assimilato gli angeli ai santi, dall’altra ha trasformato i santi in angeli.
Gli angeli – come tu stesso hai ricordato – nella Bibbia sono i messaggeri di Dio. Da una prospettiva radicalmente monoteista, possiamo considerare quindi l’angelo una “espressione” di Dio, una sua manifestazione, e non un essere senziente. Di fatto, esiste tutta una disciplina che studia gli angeli, e li ha dotati addirittura di una gerarchia (serafini, angeli, arcangeli) come un vero e proprio esercito divino. Alcuni angeli sono entrati nella devozione popolare assumendo il titolo di santo: penso a san Michele, divenuto addirittura uno dei più venerati dell’antichità e del medioevo, che ancora oggi vanta moltissimi luoghi di culto, raffigurazioni e toponimi. Vale la pena di sottolineare anche come Michele – che tiene il diavolo sotto i suoi piedi – è sempre associato a culti pagani. La sua figura veniva utilizzata per “esorcizzare” luoghi in cui il culto di divinità arcaiche era particolarmente forte. Da sottolineare come questa visione “politeista” del cristianesimo non consideri affatto le divinità pagane “falsi dei” (quindi innocui), ma demoni da sconfiggere. Quando ho intervistato padre Amorth – il più celebre esorcista al mondo – lui mi disse che lo yoga è una disciplina pericolosa perché deriva dall’induismo, religione politeista che, quindi, venera dei demoni. Il mio secondo romanzo – Valentino e la maledizione della Dea Vacante – è dedicato al culto della Dea Vacuna, radicatissimo in Sabina, dove oggi – non a caso – sorgono molti santuari intitolati a san Michele Arcangelo, inclusa la chiesetta del Pago, il bosco sacro della dea che si trova nel Comune di Vacone.
A fronte della “santificazione” degli angeli, troviamo l’“angelizzazione” dei santi: non mi riferisco tanto a figure mitologiche come quella di San Giorgio (che di fatto finisce per confondersi con lo stesso san Michele), ma soprattutto con l’appiattimento avviato con la Controriforma che ha trasformato i santi da modelli da seguire a figure angeliche, di fatto perfette, prive di peccato e di sentimenti umani, con caratteristiche comuni talmente forti da renderle più o meno tutte uguali, oltre che lontane e inimitabili.
Quali sono le sue figure predilette di santi? E quali loro caratteristiche determinano la predilezione?
Francesco d’Assisi è l’uomo che mi ha cambiato la vita. L’ho incontrato quando avevo diciotto anni e da allora è il mio faro su ogni aspetto della mia esistenza. Ha orientato tutto: la mia spiritualità, la mia professione religiosa, gli studi universitari, le attività artistiche, la visione politica, la vita quotidiana, persino quella affettiva.
L’altro santo a cui sono particolarmente legato è Valentino. Che come Francesco è tanto venerato quanto sconosciuto. La differenza è che mentre di Francesco – grazie alle fonti – sappiamo tutto, di Valentino non sappiamo nulla di certo, se non che si chiamava così ed è stato decapitato sulla via Flaminia. Ma il grande fascino del santo degli innamorati sono le leggende che sono sorte attorno alla sua figura nel corso dei secoli e che continuano ancora oggi a svilupparsi negli ambiti più disparati: dalle antiche agiografie alle poesie medievali di Chaucer, fino al romanticismo ottocentesco, alle tradizioni locali e alle opere d’arte che gli sono state dedicate. Valentino è come Robin Hood: ogni autore che se ne occupa aggiunge un pezzo alla leggenda bimillenaria rendendolo sempre più affascinante e questo ne fa una figura unica tra i santi. Mi occupo di Valentino da quindici anni e ho visto crescere il suo mito di fronte ai miei occhi, contribuendo io stesso – in qualche modo – al suo sviluppo. Il mio obiettivo è che San Valentino non sia solo il nome di un giorno associato a cioccolatini e cenette romantiche, ma un personaggio capace di entrare nell’immaginario comune, almeno quanto San Nicola, altrimenti noto come Babbo Natale! Già riuscire a dotarlo di un attributo che manca nell’iconografia classica – ovvero la rosa – è stato un risultato importante.
Tra gli altri santi a cui sono appassionato (non devoto, ci tengo a sottolinearlo) c’è Celestino V: il papa a cui sono stato più legato fino a dieci anni fa, quando con l’elezione di Francesco ho potuto finalmente identificare completamente la mia visione religiosa con la figura di un pontefice; e poi Giovanna d’Arco – che ho scoperto recentemente innamorandomene perdutamente – e, se mi consenti, lo stesso papa Francesco. Che, grazie a Dio è ancora vivo e quindi ancora lontano dalla canonizzazione, ma che per me sintetizza davvero tutto ciò che rappresenta un Santo: ovvero la capacità di restituire in tutta la sua pienezza il senso della fede cristiana.

Noi e i Santi, i Santi e noi: santità e umanità
Il Santo cristiano, ma non solo, diventa un modello adamantino nei più disparati contesti, non necessariamente religiosi: Gustave Flaubert, nel suo celeberrimo La Tentation de saint Antoine, 1874, affresca un Sant’Antonio che fronteggia affannosamente i suoi tormentosi demoni, immagine del mistero soverchiante dell’Essere sotto il cui grave peso rischia di rovinare, riuscendo a preservare la propria integrità. Nel romanzo di fantascienza A Canticle for Leibowitz, 1959, di Walter M. Miller, abbiamo alcuni monaci cattolici (il cui ordine albertiano porta il nome di uno scienziato considerato Beato) che si sobbarcano l’onere di custodire il sapere scientifico in un martoriato mondo post-apocalittico: la loro intangibile ed inossidabile tempra morale ne fa dei campioni della Fede quanto dei Santi della Scienza; Emil Cioran, trattando del filosofo Diogene il Cinico, che viveva come un asceta rifiutando le convenzioni umane, ci dice come questi si differenzi dai vari “santi del calendario” in quanto Santo della schiettezza, della Sincerità; Georges Bataille arriva ad affermare che si può essere Santi nell’Eros. Il Santo si lascia incorporare senza remore da un’istanza, eppure viene sempre, oculatamente presentato come decisamente lontano dalla figura del fanatico pernicioso: cosa ben discerne, a suo avviso, il Santo dal fanatico?
Anche questa domanda è molto difficile e insidiosa. Francamente se leggiamo certe agiografie, come quella dei Protomartiri francescani, troviamo – appunto – le gesta di fanatici. Non sarei così certo nemmeno che i “santi della schiettezza e della sincerità” siano la maggioranza di quelli che troviamo nel calendario! Per non parlare dei santi dell’Eros, che di fatto è stato per secoli negato alla santità.
Quando avevo 22 anni sono andato con la mia fidanzata dal mio direttore spirituale: “Noi vogliamo diventare santi – gli abbiamo detto – Il problema è che tutti i santi sono single. Possibile che non si possa diventare santi da sposati?”.
Quello ci ha pensato un po’, poi l’unico esempio che gli è venuto fuori è stato quello dei genitori di santa Teresina di Lisieux. “Vabbé ma quelli erano raccomandati!” gli abbiamo risposto.
Sono passati quasi trent’anni, ma io di santi sposati ne ho trovati pochissimi altri, e tutti legati a forme di martirio (come Gianna Berretta Molla, morta per aver rifiutato di abortire). Mai sono riuscito a trovare una coppia di sposi che siano diventati santi vivendo in pienezza e con gioia il proprio matrimonio. E paradossalmente il modello ce lo avremmo eccome, in bella evidenza: La Santa Famiglia di Nazareth!
Il problema è che la tradizione cristiana nega l’eros anche alla Santa Famiglia. La tradizione, ci tengo a sottolinearlo: non la dottrina, né la teologia, né tantomeno i Vangeli, dove – al contrario – si parla apertamente di fratelli e sorelle di Gesù. Un passaggio imbarazzante, per la sessuofobia cristiana, tanto da essere interpretato nei modi più disparati (cugini, parenti o figli di primo letto di Giuseppe). La cosa grottesca è che se davvero Maria e Giuseppe non avessero mai avuto rapporti sessuali, il loro matrimonio – secondo il diritto canonico – non sarebbe valido e potrebbe essere annullato!
Ora, l’idea che Maria sia rimasta vergine fino alla morte non trova altra giustificazione al di fuori della sessuofobia. Nella cultura ebraica, infatti, la castità non ha alcun valore, né alcuna valenza ha una “verginità perpetua” di Maria in un’ottica teologica. La sua unica ragion d’essere una Maria sempre vergine la trova nell’idea del sesso come peccato, da cui quindi la donna senza peccato non poteva che astenersi. Ne consegue che qualsiasi aspirante santo non può che seguire l’esempio della Santa Famiglia e astenersi da rapporti sessuali.
Passione per antonomasia, il sesso rimane comunque solo una delle passioni da cui il santo deve tenersi lontano. Ma anche per le altre non c’è molta differenza: digiuno e penitenza restano le caratteristiche peculiari dei santi. Il santo non ama mangiare, il santo non ride. Per questo l’umorismo è stata la qualità più censurata nei santi, a cominciare dallo stesso Francesco. Oggi abbiamo un Papa che è un umorista molto abile nell’arte del sarcasmo, eppure si continua ad associare il cristianesimo al “sorriso”, al “buonumore”, mentre ancora si diffida della risata e del “sentimento del contrario”.
Come accennavo, questa visione della santità appartiene però alla Chiesa degli ultimi cinquecento anni: i primi santi non erano uomini perfetti che si tenevano lontani dal peccato, ma testimoni della fede, che avevano versato il sangue per essa. Non a caso i primi santi sono tutti martiri: quando finiscono le persecuzioni, e non si può più diventare santi con il sacrificio della vita, nasce il monachesimo, che in origine vuole essere un “automartirio”. Ancora nel medioevo la santità è in gran parte associata al martirio (nemmeno Francesco ne è immune, quando va alla crociata). Ma una morte eroica può riscattare anche una vita di peccato: quando la santità non è più associata al martirio ecco che nascono i santi-santini.
Così come diversi Santi intraprendono imprese straordinarie, affrontando ad esempio mostri di matrice iniziatica quali draghi o basilischi, altri sono connotati da caratteristiche che ne sanciscono l’eccezionalità e la fulgida partecipazione alla Sfera Sacra, fino a possedere qualità mostruose e prodigiose. Laddove l’irlandese Liban (Murgen), ad esempio, santa in forma di sirena medioevale, è però divenuta tale, come lo sventurato licantropo Saint Roman, Santa Thermutis, madre di Mosè nella religiosità popolare, nasce invece quale rivisitazione della dea egizia Renenutet, ibrido tra donna e cobra. Il celeberrimo e veneratissimo San Cristoforo, servitore di un demone convertitosi dopo l’incontro col piccolo Gesù traslato con premura da una sponda all’altra di un fiume, appartiene al Popolo mostruoso dei Cinocefali, esseri dalla testa di cane, animale collegato alla morte e pertanto a rinascita, rinnovamento ed elevazione. L’impressione è tuttavia che la mostruosità costituisca qui il punto di partenza: l’elemento abbacinante, che divelte angusti limiti, alberga nell’agire del mostro, nel suo gesto di mera, dirompente abnegazione: il sovrumano manifesta e squaderna la gamma incommensurabile delle possibilità umane. Per quanto possa apparire peregrino in questa sede, citerò Blake, secondo cui la strada dell’eccesso conduce al palazzo della saggezza, e Nietzsche, secondo cui il vero amore promana sempre dall’eccesso e mai dal difetto. Cosa ne pensa?
Come ho già detto non sono un esperto di tradizioni popolari o di mitologia quindi non ho molto da aggiungere a questo discorso. Sicuramente l’idea che “la strada dell’eccesso conduca al palazzo della Saggezza” e che “il vero amore promana dall’eccesso e non dal difetto” mi fanno pensare proprio a Francesco d’Assisi, santo dell’eccesso e non certo del difetto (da giovane amava cucirsi da solo vestiti eccentrici, da Poverello ama iperboli come l’idea che a Natale i muri vadano spalmati di carne), ma anche a Gesù stesso, che nel Vangelo “esagera” sempre, anche quando compie miracoli, si pensi alle nozze di Cana o alla moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Il concetto va in contraddizione, invece, con la visione monastica-penitenziale della santità, secondo la quale – al contrario – Dio si troverebbe nelle privazioni e nella mortificazione.
La verità è che, come accennavo prima, abbiamo due visioni della santità quasi agli antipodi, prima e dopo la Controriforma. I santi antichi e medievali sono uomini pieni di passione: da sant’Antimo – zombi, assassino e vendicatore – a sant’Agostino, uomo particolarmente passionale che pregava dicendo “dammi castità e continenza: ma non subito!”.
Come ho scritto nel mio libro Zombi. Strane storie di santi abbiamo agiografie splatter, che sembrano romanzi di avventura che mirano all’intrattenimento più che all’edificazione spirituale. Anche i primi eremiti persino nell’ascesi e nella privazione sono spettacolari e dediti agli eccessi: pensiamo agli stiliti, che vivevano in cima a una colonna.
Insomma il santo antico e medievale è pieno di passione, di vita vissuta, non alieno alla guerra e alla sensualità, in costante lotta – anche fisica – contro il male, mentre il santo settecentesco e ottocentesco è un angelo, un uomo che tende a rifiutare la contaminazione con il mondo. Insomma passiamo da una santità “Sesso, droga e rock ‘n roll” al modello “Non bevo, non fumo e non dico parolacce”. Si pensi a santi bambini, divenuti emblemi di purezza, come Maria Goretti e Domenico Savio, che scelgono di morire piuttosto che peccare. Santi dediti unicamente alla preghiera, che rifiutano di “sporcarsi le mani” con il mondo e passano la vita a recitare il rosario. Quindi, sì, passiamo da “santi per eccesso” a “santi per difetto”.

I Santi, la Storia, la Cultura, il passato e il presente
Figurano varie categorie di Santi: fra di essi si annoverano ad esempio Padri e Dottori della Chiesa come Sant’Agostino o Santa Teresa d’Avila, ma anche inesorabili inquisitori e “difensori della vera fede” come San Carlo Borromeo. Le faccio una domanda ardita e sfrontata: ritiene che esistano santi controversi, che non dovrebbero essere tali, la cui canonizzazione è stata avventata o sconsiderata o risulta contestabile e deprecabile fuori dal suo contesto?
In un’ottica “purista” di santi degni di questo titolo penso che ne resterebbero davvero pochi. La “Cancel culture” rischia di far fuori anche le figure più popolari, basti pensare alle ombre che il caso di Emanuela Orlandi sta addensando sulla figura del santo contemporaneo più amato in assoluto, ovvero Giovanni Paolo II. Ma non dimentichiamo come la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta sia rimasta bloccata per anni, quando dai suoi quaderni era emersa una crisi di fede. Francamente penso che tutti i santi siano controversi, per un motivo o per l’altro. Ma, per l’appunto, i santi non sono angeli: sono testimoni. Non sono cristiani perfetti, ma sono uomini e donne che hanno fatto qualcosa di importante per la fede.
Poi se mi chiedi se c’è qualche santo che mi sta particolarmente antipatico, beh, non posso negare la mia avversione per san Bonaventura, che si è reso colpevole della censura e della falsificazione di Francesco d’Assisi. Difficile per me anche provare simpatia per Bernardo da Clairvaux, un santo che incitava la crociata sostenendo che uccidere un musulmano non è omicidio ma “malicidio”. Ma ripeto: in un’ottica “purista” nessun santo si salverebbe, perché tutti gli uomini sono peccatori, anche i santi. Eppure proprio quest’ottica “purista” ha portato a proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, per rendere la madre di Gesù aliena da qualsiasi peccato, persino quello originale.
I Santi sono spesso accompagnati, a cominciare dagli Evangelisti, da animali dalla valenza simbolica. La devozione popolare ha però prodotto, nel XIII Secolo, un santo animale a tutti gli effetti: il levriero Guignefortis. Esso venne trafitto dal signorotto suo padrone convintosi, vendendolo imbrattato di sangue, che avesse sbranato il figlio, prima di scoprire, esterrefatto, che l’eroica creatura aveva invece fronteggiato un serpente proprio per proteggere il piccolo. Già nella Bibbia l’asina dell’indovino Balaam, dimessa eppure tenace, in grado di avvertire la presenza dell’Angelo come gli asini della tradizione Assira di captare la voce degli dei, pur se incompresa, angariata e vilipesa dal suo padrone si prodiga tuttavia volitiva per proteggere quest’ultimo dalla furia di Dio, scongiurandola. Laddove nei Bestiari sapienziali gli animali, in virtù della loro natura di segni, sono totalmente ascritti e compresi nella dimensione Divina, e l’essere scevri di coscienza (affermazione oggi controversa) conferisce loro, come asseriva Emil Cioran, qualcosa di sacro (Malebranche, nel XVII Secolo, li riteneva ad esempio immuni al Peccato Originale), nondimeno proprio l’assenza di consapevolezza che li depriva della possibilità di scelta inficia, paradossalmente, l’autenticità di questa partecipazione. Il culto tributato a Guignefortis venne naturalmente osteggiato con risolutezza dalla Chiesa; tuttavia, anche alla luce delle attuali conoscenze in merito all’intelletto animale, reputa tutto ciò così assurdo? Qual è la sua opinione a riguardo?
Il rapporto del cristianesimo con gli animali è molto interessante. Oggi papa Francesco – che è il più ecologista dei papi – finisce spesso sotto l’accusa degli animalisti perché non perde occasione per ribadire che un cane o un gatto non possono sostituire un figlio.
Sicuramente per secoli la Chiesa ha avuto un atteggiamento specista negando anima e dignità agli animali. Va anche detto che, a dispetto dei luoghi comuni (e delle affermazioni false che gli vengono attribuite sui social), Francesco d’Assisi non ha mai superato questa visione, pur avendo un rapporto fraterno con tutte le creature. La prima grande novità l’ha portata invece papa Giovanni Paolo I, quando ha detto a un bambino che avrebbe ritrovato in paradiso il suo cane. Oggi Francesco non ha dubbi nel riconoscere “il soffio divino” negli animali. D’altra parte ci vuole una gran presunzione per sostenere che alla fauna manchi la “consapevolezza” di cui noi umani saremmo invece dotati. La verità è che non abbiamo idea di quale sia il rapporto degli animali con il divino.
Vinicio Capossela sostiene che la differenza tra l’uomo e le bestie è che l’uomo è in grado di rivolgere lo sguardo al cielo, mentre il maiale – per esempio – è condannato a guardare solo per terra. Beh, io ho una cagnolina e posso testimoniare che il cielo lo guarda eccome. I gatti, poi, con il loro fissare l’orizzonte appaiono come dei veri e propri mistici.
C’è una gustosa barzelletta, a questo riguardo. Il cane guarda il suo padrone e pensa: “Mi dà da mangiare, mi fa la cuccia per dormire, si prende cura di me quando sto male: deve essere Dio”. Il gatto guarda il suo padrone e pensa: “Mi dà da mangiare, mi fa la cuccia per dormire, si prende cura di me quando sto male: devo essere Dio”.

La Santità e il presente: corda tesa fra il passato e il futuro
Il mirabile scrittore di fantascienza Anthony Boucher, uno dei pochi, fra gli ottimi autori ed autrici, a possedere un’impostazione religiosa, scrisse nel 1951 il noto racconto La Cerca di Sant’Aquino (The Quest for St. Aquin). In esso, una Tecnarchia che controlla il Sistema Solare ha bandito le religioni. Il Papa, che mantiene segretamente il proprio ruolo, invia un sacerdote alla ricerca di un misterioso individuo che si è profuso per preservare e propalare la fede, compiendo addirittura miracoli. Quando il sacerdote ne rintraccia le spoglie incorrotte, attonito si accorge di avere innanzi a sé un robot, che ha in tutta probabilità inferito razionalmente l’esistenza di Dio e agito di conseguenza. A caldo, considerando anche il fatto che i Robot, nella concezione di Asimov, con la loro moralità necessaria, intangibile ed insormontabile, rappresentano un caso limite (parafrasando il concetto di Karl Jaspers) che li assimila in qualche modo all’Uomo Sacro secondo Lutero, quali pensieri e riflessioni le stimola e le suggerisce un’immagine così inusitata e sconcertante?
Sicuramente la tecnologia ha un fortissimo impatto sulla teologia. Le domande che pone sono tante: quale è il confine della vita? Che cos’è l’anima? Se potessimo salvare su un hard disk tutte le conoscenze di un uomo e poi trasferirle su una macchina, avremmo ottenuto la vita eterna? O avremmo una sorta di zombi robotico?
Quella che chiamiamo anima è solo memoria o esistono davvero quei 21 grammi di cui ignoriamo l’origine e il destino? Siamo macchine estremamente sviluppate o involucri in cui è stato soffiato qualcosa di divino?
Sono domande pesanti alle quali difficilmente questa vita concederà una risposta. Ma è significativo che nella teologia cristiana profonda, ovvero il Vangelo spogliato di tutte le tradizioni successive, è totalmente assente il concetto di anima, così come quello di paradiso. Gesù non parla di anime dannate ma “incenerite” e fa riferimento alla resurrezione della carne. Per gli ebrei, d’altra parte, non c’è distinzione tra corpo e anima: la persona muore e risorge dopo il giorno del giudizio, nella sua interezza. Ma devo ammettere che anche la prima “foto” di un buco nero mi ha suscitato profonde riflessioni teologiche. Dei buchi neri ipotizzavamo l’esistenza senza averli mai visti, oggi sappiamo che esistono davvero. Forse Dio è come i buchi neri?

Oggi è il giorno dedicato a San (Padre) Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione, ultimo santo cristiano ammantato di mistero, intorno a cui sono sorte, al netto della enorme devozione popolare di cui gode, numerose leggende, e a cui sono state attribuite prerogative ed imprese coronate, come la partecipazione alla presunta “guerra magica” combattuta sul piano etereo contro gli stregoni Nazisti; ma che è anche bersaglio, di converso, di molte riserve e perplessità, quando non viene apostrofato come impostore. Cosa ha da dirci su di lui?
Di santi ammantati di leggenda e connessi con il nazismo in realtà, ce ne sono anche altri. Sempre restando nella famiglia francescana un esempio illustre è Massimiliano Kolbe: di lui conosciamo bene la vita, ma non sappiamo nulla della morte. Eppure è proprio la morte eroica ad Auschwitz ad averne fatto un santo. Krzysztof Zanussi, che ha raccontato la sua storia in ben due film, mi ha spiegato come – in realtà – il suo martirio, pur essendo avvenuto appena ottant’anni fa, è leggendario, perché non abbiamo documenti che lo provano e l’unico testimone (l’uomo che avrebbe salvato dalla morte) è totalmente inattendibile, avendo cambiato ripetutamente versione: prima raccontò la storia del martirio, poi disse che non era vero niente e che era stato pagato dai frati francescani per raccontarla, poi ritrattò ancora dicendo che era stato costretto a ritrattarla dal governo comunista.
Riguardo a Padre Pio, non ho molto da dire perché è una figura che non ho mai approfondito, probabilmente perché è espressione di una religiosità arcaica che non apprezzo molto. Trovo che Pio da Pietralcina sia esattamente agli antipodi rispetto a Francesco d’Assisi: da una parte abbiamo uomo medievale proiettato nel futuro, dall’altra un uomo contemporaneo custode di un concetto medievale di santità. Vedi, Francesco mi piace perché raccoglie fan, amici, ammiratori, appassionati, seguaci. Pio invece è pieno di devoti.
Francesco non fa miracoli: il grande miracolo è la sua stessa esistenza e la capacità di parlare oggi a tutti. Pio deve invece la sua popolarità proprio ai miracoli – tanto da vivo quanto da morto – e ho già detto che cosa penso dei miracoli attribuiti ai santi. Francesco è stato precursore del dialogo interreligioso e di quello che la Chiesa ha iniziato a fare con il papa che ne ha preso il nome, mentre Pio si è scontrato contro tutta la “modernità” della Chiesa: dalla scienza (si pensi al conflitto con padre Gemelli) al Concilio Vaticano II. Per non parlare delle stimmate: Francesco le teneva nascoste e non permetteva a nessuno di vederle, tanto che furono scoperte solo dopo la sua morte, mentre in Padre Pio sono diventate un clamoroso segno distintivo che lo ha reso celebre per tutta la sua vita, per scomparire proprio alla vigilia della morte.
Quindi, ecco, di padre Pio posso dire che non lo conosco bene, ma non credo che lo conoscano bene nemmeno la maggior parte di quelli che se ne dichiarano devoti. Ma io di certo non sono un suo devoto, come non lo sono di nessun santo.

I Santi oggi: i volti sempre nuovi di figure antiche
Se nel romanzo Il Santo, 1905, di Antonio Fogazzaro, abbiamo un eccentrico erudito taumaturgo che si ritrova a sfidare la Chiesa, nell’estroso e singolare I Miracoli di Val Morel, 1971, Dino Buzzati restituisce una Santa tanto austera quanto stravagante come Santa Rita da Cascia alla sua dimensione pagana e popolare, facendola combattere contro ogni genere di deliri, ossessioni, mostri, entità sovrannaturali, robot ed extraterrestri… Il Santo, personaggio ideato nel 1928 da Leslie Charteris, sorta di spregiudicato giustiziere, porta il nome di Simon Templar, evocando dunque figure eretiche ed esoteriche come Simon Mago e i Cavalieri Templari, ma dissimula abilmente la propria identità, al pari di Lupin, utilizzando appunto, ogni volta, appellativi di Santi. La narrativa sembra ricordarci che il Santo sarà sempre, di base, una figura sovversiva ed inafferrabile, collocata sulla linea imponderabile, evanescente, catastrofica, fra ortodossia ed eterodossia. Cosa ne pensa?
Sovversiva e inafferrabile, evanescente e sospesa fra ortodossia ed eterodossia. Credo che sia proprio ciò che è emerso da questa conversazione. Tra i santi troviamo tutto e il contrario di tutto: figure tormentate da passioni di ogni genere e figure angeliche aliene da ogni passione e anche il confine tra ortodossia ed eterodossia è molto labile. Basti pensare a figure come Giovanna d’Arco, prima arsa al rogo come eretica e poi proclamata santa o – viceversa – a padri della Chiesa come Tertulliano, che ha contribuito a impostare la dottrina cattolica salvo poi morire da eretico. Poi ci sono santi improbabili e riluttanti come Giuseppe da Copertino e Margherita da Cortona e donne gigantesche come Teresa d’Avila, Chiara d’Assisi e Caterina da Siena. O ancora Jan Hus, finito al rogo come eretico ma associabile in tutto e per tutto a un santo. Celestino V, poi, era venerato come santo da vivo, cadde in disgrazia da morto a causa della contrapposizione con papa Bonifacio VIII, suo successore, e fu fatto santo “per dispetto” da un successore – e oppositore – di Bonifacio stesso.
D’altra parte le canonizzazioni hanno mantenuto fino ad oggi una valenza fortemente politica: basti pensare a Giovanni Paolo II che – arrendendosi alla devozione popolare – è costretto a proclamare beato un vessillo dei progressisti come Giovanni XXIII ma, per una sorta di “par condicio”, insieme a lui proclama beato Pio IX, l’ultimo papa Re. E a papa Francesco, anche lui quasi costretto dalla devozione popolare a proclamare santo Giovanni Paolo II, ma insieme a lui canonizza proprio Giovanni XXIII. Non dimentichiamo che tra gli altri santi proclamati da Francesco figura anche Oscar Romero, vescovo martire della dittatura del Salvador, per decenni ostracizzato in Vaticano e in quell’America Latina da cui proviene Bergoglio.
Sicuramente quello dei santi non è un “club” esclusivo: è invece una “comunione” capace di sintetizzare la storia della Chiesa in tutta la sua potenza e la spiritualità, l’innovazione e le contraddizioni. Per questo io trovo che le vite concrete dei santi siano molto più affascinanti della mitologia antica e più appassionanti di quella moderna dei fumetti e del cinema. Per me i santi sono veri e propri supereroi: come i supereroi hanno ognuno un “potere”, ma anche fragilità, un passato tormentato e una missione. Ma francamente penso che la Leggenda Aurea sia molto più interessante delle saghe Marvel!

A proposito di santi sovversivi e dirompenti, lei sta realizzando un cortometraggio, ora in post produzione, su San Francesco d’Assisi. Cosa ha da dirci su una così rinomata, intrepida e significativa figura? Può infine accennarci qualcosa sui suoi progetti attuali, imminenti o futuri?
Il corto è già diventato, in realtà, un lungometraggio: il primo film dedicato al primo presepe. Quella di Francesco è una figura straordinaria, tanto popolare quanto sconosciuta nella sua vera identità. Di lui si conoscono poche cose che nutrono luoghi comuni e che, pure, bastano a renderlo così amato. Ma Francesco è ben più che “il santo che parlava con gli uccellini” o il primo poeta della letteratura italiana. E’ stato un rivoluzionario radicale, che ha subito però una censura durata quasi mille anni; una storia che non tutti conoscono e che sembra uscita dal Nome della Rosa: nel 1266 Bonaventura da Bagnoregio, allora capo dell’ordine francescano, dopo aver scritto una biografia di Francesco in cui di fatto lo “normalizzava” e lo assimilava a Cristo stesso (rendendolo quindi inimitabile), ordinò la distruzione di tutte le biografie precedenti, imponendo quindi un’immagine unica e falsata di Francesco. Ci sono voluti secoli per recuperare l’identità reale del “Giullare di Dio”: nel 1922, a Perugia, è stato scoperto un manoscritto in cui, nel 1980, sono state identificate le memorie di Leone, Rufino e Angelo, i tre compagni più intimi di Francesco. Da quei testi – ancora sconosciuti al grande pubblico – emerge una figura incredibile, lontana dal “santino” di Bonaventura, ma anche dalla figurina naif dei Fioretti: un carattere forte, dotato di uno straordinario senso dell’umorismo, e di una sconcertante modernità. E’ proprio su questi testi – mai rappresentati al cinema o in televisione – che si basa il mio film, che è interpretato, peraltro, da un vero frate francescano (Alessandro Brustenghi, tenore celebre in tutto il mondo) ed è basato sugli studi che porto avanti da quasi trent’anni sull’umorismo di Francesco e su un testo teatrale che è stato portato in scena, tra gli altri, anche da un gigantesco comico come Francesco Salvi. Nel film, peraltro, torna ad interpretare il ruolo di frate Leone Fabio Bussotti, che vinse il Nastro d’Argento per il Francesco di Liliana Cavani.
Oltre alla realizzazione di questo film, che rappresenta il mio debutto alla regia e il coronamento di un sogno inseguito per quindici anni, sto lavorando ad un libro dedicato proprio ai film su Francesco d’Assisi. Restando ai santi, continuo a lavorare sulla figura di San Valentino, sia con un festival (il Valentine Fest) e con un premio in programma nel mese di febbraio, sia con la narrativa. L’idea è quella di costruire una vera e propria saga incentrata su questo straordinario personaggio.
Spesso vengo accusato di essere “dissacrante”, ma è proprio questo che voglio fare: dissacrare, perché è esattamente quello che ha fatto Gesù Cristo: abolire il regime del sacro, demolire il muro che separa l’uomo e Dio per rimetterli in connessione.
In generale il mio lavoro sui santi è sempre quello di togliere l’aureola, tirarli giù dall’altare e riportarli in mezzo a noi. Molti si scandalizzano: “Fai parlare san Francesco come un uomo qualsiasi” hanno detto della mia sceneggiatura. Perché oggi pensiamo ai santi come pretini che parlano forbito e non possono sentire parolacce.
“Penso che anche Gesù ogni tanto sudasse, e stesse in ritardo” dice un personaggio di La via latteadi Bunuel, mentre Alessandro D’Alatri, in I giardini dell’Eden, ci ha raccontato Jeoshua come un giovane in ricerca. Fatichiamo a pensare Cristo come un uomo, e ai santi come a persone come noi.
Dio si è fatto uomo, e noi abbiamo trasformato quell’uomo in un Dio. Altri uomini, per avvicinarsi a Dio, hanno cercato di seguirne l’esempio, e noi abbiamo trasformato anche loro in divinità, allontanandoli da noi e – di conseguenza – allontanandoci da Dio.
La verità è che li abbiamo messi tutti sull’altare perché così ci danno meno fastidio: non ci disturbano, non ci provocano. E’ molto più facile chiedere la grazia che seguire l’esempio!