Trema la notte: il racconto del terremoto di Messina di Nadia Terranova

Nadia Terranova non ha bisogno di presentazioni. La sua lunga carriera letteraria la precede, avendo scritto romanzi di successo pubblicati dalle più grandi case editrici italiane e straniere. Siamo andati a disturbarla per parlarci della sua ultima fatica, Trema la notte, edito da Einaudi. È un romanzo, questo, ambientato nella sua terra d’origine: lo Stretto. Si apre con la catastrofe del terremoto del 1908, di cui i messinesi portano ancora una cicatrice nel cuore. Poi, mediante i due protagonisti speculari, Barbara e Nicola, riflettiamo su tematiche attuali e profonde come la violenza, fisica e psicologica, l’origine del trauma, l’importanza del libero arbitrio e del rifiuto di una società costruita per schemi, la possibilità di distruggersi e reinventarsi. Ma sentiamo dalle parole di Nadia cosa ha da dirci sul suo romanzo.

Il romanzo si apre con un evento catastrofico, il terremoto in Sicilia del 28 dicembre 1908, un fatto realmente accaduto. Che peso ha avuto per Messina questa calamità naturale?

Molto, non solo per i messinesi che ne sono rimasti travolti, ma anche per tutti noi. Il terremoto è come una slavina che distrugge tutto e sopra quelle macerie si ricostruisce una città nuova, anche se forse è più giusto dire che non nasce mai del tutto. Siamo figli e nipoti di quell’evento, nasciamo da questa ferita, da questa crepa profonda del terreno e della storia della città. Provo a raccontare il terremoto attraverso le parole, il lessico, il linguaggio di una ragazza dell’epoca, che utilizza una lingua in parte sontuosa e oracolare perché è una sopravvissuta. Inserisco dei piccoli termini che danno l’idea di una lingua che fu, ma che non riproducono con precisione assoluta quella lingua perché altrimenti la storia non sarebbe stata fruibile ai lettori contemporanei.

La copertina di Trema la notte

È giusto affermare che i due protagonisti, Barbara e Nicola, sono legati a doppia mandata tra di loro?

Sì, certo, sotterraneamente perché il lettore scopre solo a un certo punto del romanzo il legame tra di loro, che poi si ricongiungerà alla fine. Le loro vicende avanzano alternativamente, specularmente, un po’ come le terre dello stretto – Messina e Reggio Calabria – si specchiano tra loro.

Parliamo appunto delle due città. Possiamo dire che anche loro sono delle grandi protagoniste di questo romanzo?

Sì, lo sono entrambe. Piano piano nella scrittura sono diventati luoghi che parlano e questo mi è parso subito molto chiaro durante la scrittura del romanzo.

Qual è il tuo rapporto con la tua città d’origine?

Vivo a Roma da quasi 20 anni, ma resto molto legata a Messina, dove sono nata e cresciuta. Ho una casa là e ci torno spesso. Il mio legame con Messina è fortissimo, si è fortificato ancor di più nel ricostruirla letterariamente. Emergeva a poco a poco dalle parole che scrivevo e penso sia per questo che sono diventata anche una scrittrice dello stretto, oltre ad una questione di origine.

Ogni capitolo di questo libro si apre con una carta dei Tarocchi. Che ruolo hanno avuto nella scrittura di questo romanzo?

Ho iniziato a scrivere giocando con gli arcani maggiori, poi le carte sono entrate dentro al testo. Sono diventate parte del gioco narrativo, così come la magia con il personaggio di Madame. I personaggi interrogano non tanto il futuro, ma il presente, alla ricerca di senso.

La scrittrice Nadia Terranova

Soffermiamoci un attimo a considerare la Natura. Utilizzerò dei termini tanto cari a Leopardi. È vero che la Natura nel romanzo è maligna per la vicenda del terremoto, ma anche benigna per l’opportunità che offre a Barbara e a Nicola di ricostruirsi una vita al di là delle situazioni che li soffocavano?

Sì, è verissimo. Per me era interessante raccontare il terremoto non solo come perdita e distruzione, ma anche come purificazione per i personaggi della loro vita precedente e della violenza che l’ha caratterizzata.

Barbara come donna, chi è e cosa rappresenta?

Diciamo che per me Barbara è il personaggio che incarna quel tipo di femminilità che noi conosciamo attraverso le nostre nonne, che hanno dovuto difendersi dal patriarcato e hanno trovato forme alternative di resistenza, spesso nei libri. Barbara infatti è grande lettrice e sogna di fare la scrittrice. Trova nelle storie delle altre donne una forma di coraggio, una spinta che altrimenti non avrebbe avuto. È una donna “di spiriti liberali”, come scrivo nel romanzo in riferimento a Letteria Montoro, una scrittrice poco conosciuta, ma realmente esistita, importante per i messinesi perché porta il nome tipico della città che viene dalla Madonna della Lettera, patrona della città. È una scrittrice che ha raccontato una forma contorta di ribellione femminile.

Quanto è attuale il ruolo che Barbara compie nella lotta al patriarcato?

Il patriarcato è duro a morire, è vivo e forse più insidioso, sotterraneo, per cui ci tocca una fatica doppia nel combattere per i nostri diritti.

Parliamo di Nicola, undicenne di Reggio Calabria che si ritrova a perdere tutto nel terremoto e, come conseguenza, non parla più. Come hai affrontato il suo trauma psicologico?

La parola “trauma” mi ha sempre affascinato e compare spesso nella mia scrittura, fin dai tempi di Addio ai fantasmi. Ha un’assonanza con una parola tedesca che significa “sogno” perché in effetti il trauma sembra un sogno. La violenza che lega Barbara e Nicola sembra sognata e allucinatoria, ma è reale, anche se loro ci mettono dieci anni per capirla ed elaborarla. Mi interessa come questa parola riverbera non solo nelle loro vite, ma anche nelle vite quotidiane di tutti.

Grazie a Nadia Terranova.

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