“A modo mio”: spettacolo di Riccardo Marongiu, autore teatrale, musicista e compositore

Riccardo è l’autore di due musical moderni: “Romeo and Juliet” in lingua inglese e “Orlando Furioso” liberamente ispirato al poema di Ariosto. In attesa di metterli in scena così come sono scritti, li propone agli spettatori in una forma ridotta. In più, va in scena come musicista – da solo e all’interno di più band – si esibisce come attore e scrive i propri testi per il palcoscenico. Si dedica anche ai romanzi.

“Romeo and Juliet” e “l’Orlando Furioso”: esperimenti artistici ancora da realizzare in pieno

Riccardo, tanti artisti hanno un nome d’arte. Hai mai pensato di prenderne uno?

In effetti sì, qualche volta ci ho pensato, ma la cosa non mi ha mai convinto e ho sempre usato il mio nome. A dire la verità, nei primi anni 80 ho utilizzato uno pseudonimo per un disco di musica dance, solo perché mi vergognavo un po’ ad associare il mio nome a quel tipo di musica. Oggi non me ne frega niente di fare questo o quello, ma allora ero un po’ fondamentalista e non volevo far sapere che mi piaceva altro, oltre alle musiche di “alta cultura”. Non lo dicevo troppo in giro ma a me piacevano un sacco Barry White, Earth Wind and Fire, Trammps, Donna Summer, Nile Rodgers e tanti altri.

Altri tempi.

Un Capon che sia Vertiero

La tua vita e il percorso artistico iniziano sul Lago di Garda. Che ricordi ne conservi? Come hanno influito sulla tua arte?

Sul Lago di Garda ci sono nato, proprio a Garda, il paesino che dà il nome al Lago, un posto meraviglioso, magico! Sono andato via da infante, ma ci sono sempre tornato a casa dei nonni per le vacanze estive: una casetta da Hansel e Gretel con un cuore ritagliato nelle imposte delle finestre… Che ricordi!

Come hanno influito? Non saprei, né più né meno, come tutto quello che c’è nel mio DNA: padre sardo, madre trentina, nonna austriaca, bisnonna slovena. Una faccenda complicata!

Nella prima parte della vita ho vissuto in tanti luoghi e me ne sono sempre andato in giro curiosando qua e là! Guardando attentamente ho imparato cose… mi è sempre piaciuto usare sia la mente che le mani. Ecco, questo sì che mi ha influenzato.

Quali sono gli strumenti che hai imparato a suonare e come ti ci sei appassionato? Dopo esser diventato una specie di “uomo orchestra”, qual è lo strumento con cui ti identifichi di più?

Non avevo ancora sei anni e mi mandarono a lezione di pianoforte, che fece la sua bella comparsa nel salotto di casa. Studiare musica voleva dire tutte quelle cose noiose come solfeggio, studietti insulsi ed esercizi. Non avevo molta voglia di applicarmi su quella roba e preferivo andarmene in giro in esplorazione del mondo.  Amavo tantissimo la musica, la casa era piena di dischi, dal pop all’opera con una punta di jazz, e ascoltavo continuamente qualsiasi cosa, imparando a memoria soprattutto le parti strumentali. Quello che mi interessava di più era il sentire le parti di ogni strumento e non quello che la gente ascolta principalmente e cioè il testo, che mi prendeva molto meno. Più tardi ebbi in regalo una radiolina con la quale di notte captavo sia le stazioni americane di jazz che soprattutto quelle arabe, con quella musica meravigliosa dove suonano all’unisono in quaranta. Alla fine con il pianoforte suonavo solo gli esercizi dell’Hanon, e poi tutto quel qualcosa che ero riuscito a trovare da solo sulla tastiera, imitando qualche canzonetta. 

In adolescenza la folgorazione: sentii Jimi Hendrix, Vanilla Fudge, Cream e tutta quella bella musica di quel periodo. Dissi: voglio suonare quella roba lì! 

Mi piaceva la batteria fin da piccolo, il mio idolo era Gegè Di Giacomo. A 14 anni riuscii a comprare una, che imparai a suonare intuendone il ruolo dai dischi che ascoltavo. A 17 anni la suonavo professionalmente.

Frequentavo il Liceo scientifico, un giorno un amico venne a fare i compiti a casa portandosi dietro la chitarra, dimenticandola da me. Gli telefonai per avvertirlo e gli chiesi come si accordava lo strumento. Me lo disse, e trovai da solo come fare un po’ di accordi. Sapevo quali note servivano grazie al pianoforte che per questo aspetto è uno strumento fantastico, l’unico con una interfaccia grafica che permette agli occhi di vedere e capire istantaneamente cosa stai facendo. Per la chitarra invece si trattava di fare un conteggio matematico e di imparare a mettere le dita nei posti giusti. La musica è una cosa molto precisa, strutturata sui numeri sacri.

Poi toccò al basso, che grande strumento! Muove la musica dal piano di sotto, dalla pancia, dai visceri, dal primo chakra e, senza che la gente se ne accorga, alla fine si muove con il basso.  

E così via con altri strumenti. Ognuno ha la sua poetica, il suo ruolo, il suo suono…

Misi le mani sul clarinetto, sul violino, sulla tromba ed altri strumenti, così giusto per capire come funzionano. L’armonica a bocca blues mi aveva particolarmente appassionato, ne ho una collezione, così come di altri strumenti. Sarebbe impossibile suonarli tutti come si deve, che uno è già troppo, ma capirne la meccanica con la quale ci si muove lì sopra mi ha aiutato nella scrittura delle parti orchestrali.

In studio di registrazione spesso ho suonato tutto io, ma poi ho scoperto che non mi piace di più l’apporto di altri musicisti. Ognuno ha un’anima, il suo modo, il suo mondo, la sua poetica e aggiunge qualcosa al brano. Intendo, naturalmente, anime vive che maneggiano materialmente uno strumento e non una lavorazione con le macchine, per quanto possa essere interessante.

Da una decina di anni il mio strumento preferito è la chitarra.

E pensare che l’ho sempre suonata fin dall’adolescenza senza darle troppo peso, senza darle importanza, come strumento armonico che ti segue dappertutto.

La chitarra è uno strumento facile all’inizio, uno strumento che in pochi mesi ti dà soddisfazione, permettendo di suonare una canzone, insomma il giro di Do o qualcosa del genere… Poi suonarla bene è tutta un’altra cosa, uno strumento davvero ostico, come andare in montagna. All’inizio il sentiero è in leggera salita, poi diventa sempre più arduo e andando avanti è dal sesto grado in poi. Fare cose complicate con la chitarra è davvero difficile, una sfida. 

Strumento leggero, portatile, non ti blocca lì seduto su uno sgabello. 

Per quello che mi riguarda poi, la chitarra nella composizione è molto diversa dal pianoforte. Seduto a pigiare tasti bianconeri tendo a fare cose più complesse: automaticamente gli accordi si allargano nelle estensioni, compaiono bassi estranei, triadi sovrapposte! Con la chitarra bastano dei power chords!

Mi esprimo in tre mondi chitarristici diversi: il primo è la chitarra classica, la mamma di tutte le chitarre con le sue corde di nylon, poi c’è il mondo del sapore jazz e i suoni clean, quello delle meravigliose chitarre archtop e le buche a effe. E alla fine l’universo solid body, Stratocaster, Les Paul, delay, reverb e tutta l’effettistica, gli amplificatori valvolari…

Dopo tanti anni ho trovato davvero il mio strumento. Viva la chitarra!

Riccardo Marongiu dirige un’orchestra di 150 elementi

La composizione musicale, secondo te, si impara al conservatorio o è un frutto di ispirazione? Quali studi di composizione hai fatto? Li valuti utili?

Non ho frequentato nessun corso di composizione o qualcosa di simile ma ho sperimentato da solo scrivendo di tutto spesso per commessa, il grande motore dell’arte, come gli artisti rinascimentali insegnano! Come il cuoco che, avendo a disposizione un certo numero di ingredienti, li lavora per ottenere cibi prelibati così ho fatto io con la scrittura musicale. Qualche volta la torta è venuta bene, qualche volta no, qualche volta eccellente. Ho scritto centinaia di brani di generi diversi partendo dalla base semplice del cercare di indagare gli elementi costitutivi essenziali di ogni genere. Fosse musica balcanica, musica rinascimentale, pop song o jazz modale, basta afferrarne le procedure per essere “dentro”.

Poi da lì a scrivere un bel brano è altro: ispirazione, tecnica, anima, emozioni.

Sono un musicista creativo improvvisatore con la necessaria dimestichezza sullo strumento. Proprio per questo ho imparato ad abbandonarmi ad un fil rouge interiore che mi conduce momento per momento, senza una ragione, senza un perché.

Ho capito nel tempo che non sono io che creo, ma che piuttosto sono una specie di medium, attraverso il quale fluiscono cose che si manifestano nel mio mondo in forma di musica.

Molti brani mi sono arrivati suonandoli dall’inizio alla fine, una cosa davvero stupefacente. Altri invece hanno avuto lenta evoluzione. Ma devo dirlo, tutto il materiale migliore nasce da una intuizione spontanea, un processo naturale. Ecco, lo studio forse serve a questo, ad essere pronti quando arriva.

Qual è il tuo rapporto con i maestri che hai avuto? A quali artisti invece ti ispiri nella composizione?

Non posso dire di avere avuto dei maestri, nel senso di essere andato a scuola da qualcuno se non quando ero bambino. La mia scuola di musica è quella della vita, quella esperienziale, quella che lo devi fare e basta! Ho cominciato a suonare professionalmente molto presto dovendo fare questo e quello, spesso senza nemmeno sapere cosa fosse, senza averlo mai ascoltato prima ma in genere cavandomela egregiamente. Le figuracce per fortuna sono state poche!

Suonavo in giro per l’Italia, tornavo tardi, tardissimo e dovevo alzarmi presto per andare a scuola.

Ho suonato con centinaia di musicisti di tante parti del mondo. Praticamente ognuno di loro è stato mio maestro anche se spesso me ne sono accorto dopo. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa: oltre agli aspetti musicali come accordi, scale, il timing, il giusto sound, mantenere un groove eccetera, anche cose come l’atteggiamento sul palco, la professionalità, la concentrazione, il rispetto della musica e di quelli che suonano con te e il senso della misura in quello che stai facendo.

Sì, ho avuto centinaia di maestri, grazie a tutti!

Comunque il Conservatorio l’ho frequentato per un po’, giusto il tempo di capire di essere un musicista creativo e non un esecutore e che quella non era la strada giusta per me.

Per la composizione, maestri a cui ispirarsi ce ne sono a bizzeffe, ognuno con le sue peculiarità. Per citare qualcuno comincerei con Igor Stravinsky. A vent’anni ho pianto ascoltando la Sagra della Primavera, giurando che non avrei più tentato di scrivere niente dopo quell’ascolto! Una promessa non mantenuta. Poi Stevie Wonder con le sue centinaia di brani eccelsi. Miles Davis per semplicità ed efficacia. J.S.Bach praticamente per ogni cosa. John Cage per la sperimentazione e la continua invenzione di modalità espressive. Lucio Battisti per l’originalità delle stesure. E poi Richard Rodgers, John Coltrane, Richard Wagner, Antonio Carlos Jobim, Jimmy Page.

Ci sono davvero tanti compositori che mi intrigano.

Concerto in solo Guitar

Come approdi al teatro? Perché nei tuoi spettacoli la musica ha una linea narrativa, e i testi un’altra, ovvero, camminano in parallelo senza incontrarsi mai? Perché non fai un teatro musicale o teatro canzone?

Mi sono approcciato al teatro come light designer. Da lì ad essere affascinato da questo mondo di finzione dove è possibile raccontare di tutto c’è voluto poco. Mi sono buttato nella scrittura di racconti teatrali in cui la musica ha molta importanza. Ho sempre dedicato alla musica un grande spazio a sé stante trattandola non solamente come musica di scena, di atmosfera o di sottofondo.

Meno parole e più note…

Nel tempo ho scritto un bel numero di spettacoli, tutti con musica dal vivo, recitazione e testi declamati, con azione scenica, mimi, ballerine.

Poi mi sono cimentato in lavori più importanti.

Ho scritto due opere interpretando temi storici abusati e proprio per questo degni di sfida, il “Romeo and Juliet” e “l’Orlando Furioso”.

Il Romeo and Juliet in realtà sta a metà strada tra un’opera e un musical.

Prevede il cast di un’opera: cantanti, coro, orchestrina di 13 elementi, mimi e comparse, scene, costumi e azione. Le musiche sono di ispirazione medievale-rinascimentale, anche se suonate con strumenti ottocenteschi. I testi sono in lingua inglese.

Una versione fatta con studenti del Liceo Classico, del Liceo Lingustico, del Liceo Artistico e del Conservatorio, progetto biennale faticoso ma soddisfacente, mi ha portato nel 2009 il premio speciale alla regia del LXII° Festival di Arte Drammatica di Pesaro.

Nel mio sito c’è una pagina dedicata. Nel mio canale YouTube una documentazione video

Del Romeo and Juliet ne ho fatto anche una versione “portatile”, rappresentata molte volte con un cast ridottissimo: i due amanti, un lettore e 5 musicisti.

L’Orlando Furioso è un progetto più complesso e ambizioso, portato in scena come presentazione di brani scelti e ridotta azione scenica. Anche in questo caso le musiche sono di ispirazione medievale-rinascimentale, suonate da una orchestrina di sette elementi, con contributi di musica elettronica.

È un’opera in due atti con nove personaggi principali, coro, figuranti, schermidori, scenografie in proiezione, audio surround 5.1 e contributi video.

Vorrei trovare finanziatori interessati a realizzare questa opera come un film.

Anche in questo caso c’è una pagina nel sito e una documentazione su YouTube: Orlando Furioso.

Riccardo Marongiu dirige l’orchestra CPM

Quali sono le fonti letterarie che ti chiamano e dalle quali sei partito per fare i tuoi spettacoli?

Difficile citare le fonti letterarie, in genere è tutto inconscio. Mi piace inventare ma anche ispirarmi ai grandi classici. Ecco spettacoli ispirati alle “Mille e una notte”, alla “Divina Commedia” scritta insieme a Claudio Tombini. Poi sulla tematica della “Shoah”, la poesia d’amore nei secoli, i poeti maledetti, la Beat Generation. 

Sono orgoglioso di aver scritto uno spettacolo incentrato sui canti della tradizione contadina dell’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino. Tutti i testi sono ripresi dalla tradizione ma quasi tutte le musiche sono mie, scritte con scrupolosa attenzione filologica, cantate in coro e suonate con organetto, tamburello e chitarra.

“Un capon che sia vertiero” è stato rappresentato nel 2017 in forma di concerto-spettacolo nella XXXV edizione del Cantamaggio di Morro d’Alba.

Parlaci dei tuoi scritti, i romanzi che hai pubblicato e le case editrici che hanno reso possibile l’uscita di queste opere.

A cinque anni sapevo leggere e scrivere, mi riusciva in modo molto naturale. A sei anni lessi il mio primo libro importante, “Una città galleggiante” di G. Verne, poi via via divorando prima la biblioteca di mio padre e poi tutto il resto, leggendo migliaia di titoli di narrativa.

Pur avendo letto tanto, non ho mai dato troppa importanza all’esprimermi con le parole, mi sembrava un mezzo di espressione limitato, di godimento locale, utile per brevi comunicazioni di servizio. Poi bisogna prestare grande attenzione all’interpretazione. Ogni luogo sul pianeta ha il suo proprio linguaggio. Se scrivi qualcosa lo possono capire e godere solo quelli che abitano vicino a te! Sennò bisogna tradurlo, spesso perdendone il significato originario. Ecco perché andrebbe letto tutto in lingua originale.

In musica questo problema non esiste, visto che si tratta di un’arte che si basa su parametri fisici validi in tutto l’Universo. È così anche nelle arti figurative e plastiche, nell’espressione corporale. Non c’è bisogno di una interpretazione del messaggio, non serve un codice, una sintassi!

Nonostante questo pensiero, negli anni ho cominciato ad usare la scrittura. Dapprima per presentazioni e comunicazioni, poi in forma artistica per il teatro. Infine mi sono cimentato in racconti di grande respiro, veri e propri romanzi.

Il mio primo romanzo è del genere fantascientifico, narra la storia di tre giovani che combinato guai galattici. Si chiama “Il Pianeta Azzurro” ed è stato pubblicato da una casa editrice con la quale ho rescisso il contratto. 

Ho scritto un altro romanzo che si chiama “64”, sempre di genere fantascienza. Ambientato nel mondo della musica, ruota intorno ad un pianista ed un sassofonista che si trovano coinvolti in una incredibile situazione.

Li vendo solo online, come tutto il resto. Sto cercando un editore con il quale avere feeling e non solo commercianti dell’editoria a pagamento.

Ci sono diversi libri in cantiere a cui sto lavorando: un terzo romanzo di fantascienza, un racconto in chiave filosofica e una storia ambientata in un passato ancestrale.

Nel mio sito c’è il Music Blog dove ho pubblicato tanti racconti della mia vita musicale, dell’incontro con personaggi dell’ambiente e curiosità varie. 

Invece le decine di racconti brevi sulla natura umana, il controverso funzionamento della mente, i condizionamenti culturali e quant’altro sono diventati lo spettacolo teatrale “A Modo Mio”, che ho iniziato da poco a portare in giro in formula modulare dove recito e suono da solo o con compagni di viaggio. Ne esiste una piccola documentazione.

A che cosa ti sei dedicato durante la pandemia, un periodo durissimo per ogni artista?

Concordo, dal punto di vista lavorativo è stato come abitare nel Sahara con niente all’orizzonte e la sorgente di acqua della piccola oasi casalinga che pian piano si prosciuga. 

Però è stata anche una grande occasione di riflessione introspettiva.

Fermatosi forzatamente il fare dell’immediato, ho iniziato il processo del guardarsi dentro per conoscersi meglio. Un grande momento mai avuto prima. Credo di essere diventato un altro, con una diversa consapevolezza umana ed artistica, taglio di rami secchi, costruzione di nuovi obiettivi. Sì, mi è costato un sacco di soldi ma la considero davvero una grande occasione di crescita, anche se non dimenticherò di avere vissuto in un tempo in cui la follia dell’essere umano si è manifestata in un modo mai visto prima nella nostra storia! 

Che cosa stai facendo adesso? Quali sono i progetti per il futuro prossimo e quello più lontano nel tempo? Hai la sensazione di esserti realizzato?

Ora vedo più chiaro e sono consapevole di ciò che realmente mi corrisponde, uno scambio vitale nella musica e nell’arte accettando di essere riconosciuto dagli altri nel ruolo di ispiratore, guida, leader. E nello stesso tempo dedicarmi a ciò che più mi appassiona: fare musica servendola nel modo più alto perché, come per Duke Ellington, la Musica è la mia Signora.

Essermi realizzato mi chiedi? Sarebbe come dire che mi sono fermato, meglio continuare con la sensazione che il meglio deve ancora arrivare.

Per il futuro prossimo anzi, per l’adesso, c’è il recital “A Modo Mio”, la band di jazz-fusion “Riccardo Marongiu Group”, lo spettacolo teatrale “L’Italia di Carosello” e la fantastica band dei Rari Ramarri Rurali.

Per il futuro lontano nel tempo, aspettiamo che si avvicini.

Per il passato invece si trovano informazioni, fotografie, discografia e tanto altro sul mio sito 

Augurando a Riccardo Marongiu successi nella rappresentazione di “A modo mio” e nella realizzazione dei suoi progetti più complessi, vi invitiamo ai suoi spettacoli e concerti. Potete conoscere il suo mondo letterario e musicale anche seguendo i link riportati qui sotto.

Canale YouTube

https://www.youtube.com/c/RiccardoMarongiu

Sito

https://www.riccardomarongiu.com/riccardomarongiu.com

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