Il talento multiforme di Giulia Ciarapica: un mondo di libri, scrittura, social e…critica letteraria

Se si è appassionati di letteratura e di libri è impossibile non conoscere il nome di Giulia Ciarapica: una personalità sorridente e positiva del mondo dei social e della critica letteraria. Siamo andati a intervistarla per farci raccontare la sua storia, com’è nata la sua passione, la promettente carriera che sta portando avanti su più fronti, la scrittura dei suoi romanzi e i numerosi progetti che propone al pubblico delle scuole e non. La sua energia ci ha travolto e vogliamo condividere con voi tutti i suoi pensieri.

Com’è nata la tua passione per i libri e la letteratura? Hai un ricordo preciso o è stato un percorso evolutivo di formazione che ti ha portato a considerare l’editoria come opportunità lavorativa?

In realtà, la mia passione per i libri e la letteratura è arrivata un po’ in ritardo rispetto a ciò che si può pensare. Quando ero molto piccola non avevo la propensione, mi piacevano le poesie che mi leggeva mia madre -Recanati era a due passi da casa mia, perciò visitare la casa di Leopardi ha avuto un suo effetto nel farmi appassionare al genere-. Fino ai miei 14 anni non ero una grande appassionata, mentre mia madre dagli anni dell’adolescenza e poi da quelli di studio all’università ha collezionato una modesta biblioteca e un gran bagaglio di letture, che ha continuato a coltivare. In quegli anni, mi piaceva il teatro e mi sentivo portata verso questa forma d’arte. Devo dire che mi è rimasto il rimpianto perché non ho portato avanti questa passione per una concomitanza di scelte.

Nonostante mia madre mi abbia sempre spinto alla lettura, la mia passione nasce nell’estate tra la quinta ginnasio e il primo anno di liceo classico. Il romanzo che lessi e che mi folgorò fu Gli indifferenti di Moravia per poi proseguire con la Morante –L’isola di Arturo è tutt’ora il mio libro preferito-. Da lì è partita una vera e propria escalation, ma ammetto che la passione vera e propria risale ai tempi dell’università, quando il mio studio era più equilibrato. Quando mi sono laureata sapevo che avrei voluto lavorare con le parole, ma non mi sarei mai immaginata una carriera nel mondo dell’editoria, perché di editoria non sapevo niente. È stata tutta una scoperta strada facendo e anche in questo caso, mia madre ha avuto un forte impatto, quando nel 2014 mi esortò ad aprire un blog per fare critica letteraria -io ho una laurea in Filologia moderna-. Da lì è cominciato tutto.

Come collaboratrice giornalistica, attualmente, lavori per Il Foglio. Come scegli i libri da recensire? E come sei approdata a scrivere per grandi quotidiani letterari?

Sì, attualmente scrivo per Il Foglio, ma precedentemente ho curato una rubrica per Huffington Post che si chiamava Food and books dove consigliavo libri in base a delle ricette tradizionali. La prima vera collaborazione giornalistica, però, risale al 2016 ed è stata con Il Messaggero. Mi contattarono in un modo un po’ particolare, l’email arrivò a fine agosto, quando il direttore era in vacanza. Fu proprio lui, che cercava nuovi collaboratori, a sbirciare fra i vari blog e a trovare il mio, nel quale avevo postato una recensione di un libro della Maraini. Gli piacque molto e mi propose una collaborazione. L’estate successiva iniziai a scrivere per Il Foglio per il quale mi candidai io stessa con un paio di articoli di prova. La verità, però, è che scrivere per i quotidiani non è mai stata la mia aspirazione principale. Mi piace, lo faccio volentieri, ma gli spazi limitati, le tempistiche strette e traballanti mi hanno fatto capire che non avrei mai fatto solo la giornalista. Oltretutto non ho mai preso il patentino da giornalista pubblicista, quindi rimango una collaboratrice.

Come scelgo i libri da recensire? Un po’ in base alle proposte che mi vengono fatte e un po’ ai miei famosi ripescaggi -gli autori semidimenticati del Novecento-. Io sono un’italianista, mi occupo soprattutto di autori italiani contemporanei e del Novecento, perciò mi piace molto riscoprire anche queste figure. Ammetto di essere molto libera nella scelta.  

Giulia Ciarapica a Fermo

Sei molto amata e conosciuta anche sui social. La tua pagina personale su Instagram conta più di 16.000 followers e tu stessa, nella bio, ti definisci una book influencer. Hai parlato spesso di come i social ti hanno offerto delle opportunità, ma ci potresti raccontare la tua storia? Come si è sviluppata la volontà di parlare di libri sui network di nuova generazione? Quali erano i tuoi obiettivi? Come ti rapporti, adesso, con la vetrina dei social?

L’idea di sfruttare gli strumenti digitali per parlare di libri nasce, come dicevo, nel 2014 quando come realtà digitale esistevano i blog molto più dei social. Il suggerimento venne proprio da mia madre. Abitando in un paesino marchigiano di 4000 abitanti -Casette d’Ete- mal collegato con il resto d’Italia, per creare dei legami e farsi conoscere il web rappresentava la strada più semplice e immediata. Devo essere onesta, io non l’avevo contemplato per il mio essere nativa analogica, ma piano piano ho scoperto questo mondo che mi dava l’opportunità di autogestirmi e sperimentare. Da qui, poi, è nata la scelta di pubblicare quello che scrivevo sul blog anche su Facebook, successivamente su Twitter e Instagram.

Ciò che passava su Facebook in quegli anni -2014, 2015- ha fatto molto perché era il social più usato, molte persone del settore mi chiedevano il contatto perché venivano a conoscenza dei miei contenuti, così come gli autori e le case editrici. La mia prima collaborazione, che risale al 2016, fu con Giunti editore che mi diede fiducia. Anche la collaborazione con Il Messaggero fu importante perché iniziai a presentarmi ai festival come il Salone del Libro per far conoscere ciò che facevo. È stata una scalata rapida grazie al web e non posso che dire di esserne felice, grata a Facebook prima, a Instagram adesso e da poco ho aperto anche un profilo Tik Tok, nelle cui potenzialità credo molto. È difficile gestire tutto, perché al lavoro digitale si è affiancato quello tradizionale. Mettere insieme tutti i tasselli non è facile per questioni di tempo. La vetrina social rimane per me molto personale. Mi mostro così come sono, senza filtri, e mi piace che le persone mi vedano per quella che sono realmente. In realtà, è stato tutto così veloce che non ho avuto il tempo materiale di capire che cosa volessi fare. Se dovessi rispondere adesso alla domanda, direi che aspiro alla continuità, ma ciò che voglio è proprio questo: amo il mio lavoro, per come lo faccio e per quello che mi offre.

Sei anche ideatrice del progetto scolastico Surfing on books, rivolto agli studenti delle scuole medie e superiori. Ci puoi dare informazioni sul progetto? Come è avvenuta la sua creazione, quali sono le finalità e, soprattutto, cosa ti lascia parlare di letteratura alle generazioni del futuro?

Il progetto è nato qualche anno fa, nel 2017/2018, quando fui contattata da una piccola scuola che mi chiese se tenessi dei corsi di recensioni per i ragazzi. Io accettai con entusiasmo, modulando il progetto in base all’età degli studenti con cui mi relazionavo. Nasce con l’intento di insegnare ai ragazzi come si legge, prima ancora di come si scrive -non parlo di scrittura creativa; quasi nessuno dei miei corsi contempla la scrittura creativa perché io stessa devo ancora imparare bene a prendere la penna in mano e a strutturare un intero romanzo-. Parlo di giornalismo culturale e critica letteraria. Cerco di trasmettere ai corsisti come si legge, come si sceglie un buon libro e soprattutto il mio desiderio è quello di infonder loro quello spirito critico che per me ha fatto la differenza. Spiego quali siano gli elementi da tener di conto quanto si recensisce un testo e quanto la lettura sia un divertimento.

Parlare con le nuove generazioni mi lascia un grande senso di speranza perché non è vero che i ragazzi sono svogliati a prescindere, dobbiamo trovare noi un modo per comunicare ed educarli alla miriade di possibilità che hanno intorno a loro. Oltre alla speranza, mi lasciano anche una forte energia perché il loro punto di vista è aperto, sensibile alle novità e alla tradizione se trasmessa nel modo giusto.

Tra le numerosissime attività che svolgi, figura anche l’insegnante di critica letteraria. C’è stato un cambiamento negli ultimi anni di sentire e fare letteratura? Come si riesce ad oggi a parlare criticamente di un libro?

La critica letteraria, oltre allo studio, è la parte più importante del mio lavoro. Negli ultimi anni è cambiato il modo in cui guardare a un testo, perché è cambiato proprio il testo. Oggi parliamo tanto di una letteratura non fiction troppo agganciata alla realtà -si pensi alla Lattanzi e alla D’Adamo che ha vinto il Premio Strega-. In questo senso, diventa complicato parlare dei libri, perché non stiamo più parlando di testi con una simbologia o degli elementi da “smontare”. L’approccio alla materia è diverso, bisogna comprendere che dietro il libro non c’è solo uno scrittore, ma una persona in carne ed ossa. Ci vuole un approccio delicato, ma non troppo. L’arte della stroncatura è feroce, ma non la vediamo poi così spesso.

Giulia Ciarapica con il suo ultimo romanzo

Nel 2019 è uscito per Rizzoli il tuo esordio da scrittrice con Una volta è abbastanza, seguito nel 2022 da Chi dà luce rischia il buio. Com’è stata l’esperienza di scrivere un romanzo e passare a essere da critica ad autrice che immancabilmente viene sottoposta al giudizio degli altri?

Il passaggio da essere una critica ad un’autrice non è stato traumatico come molti dicono. Avendo io stessa un grande spirito critico, mi è sembrato naturale fare il passaggio al di là della barricata ed essere criticata -tanto che mi aspettavo critiche accentuate-. Scrivere romanzi è una parte del mio lavoro, ma non prevale sulle altre, anche se è quella che intimamente mi tocca di più. Lo gestisco bene, di carattere non mi curo molto del giudizio altrui, perché so che criticano un mio lavoro e non la mia persona.

Nei tuoi romanzi si parla di lavoro, in particolare dei calzaturieri marchigiani, e di come “ogni famiglia è preda di sé stessa”. Ci puoi approfondire questo concetto?

Il lavoro e la famiglia sono i due capisaldi attorno a cui ruota la mia vita, da sempre. Un po’ perché sono cresciuta con la tradizione di questi valori nella mia casa natia, un po’ perché li sento molto miei insieme al paese d’origine.

Ogni famiglia si incarta su se stessa, perché è composta da persone che devono imparare a conoscersi e a relazionarsi con chi, nonostante condivida il tuo stesso sangue, può essere il suo esatto opposto. È preda di se stessa perché è preda dell’altro, dei suoi umori, delle scelte, del carattere. È un rapporto importante e meraviglioso, ricchissimo. Il suo essere preda non ha un’accezione negativa, certamente comprende in sé un certo grado di complessità. Il lavoro non alleggerisce il fardello, ma lo arricchisce. Le decisioni di una famiglia, che nel mio romanzo diventa una famiglia aziendale, si riverberano anche nel vissuto delle quattro mura domestiche. Sono concetti molto legati tra loro, come nel lavoro, così nella famiglia vediamo le cuciture, gli aspetti positivi e le imperfezioni.

Consideri i tuoi romanzi appartenenti al genere delle saghe familiari? A quali opere e artisti ti sei ispirata per trattare di queste tematiche scottanti e il contesto storico (gli anni ’60 per Chi dà luce rischia il buio) in cui sono ambientati?

Sì, considero i miei romanzi delle saghe familiari, però lo trovo non riduttivo, ma non totalizzante. L’aspetto fondamentale dei miei romanzi voglio che resti il lavoro, la professione, perché volevo parlare della comunità dei calzolai. In verità, non ci sono stati autori ai quali mi sono ispirata per le tematiche, perché la lotta dei calzaturifici marchigiani non è stata molto trattata da modelli precedenti. Ci sono stati testi che parlavano delle Marche e delle lotte sindacali, ambientati negli anni Sessanta e Settanta, ma mancava la voce dei calzolai.

Dal punto di vista stilistico, invece, mi sono ispirata -probabilmente non riuscendoci- all’Amica Geniale di Elena Ferrante, soprattutto per Chi dà luce rischia il buio. Ripeto, la Ferrante la ritengo irraggiungibile e non penso di esserci riuscita. Mi preme molto anche il Verismo italiano, come modello.   

Giulia Ciarapica

L’ironia fa parte della brillantezza del tuo carattere, che mostri a 360° gradi attraverso i tuoi profili social. Hai mai avuto momenti di dubbio o sconforto sulla tua carriera? Hai mai ricevuto critiche che ti hanno ferito? Se sì, come ti sei risollevata?

Sono convinta che l’autoironia mi salvi la vita, quindi grazie del complimento. Sì, ho avuto momenti di sconforto, come tutti. C’è stato un momento, nel 2016, prima di essere chiamata da Il Messaggero che ho pensato di mollare tutto perché mi vedevo una ragazza laureata, di quasi 26 anni, che non guadagnava niente. Ho iniziato a guadagnare tardi e sono diventata autonoma soltanto da tre/quattro anni a questa parte. Per me è stata una grande conquista perché mi sono costruita da sola, con un percorso di cui mi sento soddisfatta, ovviamente a discapito dei molti sacrifici che ho dovuto fare per il lavoro. La famiglia mi ha molto aiutato in questi momenti, molte volte anche scuotendomi bruscamente ed esortandomi a fare la famosa gavetta di cui tutti parlano.

Di critiche ne ricevo tante, dal “non sa fare niente” a “ma chi è questa?”. Sono stata anche criticata perché sono sempre sorridente, sebbene sia un modo per dimostrare di essere grata alla vita. Però di carattere non bado molto alle critiche -e questo è sia un pregio che un difetto-. Le critiche più accentuate le considero, ma mi risollevo in poco tempo.

Per ultimo, ma non per importanza, parliamo del tuo gruppo di lettura per Scuderie del Quirinale: Il filo nascosto. Quali libri sono stati protagonisti e quali, se puoi dircelo, hai intenzione di proporre?

Grazie per il riferimento al gruppo di lettura perché ci tengo molto. Voglio ringraziare le Scuderie del Quirinale perché mi hanno dato la possibilità di collaborare con loro. Sono una squadra eccellente, uno staff e un ufficio comunicazione e marketing davvero esaltante per capacità, entusiasmo e intuizione.

È cominciato tutto nel 2022, dopo la mostra Inferno di Jean Clair, che ha avuto un grandissimo successo alle Scuderie. Ho capito che potevo agganciarmi con loro, proponendo il gruppo di lettura, prima solo digitale, ora con un’apertura verso la presenza. Si svolgeva e continua a farlo sulla loro pagina Instagram in collaborazione con la mia. Quelli che abbiamo letto sono libri ispirati alle mostre che ospitano le Scuderie, quindi arte liberata, il superbarocco, adesso c’è L’Italia è un desiderio, dedicata alla fotografia.

I libri che si sono susseguiti sono stati molto vari, dai gialli ai thriller fino ad arrivare ai classici riscoperti, a Tabucchi. Non volevamo proporre libri che parlassero d’arte, ma volevamo invogliare i lettori e gli spettatori delle mostre d’arte a scovare il filo nascosto che c’è tra i libri e le tematiche trattate nelle mostre. Uno dei primi è stato proprio Il filo dell’orizzonte di Tabucchi, abbiamo riletto Elsa Morante. C’è sempre stato grande entusiasmo per queste bellissime letture. Prossimamente abbiamo in serbo sorprese che non posso svelare, ma posso dire che gli appuntamenti in presenza avranno un grande spazio.

Grazie di cuore a Giulia Ciarapica.

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