Solitamente si incontra un artista prima di una mostra, magari durante il vernissage e si sgomita per scambiare due parole ad effetto, beh nel nostro caso questo non accade quasi mai. Al contrario succede che, dopo qualche messaggio, l’incontro con Francesco Ferrari, artista piacentino conosciuto anni fa nel suo casale di Montefiascone a due passi dal lago di Bolsena, si consumi mentre con suo figlio assistente, rimballi i quadri presentati allo Spazio Scena di Trastevere (ex Filmstudio, storico cinema nato nel 1967), per la mostra sui grandi registi del cinema italiano.

Abbiamo incontrato Francesco Ferrari e ci siamo immersi in un universo di immagini e storie piene di significato. Un percorso dedicato al cinema e di cinema intriso
Mi ritrovo così da solo, essendo arrivato in anticipo, nella stanza ancora allestita con soltanto qualche tavola di legno dipinta poggiata sui tavoli. Nessuno mi distrae e posso ammirare i lavori di Francesco, alcuni li avevo già visti dal vivo, ma tutti insieme effettivamente mi hanno colpito. Fellini, Pasolini, Leone, Antonioni, Bellocchio e Bertolucci, poi Avati e la Cavani, di là Moretti con Luchino Visconti e via via tutti gli altri che mi scrutano dai volti ritratti dal pennello tagliente e volutamente ruvido del maestro di Piacenza. Si perché nelle sue opere ci sono i volti dei registi che come ci dirà lui stesso, non sempre sono familiari al grande pubblico, ma qui vengono rappresentati insieme a quelli degli attori nelle scene più iconiche dei loro film. Ecco che improvvisamente arriva l’artista, interrompendo quell’atmosfera surreale creatasi, riportando la realtà alla quale dovevamo attenerci. Qualcosa però non svanisce del tutto perché dopo qualche saluto, lo stesso Ferrari si siede e con mio stupore comincia a parlare di getto raccontando, a fronte di qualche mia domanda, tutta la sua particolare storia.
Allora Francesco come nasce la tua passione per la pittura e quali percorsi e studi ti hanno condotto a sviluppare questa vena artistica?
Il mio istinto verso l’arte si è manifestò sin da piccolo nelle scuole di Piacenza dove sono nato, coltivandolo presso l’Istituto d’Arte “F. Gazzola”, per poi diplomarmi a Parma presso l’Istituto “P. Toschi”. Concludo gli studi frequentando il corso di scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, con un insegnante della levatura di Marino Marini. Per noi studenti era un evento vederlo perché le sue apparizioni erano molto diradate, per via delle numerose mostre internazionali alle quali doveva presenziare, lasciando lo sviluppo dei suoi metodi d’insegnamento agli assistenti. Ricordo con assoluto piacere quelle sue rare lezioni che lasciavano in noi allievi la certezza di essere dei privilegiati.

Tu vieni da studi accademici e canonici – hai avuto come insegnante un gigante come Marino Marini – e quindi hai potuto e dovuto confrontarti con le realtà dei movimenti pittorici del novecento, che dai prodromi dell’Astrattismo delle Avanguardie fauviste e cubiste sono sfociate nell’Arte Concettuale, quindi dalla rappresentazione estetica a quella del pensiero. Mi sembra di aver inteso che la tua arte guardi un po’ indietro ad una visione postuma della Transavanguardia, che già stava tornando alla pittura e l’oggetto….
Si in realtà è così, perché tutta l’arte sviluppatesi nei primi anni del secolo breve, a mio avviso rifletteva tutte le inquietudini del cambiamento della società dell’uomo. La rivoluzione industriale con la conseguente crescita di agglomerati urbani ha portato da una parte un ipotetico benessere, ma sviluppato altresì la nascita di sofferenze psicologiche che nel campo dell’arte si sono riverberate in tutti i movimenti d’avanguardia a partire dall’astrattismo, che hanno rivolto lo sguardo verso l’interno e non più nella rappresentazione della realtà esterna. Personalmente ho cercato di rappresentare i miei interessi, le mie passioni attraverso un’espressione figurativa filtrata dal mio stile pittorico.
L’approdo quindi più logico alla tua visione dell’arte, è senza dubbio quello della Pop Art e al tentativo della stessa di inserire prodotti di consumo facilmente riconoscibili, che sfociano addirittura alla forma pubblicitaria.
Ho un’ammirazione per la Pop Art perché imparentata con i fumetti, la stessa commistione tra l’immagine e la scrittura, non è facile associare uno scritto ad una rappresentazione figurata perché l’una rischia di sovrapporsi all’altra e bisogna trovare un equilibrio. C’è l’esigenza di avere un messaggio diretto, iconico e allegramente vivace. La Pop Art ha una parentela molto stretta con la pubblicità alla quale dà luce, ma criticandola fortemente. Abbiamo purtroppo dimenticato il lato oscuro delle agenzie pubblicitarie che promuovono prodotti dei quali non verificano la qualità, promuovendo solo slogan autoreferenziali. Comunicazioni pericolose soprattutto riguardo a farmaci, cosmetici, alimenti esotici – insomma liberi tutti – non in nome della libertà, ma del rendimento economico, della speculazione che condiziona il mercato e le nostre menti.

Arriviamo all’impatto col cinema, con la settima arte che ti ha conquistato proprio per la possibilità come strumento di raggiungere il grande pubblico, raccontaci allora l’idea della serie sui grandi registi e del suo sviluppo.
Quando in gioventù entrai in contatto col cinema questi era considerato una sorta di Arte Povera, anzi in realtà nemmeno una forma d’arte. Personalmente lo consideravo come uno strumento del potere politico e propagandistico, nonché asservito al potere finanziario alla luce degli enormi investimenti che richiedevano le produzioni. La definizione settima arte arrivò negli anni ’20 del Novecento per opera di Ricciotto Canudo che promulgò il manifesto del cinema, ma era ancora considerata una forma minore di rappresentazione della realtà, senza una vera identità artistica. Soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale si cominciò a vedere la reale portata del messaggio cinematografico, grazie soprattutto ai grandi registi italiani del neorealismo. La mia diffidenza giovanile si trasformò in una passione che mi ha condotto a celebrare non soltanto i già citati giganti italiani, ma anche il cinema americano ed internazionale. Cominciai così a produrre una serie di lavori su tavola o tela che rappresentassero i volti dei registi, dei quali molti non conoscono affatto i tratti somatici, unendoli a scene iconiche dei loro capolavori. E’ una serie ancora in divenire e che spero di poter allargare sempre di più e presentare in uno spazio che mi permetta di poterla celebrare nella sua interezza.
Questa voglia di celebrare e sposare le arti considerate agli inizi minori, si riverbera su un’altra grande passione quella per la musica Jazz, anch’essa relegata sul nascere ad un ruolo secondario fino all’ingresso negli anni ’70 nella musica colta.
Certamente, anche il Jazz fa parte del mio bagaglio a mano, è stato per tanti anni considerato un movimento musicale legato soltanto ai canti dei lavoratori di colore dei campi di cotone americani; oggi è considerato come una forma di espressione musicale tra le più importanti, soprattutto per lo spazio che lascia agli interpreti di creare performances improvvisate non imbrigliate da canoni prestabiliti: pitture musicali. Anche qui ho utilizzato la stessa tecnica dei registi e prodotta una serie che da poco ho presentato in uno spazio a Perugia in occasione dell’ultima edizione dell’Umbria Jazz.

Altra grande fonte di ispirazione sia per la pittura che per la scultura, ricordo agli amici di Q-Cultura che sei anche un valido scultore, è l’erotismo e le sue deviazioni psicologiche.
Beh caro Mauro dopo aver potuto frequentare il corso di Marino Marini che è considerato uno dei più grandi scultori del novecento, qualcosa devo pur avere imparato (ride n.d.r.). Lavoro il legno, un materiale meraviglioso, caldo, refrattario a sofisticazioni o effetti ottici, nuovo e antico allo stesso momento. L’erotismo mi stimola moltissimo come forma emozionale, oggi dove tutto è spiegato, sbandierato non c’è più erotismo ma pornografia. La differenza è che l’erotismo è suggerire, stimolare l’immaginazione, far lavorare la fantasia come da ragazzi, quando alle prime esperienze tutto si poteva sognare, sperare e difficilmente compiere, il periodo più bello della nostra vita.
Parliamo un po’ della tua vita personale e della pluriennale esperienza nel mondo dell’antiquariato, fino alla scelta di trovare uno spazio a contatto con la natura nel tuo casale di Montefiascone.
Si la mia vita è stata caratterizzata da questa esperienza nel campo dell’antiquariato dovuta ad esigenze familiari. Ho passato moltissimi anni in un negozio d’antiquario nella città di Piacenza, peraltro culla del settore, sviluppando un’attenzione per il design e l’arredamento d’interni che è tornata utile, ma che sicuramente ha tolto spazio all’avventura artistica. La via del destino poi mi ha condotto con moglie e figli, in questa splendida terra alle pendici di Montefiascone, nella Tuscia Viterbese dove ho trovato lo spazio giusto per potermi immergere definitivamente nell’arte.
Allora maestro nel ringraziarti per il tempo dedicatoci ti chiedo qualche anticipazione sulle tue prossime avventure, sperando che almeno in una di queste, le nostre strade si possano incrociare per condividere qualche esperienza insieme, e un pensiero sull’utilizzo delle nuove tecnologie comunicative, grazie ancora Francesco.
Parto dalla fine dicendoti che oggi l’artista è culturalmente informato dai media e si muove disinvoltamente sui social non promuovendo il proprio lavoro, ma cercando soprattutto quello che c’è di nuovo, ossia effetti per stupire. Tutto ciò velocemente per poter proporre qualcosa di mai visto, col rischio di non lasciar traccia, rimosso da nuove iniziative. Forse inconsciamente non vogliamo fermarci a pensare, a riflettere sulle eterne domande sulla nostra provenienza e funzione. La mia avversione e diffidenza verso i social-media forse dovuta alla non più verde età, è anche per la prepotenza e la volgarità di questi mezzi utilizzati in maniera grezza e approssimativa con disprezzo per i rapporti naturali e umani. Riconoscendone altresì le infinite possibilità dovrebbero essere utilizzati dagli artisti per condividere e non soltanto per catturare like.
Per le prossime avventure mi piacerebbe riuscire ad organizzare qui a Montefiascone una mostra dedicata all’Arte Sacra. Cosa c’è di più popolare dell’Arte Sacra che non ha da nascondere messaggi concettuali, ma tutta si esprime in una emotività che si evidenzia attraverso l’esecuzione della rappresentazione personale?

Per ringraziarvi dello spazio concessomi vi mando la foto di un lavoro dedicato al grande Jorge Luis Borges dal titolo “Interno a Buenos Aires”, al quale tengo particolarmente.