Il grande gioco degli Scacchi, antico e sentito al punto da apparirci immemoriale, ha avvinto nei secoli generazioni e generazioni, e ancora oggi in tutto il mondo migliaia di persone si misurano sulla scacchiera. Giovedì 20 luglio è ricorsa la Giornata internazionale degli Scacchi istituita dalla Federazione Internazionale degli Scacchi nel 1966. Siamo qui con Anania Casale per discettare su questa meravigliosa creazione umana.
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In prossimità della Giornata internazionale del gioco degli Scacchi, disquisiamo su questo grande e antico diletto, Patrimonio dell’Umanità, con Anania Casale, giornalista, giocatore e grande conoscitore
Classe 1967, laureato in filosofia, è giornalista professionista dal 1995, e ha lavorato per alcune delle più prestigiose testate giornalistiche italiane, vantando assidue collaborazioni con quotidiani del calibro di Repubblica, l’Unità, la Voce e il Corriere della sera, nonché con diversi periodici. Gli Scacchi sono da sempre la sua passione, e ad essi ha dedicato un volume composto di interviste a nomi celebri, La scacchiera dei famosi (edizioni Algama, 2020). Attualmente è addetto stampa della Federazione Scacchista Italiana (FSI) e direttore di Scacchitalia, rivista ufficiale della FSI e pubblicazione imprescindibile per gli appassionati.
Innanzitutto grazie di essere qui con noi. Inizio con una considerazione: si potrebbe dire che la tenzone scacchistica non termini affatto nei confini della scacchiera, in quanto sono molte le culture che se ne contendono, alimentando storie e leggende, la maternità. Una leggenda indiana, ad esempio, attribuisce l’invenzione degli Scacchi a un Bramino intento a consolare un Maharaja affranto per la morte del diletto figlio in battaglia dimostrandogli la necessità delle sue scelte strategiche, vicenda poi rielaborata in una fiaba persiana adattata anche da autori occidentali ed evocata da Dante nella Commedia.
Nella realtà, si possono individuare e tracciare le remote origini e il tortuoso e impervio cammino di questo grande gioco?
La leggenda non è poi così lontana realtà. In effetti, è praticamente certo, gli scacchi sono nati in ambiente indiano. La prima citazione sicura del gioco è in un documento persiano, che però attesta che esso fu insegnato al loro popolo da un Re indiano del VI secolo. Poi è nata la famosa leggenda di Sissa, nota soprattutto perché il creatore del gioco, Sissa appunto, quando il Re gli chiese una ricompensa, volle un chicco di grano per la prima casella, due per la seconda… fino alla 64ma potenza di 2! Un apologo, citato pure da Dante, che al tempo stesso svela gli inganni della matematica, e la sete di guadagno di questo leggendario Sissa che, a quanto pare, finì molto male.
In realtà è quasi certo che il gioco sia stato inventato molto prima del VI secolo d.C. Questo si intuisce dal fatto che chiaramente si ispira all’antica composizione dell’esercito indiano, che era quadripartita tra i fanti (i Pedoni), i Cavalli, i carri da guerra (le Torri) e gli elefanti (gli Alfieri). Ebbene, come potete leggere anche in un illuminante articolo sul numero di fine giugno della nostra rivista Scacchitalia, questa composizione dell’esercito nel VI secolo era ormai superata. Le milizie indiane in realtà erano così suddivise già ai tempi in cui si scontrarono con Alessandro Magno (IV secolo avanti Cristo) e restarono più o meno in tale formazione fino al IV secolo dopo Cristo circa: è in questo range di otto secoli, probabilmente intorno all’anno Zero, che va datata la nascita degli scacchi.
Un altro elemento cruciale è che gli scacchi sono per natura multiculturali: inventati in India, sono stati rielaborati dai persiani (lo “scacco matto” deriva dalla frase persiana Shah Mat, “il Re è morto”) e poi dagli arabi, che nell’Alto medioevo lo diffusero in tutti i territori da loro conquistati, e anche oltre. Testimonianze archeologiche di pezzi primitivi esistono in Italia fin dall’anno Mille, e nell’età dei Comuni già si giocava molto comunemente a scacchi, come testimoniano la citazione di Dante e numerose novelle di Boccaccio.
Ma anche la cultura occidentale ha dato un contributo decisivo al gioco così come è ora, cambiando il movimento di due pezzi. Fino al XV secolo, infatti, il pezzo che noi chiamiamo Alfiere, muoveva sì in diagonale, ma di una sola casella e saltando quella più vicina. La Regina, che storicamente era chiamato “visir” (l’uomo di fiducia del Re), poteva muoversi anch’essa solo in diagonale, e solo una casa alla volta. Un gruppo di giocatori, poeti e intellettuali di Valencia, alla fine del ‘400, propose quindi di cambiare il movimento di questi due pezzi, e di chiamare il più potente di essi Regina, in onore, quasi certamente, di Isabella di Castiglia. Gli scacchi così, che erano un gioco molto lento e manovriero, diventarono, come si disse all’epoca, “arrabbiati”, e questa nuova versione del gioco ebbe un successo travolgente, tanto da far dimenticare quella antica.
Come si vede, negli scacchi hanno messo mano almeno quattro grandi civiltà (senza contare quella cinese, che pure, secondo qualche studioso, ha influito sulla nascita del gioco), ed è anche per questo che è il gioco più diffuso e globale che esista.
Ci può illustrare e descrivere, nel modo più debito e puntuale possibile in questa sede, il gioco degli Scacchi, le sue regole base, i suoi tratti salienti, le peculiarità che lo contraddistinguono?
Credo che quasi tutti conoscano le regole di base degli scacchi, che sono in fondo elementari: due eserciti si scontrano, e uno prevale sull’altro quando riesce a catturare il Re avversario. La scacchiera ha 64 caselle bicolori, otto per otto. Ogni pezzo ha un suo movimento specifico: gli otto Pedoni possono andare solo avanti (e mai indietro) e solo di una casella (di due a inizio partita), ma catturano gli avversari avanzando in diagonale. I due Cavalli hanno il classico movimento a “L”, vale a dire una casella avanti e una in diagonale, o il contrario, e sono gli unici pezzi che possono “saltare” gli altri, vale a dire raggiungere la casa di destinazione anche se quelle precedenti sono ostruite. I due Alfieri vanno solo in diagonale, e sempre sulle caselle dello stesso colore di partenza. Le due Torri corrono in orizzontale e in verticale. La Donna è il pezzo più potente, e unisce in sé il movimento della Torre e dell’Alfiere. Il Re muove, come la Donna, in tutte le direzioni, ma di una sola casella.
Ci sono poi alcune mosse speciali che rendono il gioco più imprevedibile: una di queste è l’arrocco, in cui il Re e la Torre, una e una sola volta durante la partita, possono con una sola mossa muovere insieme e scambiarsi di posto. Un elemento decisivo è che un pedone che arriva in fondo alla scacchiera può essere “promosso” e diventare un altro pezzo, di solito una Donna.
Lo scopo del gioco, come si diceva, è catturare il Re avversario. Ma non ucciderlo. La partita si ferma una mossa prima dell’atto fatale, come in una guerra vera, in cui il Re avversario è comunque meritevole di rispetto e ne viene salvaguardata l’integrità fisica. E’ “scacco matto”, quindi, quando il Re minacciato da un pezzo avversario (quindi “sotto scacco”) non ha alcuna mossa legale che lo salvi dall’attacco dei nemici.
Altro elemento caratteristico degli scacchi è che di rado la partita finisce con il matto. Al contrario, uno dei due avversari può riconoscersi sconfitto molto prima dell’esito finale, e perdere per “abbandono”. Altra cosa molto comune è che i due avversari concordino la patta, sapendo che nessuno dei due possa vincere. La patta può anche avverarsi sulla scacchiera quando ci sono troppi pochi pezzi per dare matto (ad esempio quando è rimasto solo un Re e un Cavallo contro un Re), o quando uno dei due giocatori, senza essere sotto scacco, non può più fare alcuna mossa legale: in questo caso si parla di “stallo”, e la partita è patta.
Sono solo pochi accenni, ma le regole degli scacchi sono in realtà molto semplici. In compenso, giocare bene è estremamente difficile, ed è anche questo contrasto che rende così affascinante il gioco.

La grande passione di un giocatore e le grandi leggende degli Scacchi
Cosa rappresentano gli Scacchi per lei? Da dove nasce la sua passione? Che emozioni prova quando è assorto nel gioco?
E’ una passione che è nata quando ero ragazzo, leggendo i libri di scacchi con le partite dei grandi campioni. Purtroppo all’epoca non ho trovato il tempo per giocare, e ho iniziato davvero a fare tornei e a iscrivermi alla Federazione solo a 35 anni. Troppo tardi per diventare bravo, ma abbastanza per immergermi fino in fondo nel fascino degli scacchi. Che da fuori, per qualcuno e almeno in apparenza, sembrano un gioco noioso, lento, compassato. In realtà sono uno scrigno di emozioni forti, e danno una scarica di adrenalina incredibile. Quando sei alle prese con una posizione complicata, in cui la mossa giusta può farti vincere e quella sbagliata può farti perdere, non ti accorgi più del tempo che passa, sei completamente “dentro” la partita, e l’emozione che si prova non deve essere dissimile da quella di un calciatore che si appresta a tirare un rigore decisivo. Solo che in ogni partita di scacchi, di rigori decisivi ce ne sono tanti, almeno quanto le mosse che giochi!
Un altro aspetto degli scacchi che emerge poco, ma che i bambini invece capiscono benissimo, è che sono molto divertenti, sono una delle attività che più danno gioia e soddisfazione. Come disse un giocatore tedesco, Siegmund Tarrasch, “Gli scacchi, come l’amore e la musica, hanno il potere di rendere l’uomo felice”. Costruire una strategia vincente in poco tempo solo con la tua intelligenza, controbattere le mosse dell’avversario, dare un “matto” insolito: tutto questo offre una grande gratificazione, fin nell’intimo, e vale la pena di sperimentarlo.
Per quali Scacchisti e Scacchiste lei ha nutrito e nutre la più grande stima e ammirazione?
Ogni giocatore ha i suoi “miti”, a seconda dello stile di gioco, di quello che ha rappresentato, a livello sociale e anche politico, oppure per la personalità. Il giocatore di scacchi più ammirato dalla maggioranza degli scacchisti è quasi certamente Bobby Fischer, che però aveva un carattere e un modo di atteggiarsi che oggi probabilmente gli negherebbe qualunque competizione di vertice. Io, come tanti altri, ho il mito di Mikhail Tal, il campione sovietico (ma lettone di nascita) che negli anni ‘60 spazzò via la vecchia teoria con un gioco tutto attacco e sacrifici, spesso incredibili e quasi sempre vincenti. Uno scacchista che cercava la bellezza, più della vittoria, sempre sportivissimo, apprezzato anche dagli avversari per il suo carattere aperto e solare, per la gioia da fanciullo con cui componeva le sue famose “combinazioni” sulla scacchiera. Non è stato il più vincente della sua epoca, ma di certo è stato il tipo di scacchista che tutti vorrebbero essere. Consiglio sul tema il recente libro Il mago di Riga, di Giorgio Fontana, biografia romanzata di questo straordinario campione.

Il grande gioco degli Scacchi tra passato e sfide del presente
Fra i vari ed eterogenei Automi presenti in miti e leggende dei popoli antichi, figura Tien, Cielo, creato dall’imperatore Wu J e in grado di giocare a Go.
l’idea di fronteggiare e sbaragliare un giocatore artificiale ha sempre affascinato l’umanità, ragion per cui, in tempi recenti, ci si imbatte in un Edgar Allan Poe compreso con zelo dell’indagine intorno all’effettiva natura de il Turco, presunto Automa Giocatore di Scacchi creato dal barone von Kempelen, nel 1770, per Maria Teresa d’Austria. In uno dei terrifici racconti di Ambrose Bierce, Moxon’s Master, del 1899, il confronto fra un uomo e un giocatore artificiale avrà esiti funesti.
Ed ecco alfine Alick Glennie sfidare e battere per la prima volta un computer nel gioco degli Scacchi, nel 1952.
La sconfitta di Garri Kasparov, che sfidò un IBM nel 1997, ha però sancito l’inizio di un’era di insormontabilità dell’Intelligenza Artificiale nel campo scacchistico.
Questo, tuttavia, non sembra aver inficiato lo spirito di chi ama gli Scacchi, non è vero?
Gli scacchi hanno avuto la sorte di essere la prima attività umana in cui l’intelligenza artificiale del computer ha superato gli esseri umani. E questo è successo nel 1997, quando l’allora Campione del Mondo Garry Kasparov perse un match contro un programma scacchistico, Deep Blue. Da allora la distanza non ha fatto che ampliarsi. Anche il miglior giocatore al mondo, che oggi è Magnus Carlsen, non ha speranza di vittoria contro un programma di computer, anche non dei migliori. Il computer ha una capacità di calcolo che noi umani non possediamo, può prevedere di fatto tutte le possibili mosse, mentre un essere umano ben difficilmente ha una memoria tale che gli consenta di “vedere” più di 5-6 mosse. Anche sul piano strategico il computer ha fatto progressi e gioca in modo “umano”, usando concetti posizionali cari ai giocatori più esperti.
E quindi? Quindi non è cambiato molto: si continua a giocare tra esseri umani, sbagliando come prima. Il computer è diventato un ottimo “allenatore”, che aiuta ad analizzare le partite, e a capire gli errori commessi. Il computer serve anche a sperimentare mosse “ardite”, a capire in che posizioni portano, o aperture (vale a dire le prime mosse di una partita) innovative. Ma gli umani giocano contro gli esseri umani, e i computer giocano contro i computer: esistono infatti siti dove i vari motori di ricerca si sfidano, e le partite finiscono quasi sempre patte. Attenzione: quasi sempre: il che significa che anche i computer più sofisticati non hanno (ancora?) una perfetta comprensione del gioco.
E’ nato invece un altro problema, quello del cheating: è chiaro che se una persona può farsi aiutare da un computer durante la partita acquisisce un enorme vantaggio rispetto all’avversario. Nel gioco a tavolino i casi sono limitati, e vengono prese efficaci norme di prevenzione. Nel gioco on line invece il problema è più marcato, e la lotta al cheating, cioè all’uso del computer durante le partite, è diventata una priorità per il mondo degli scacchi internazionale.
Come si vede, sono diversi gli spunti che gli scacchi offrono alle altre attività umane “minacciate” dall’intelligenza artificiale.
Restando su Poe, in The Murders in the Rue Morgue, celeberrimo racconto del 1841 fra quelli che vedono il dispiegarsi delle portentose abilità investigative di Monsieur Dupin, il grande detective francese creato dallo scrittore americano, questi fa dire al narratore in prima persona che gli Scacchi sono un gioco meno difficile, ostico, della Dama, in quanto quest’ultima, pur se più dimessa, sobria e meno elaborata, richiede mosse drastiche e nette per scongiurare la disfatta, esigendo un maggior dispendio di acume.
Cosa pensa di una simile asserzione? Lo scrittore, come suggerì Jorge Luis Borges, stava forse pontificando su qualcosa che non aveva ben compreso?
Le parole di Poe sono una ferita aperta per ogni scacchista. Anche perché scritte in un racconto celeberrimo, che segna l’inizio della letteratura “gialla” classica. Molti pensano che sia un paradosso, anche perché Poe era uno scacchista appassionato. Forse ha voluto offrire un esempio di quel modo di pensare “laterale” che consente a Dupin di risolvere i misteri più intricati, come ad esempio nell’altro famosissimo racconto La lettera rubata, in cui la soluzione del mistero è un altro paradosso.
Senza voler rinfocolare la rivalità da sempre esistente, tra scacchi e dama, c’è da rilevare che è indiscutibile che gli scacchi siano molto più complicati della dama. Al punto che la dama su scacchiera da 64 caselle è un gioco “risolto”, vale a dire che si conosce la strategia infallibile per vincere, in quanto il numero di mosse possibili è limitato, e calcolabile. Non a caso la dama ora si gioca su scacchiere da 100 caselle (10×10). Negli scacchi da punto di vista teorico è lo stesso, ma il numero di partite possibili è talmente grande (superiore al numero di tutti gli astri che l’universo contiene) che fa sì che non sia possibile, almeno al momento e nel futuro prevedibile, “risolvere” il gioco, vale a dire trovare una strategia infallibile per vincere qualunque mossa giochino gli avversari.
Che poi negli scacchi conti solo “l’attenzione” e non il calcolo e la strategia poteva forse essere vero a metà ‘800, quando la teoria era ancora rudimentale, ma non certo oggi. Quello di Poe resta un paradosso letterario che non ha nessun aggancio con la realtà dei fatti.

L’importanza degli Scacchi e la loro rappresentazione tra media, arte e società
Coloro che praticano il gioco degli Scacchi vengono ritratti e ritratte nella narrativa nei modi più disparati, senza tuttavia mai lesinare una certa dose di licenza ed eccentricità.
In un episodio di Colombo, The most dangerous match, 1973, uno scacchista americano assassina un affabile e serafico collega sovietico dopo essersi avveduto della sua superiorità, ossessionato ed angustiato dall’idea di perdere il proprio prestigio di campione al punto da essere tormentato da sinistri incubi. La narrativa rappresenta bene gli scacchisti o esagera sempre un po’ troppo con la stravaganza?
L’episodio di Colombo, come tutti gli altri della serie, è particolarmente ben fatto e sicuramente ha goduto della consulenza di un esperto. Anche le personalità dei giocatori sono molto ben delineate, in modo anche paradossale: il russo è pacioso, ironico, sereno e ama il gioco per se stesso (un personaggio chiaramente ispirato a Tal, nonostante fisicamente sia molto diverso); lo statunitense invece è ossessionato dalla paura di perdere, per lui gli scacchi sono una questione di vita e di morte. Chiaramente è un personaggio ispirato a Bobby Fischer, anche per la sua “antipatia”. Diciamo che per fortuna non si ha notizia di rivalità scacchistiche che abbiano portato all’omicidio, ma certo i campioni di scacchi non sono, di norma, persone “tranquille”. Il gioco è spietato, feroce, soprattutto perché mette in campo le qualità intellettuali, che sono il cuore della personalità, e dell’Ego, di tutti noi. Una partita a scacchi perduta spesso viene vissuta molto peggio di una sconfitta a qualunque altro gioco, diventa una ferita irrimediabile all’Ego, e il contrario succede in caso di vittoria. Questo vale per tutti i giocatori, dai dilettanti ai campioni. Nella storia poi si sono registrate rivalità marcate e violente, come quella tra Capablanca e Alekhine, tra Petrosian e Korchnoi, oppure tra Kasparov e Karpov. Negli ultimi tempi vige un grande fair play tra i giocatori più forti del mondo, ma è in gran parte apparenza: negli scacchi si tenta sempre di “uccidere” l’altro, anche se per fortuna, al contrario che nell’episodio di Colombo, in modo metaforico.
Di recente ha fatto scalpore la serie Netflix del 2020 The Queen’s Gambit, con una strepitosa Anya Taylor-Joy, ispirata all’omonimo libro del 1983 di Walter Tevis (autore tra le altre cose del superbo romanzo di fantascienza The Man Who Fell to Earth, 1963). La serie ha per protagonista una giovane trascurata e afflitta da turbe e dipendenze, il cui genio scacchistico si intreccia con le vicissitudini interiori ed esteriori della sua vita. Nella realtà, è nota la vicenda, che ha ispirato libri e film, della valente giovane ugandese Phiona Mutesi, la quale, proveniente dalle neglette condizioni di una baraccopoli, ha ricevuto, nel 2012, il titolo di Candidato Maestro FIDE Femminile alla 40ª edizione delle Olimpiadi degli Scacchi.
Cosa pensa degli Scacchi quale forma di affermazione, ascesa e riscatto sociale?
C’è una caratteristica degli scacchi su cui si riflette poco: che è un gioco “povero”. Basta una scacchiera di plastica da pochi euro per giocare. O anche, con un po’ di fantasia, creare i pezzi con gli oggetti che si hanno a disposizione. E in quanto sport “povero” viene giocato con molta frequenza e ottimi risultati anche nei Paesi in via di sviluppo, tanto che le nazioni associate alla FIDE, la Federazione internazionale degli scacchi, sono ben 197.
Al di là di questo aspetto, che però va tenuto a mente per spiegare la popolarità degli scacchi, ci sono stati programmi volti proprio a diffondere gli scacchi nelle periferie più disagiate dell’Africa e nei campi profughi. Questi progetti, spesso finanziati dalla FIDE, hanno ottenuto ottimi risultati, e non solo dal punto di vista sportivo. Si è constatato ad esempio che le ragazzine che vengono istruite negli scacchi, in situazioni di degrado sociale, hanno meno probabilità di diventare spose-bambine o di avere gravidanze precoci.
Un altro campo del “sociale” in cui gli scacchi costituiscono una forma di riscatto e una promessa di libertà, è quello delle carceri. Da diversi anni ormai la FIDE organizza un mondiale on line per prigionieri, e diverse iniziative in questo campo si stanno moltiplicando anche in Italia, come abbiamo riferito anche in un paio di numero di Scacchitalia. In particolare ricordo l’impegno dell’istruttore FSI Mirko Trasciatti nel carcere di Spoleto, senza voler fare torto ad altri. Il successo di questi esperimenti è stato totale: il coinvolgimento dei detenuti, oltre a dare loro la possibilità di passare qualche ora “diversa” in un contesto oppressivo come quello carcerario, ha spesso portato esiti insperati: avere a che fare con un gioco razionale, in cui la responsabilità e la consapevolezza delle proprie scelte è decisivo, ha indotto molti detenuti a ripensare in modo critico il proprio passato. Si sono notati forti miglioramenti sia nella disciplina che nell’accettazione delle regole. Diversi detenuti hanno potuto usare le lezioni di scacchi, una volta usciti, nel proprio curriculum, il che ha dato un contributo non trascurabile alla loro possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro. Molti ritengono che, visto anche il costo ridotto, gli scacchi dovrebbero essere introdotti in tutto il sistema carcerario italiano, in modo da diffondere il più possibile tali benefici.
Infine, l’accenno a La regina degli scacchi rende inevitabile accendere un faro sugli scacchi “al femminile”. I tornei di scacchi sono “open”, vale a dire aperti a uomini e donne indifferentemente. Ma esistono anche, soprattutto a livello di campionati nazionali continentali ed europei, competizioni riservate solo alle donne, Questo perché ci sono meno donne che fanno attività agonistica, e di conseguenza i loro risultati raramente pareggiano quelli degli uomini. Ci si interroga molto su questo gap, che è probabilmente di origine sociale e culturale, e la FIDE, e nel suo piccolo anche la FSI, sta prendendo molti iniziative per ridurlo al minimo. La possibilità che entro il 2050 il Campione del mondo assoluto sia una donna (oggi invece è il cinese Ding Liren) non è utopia.

Gli Scacchi oltre la scacchiera e le grandi sfide del futuro
Da Karl Jaspers a Eugenio Montale a Jorge Luis Borges, diversi pensatori e scrittori hanno speculato filosoficamente sul gioco degli Scacchi o ne hanno mutuato dei concetti.
Il brillante e sagace scrittore di fantascienza Fredric Brown immagina, nel suo racconto Inno di congedo (Recessional, 1960), lo strenuo ed estenuante fronteggiarsi di due risoluti eserciti. Solo un Vescovo (Alfiere), Thibault, avanza dubbi riguardo le cieche convinzioni dei due fronti i quali, stremati a battaglia conclusa, sentono tremebondi il campo di battaglia inclinarsi… una sconcertante ed attanagliante allegoria esistenziale.
Che rapporto ravvisa lei tra gli Scacchi e la vita?
E’ una domanda la cui risposta corretta dovrebbe essere lunga, o forse larga, come la vita intera. Di certo la potenza metaforica degli scacchi lo ha reso, nella storia, qualcosa di più di un gioco, il che è il motivo per cui questa disciplina ha scavalcato i secoli arrivando fino ai giorni nostri, ma in qualche misura anche la sua “maledizione”. Perché questo impedisce di guardare agli scacchi solo come a un semplice sport, ma lo “carica” di significati che forse finiscono per respingere, più che attrarre.
Comunque gli scacchi sono stati considerati metafora di quasi tutto quello che è possibile pensare nella dimensione umana. Della guerra e del conflitto, che è probabilmente la loro dimensione originaria. Ma anche dell’attrazione e della seduzione, come dimostrano diversi poemi medioevali che usano gli scacchi proprio per raccontare i corteggiamenti del cavaliere alla dama. Dell’inevitabilità della morte, e qui la citazione, ovvia, è al film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo, visto che l’esito finale del gioco è la “morte”, o meglio la cattura del Re. Del complesso di Edipo, sempre per via della caccia al Re, che potrebbe sembrare una metafora del desiderio di uccisione del padre. Della prevalenza della ragione sugli istinti, o anche del collasso della ragione che travolta dal fascino del gioco e chiusa in questa ossessione non riesce più a dominare il reale. O anche gli scacchi possono ispirare la soluzione di problemi filosofici, come spiega Massimo Adinolfi nel suo recente, e bellissimo, Problemi magnifici.
Un discorso infinito, ripeto. Qui darò solo un paio di spunti. Il primo, andare a ripescare i migliori testi della letteratura scacchistica, di cui potete trovare qualche esempio a questo link: https://maremosso.lafeltrinelli.it/liste-e-consigli/libri-scacchi. Insieme a veri capolavori, come Novella degli scacchi di Stefan Zweig e La variante di Luneburg, di Paolo Maurensig, ci sono anche libri più leggeri, e poi un volume davvero interessante: Ciak Mate, che elenca tutte le volte, e sono proprio tante, in cui gli scacchi sono stati usati al cinema, come attori protagonisti o comprimari. E si parla spesso di capolavori come Casablanca, e 2001: Odissea nello spazio, o il già citato Il settimo sigillo.
Il secondo spunto nasce da un articolo di Scacchitalia pubblicato nell’ottobre scorso: l’uso frequentissimo, anzi quasi l’abuso, degli scacchi nei messaggi pubblicitari, spot televisivi ma non solo. Fino alla ormai iconica fotografia di Messi e Cristiano Ronaldo che giocano a scacchi su una borsa Louis Vuitton. Ebbene, questo nasce proprio dalla forza evocativa degli scacchi, che sanno ispirare forti sentimenti di positività e muovere strati profondi della psiche, che è proprio l’obiettivo principale di chi fa pubblicità.

Qual è la condizione del gioco oggi in Italia, quante nuove leve mostrano passione o fervido interesse? Che futuro si prospetta per gli Scacchi?
Negli ultimi anni si sta registrando un interesse sempre crescente per gli scacchi, sia a livello mondiale che italiano. Hanno influito senz’altro la popolarità della fiction La regina degli scacchi, e il lockdown, che ha portato molti a giocare sulle piattaforme on line, per poi tornare nei circoli a giocare a tavolino. Ma queste sono cause estemporanee. In realtà credo che questo boom sia “sistemico”, e sia dovuto a una caratteristica davvero peculiare degli scacchi: quella di combinarsi perfettamente con l’era digitale (il gioco on line, la presenza di numerosi streamer e blogger che commentano le partite, danno lezioni, spiegano le aperture) ma di avere un intramontabile sapore di “antico”, come nel gioco a tavolino in cui bisogna restare in silenzio a pensare per ore, cosa davvero insolita nel mondo moderno. La combinazione di questi due fattori, unita al basso costo (di cui parlavamo prima) e al grande divertimento che procurano, sono diventati una miscela “esplosiva”. In Italia in questo 2023, che è ancora lontano dal concludersi, i tesserati sono già quasi 19.500, e il record precedente (del 2018) era inferiore a 16 mila. La metà di questi tesserati ha meno di 18 anni. Non è eccessivo dire che non si è mai giocato tanto a scacchi in Italia come in questi ultimi due anni. E il trend è mondiale. Una delle più popolari piattaforme web scacchistiche, Chess.com, è stata inserita dalla rivista Time tra le cento aziende più influenti al mondo.
Ci restano due piccoli crucci. Il primo: che lo Stato italiano non investa negli scacchi quanto potrebbe, visto gli indubbi benefici dal punto di vista mentale che offrono sia ai giovani che agli anziani. E l’altro è che gli scacchi non siano ancora sport olimpico, nonostante più volte siano stati sul punto di diventarlo. Ma arriverà il momento in cui la forza dirompente di questo movimento, a livello mondiale, sarà impossibile da ignorare.