Abbiamo realizzato un’intervista a Beatrice Fumagalli, ventinovenne residente nel lecchese e diventata nota al grande pubblico nell’ultima edizione del programma “Il Collegio”, dove era una supplente di storia e geografia molto apprezzata dagli allievi. Prof precaria anche nella vita quotidiana, è anche una popolare content creator, attiva su Instagram e TikTok. Tramite i suoi profili, che contano entrambi più di ottantamila follower, denuncia con intelligente ironia le condizioni e le mancanze della scuola italiana.

Conosciamo Beatrice Fumagalli, prof precaria entrata durante la scorsa edizione nel corpo docenti de “Il Collegio” come supplente di storia e geografia
Beatrice, grazie per averci concesso questa intervista. Nell’ultimo anno la tua popolarità è aumentata grazie a “Il Collegio”, dove hai assunto il ruolo di una supplente. Sei una insegnante precaria anche nella vita quotidiana, perciò quanto hai portato della vera prof Beatrice, nel 1958?
Tanti si stupiscono quando mi vedono nei panni della professoressa de Il Collegio perché in TV appaio fredda, poco sorridente e severa. Sui social mostro il mio lato giocherellone ed ironico, quindi la professoressa Fumagalli non sembro io. Però bisogna fare due considerazioni: per prima cosa ho dovuto calarmi nella parte e nel 1958 i docenti non erano smart come oggi, la scuola era un’istituzione severa, autoritaria, dove c’era poco spazio per il gioco. Inoltre, tutti credono di conoscere una persona solo perché la si vede costantemente online, ma vi svelo un segreto, non è così. Io mostro solo una parte di me e una sottilissima fetta della mia vita sui piccoli schermi. In classe nel ventunesimo secolo non sono così severa e autoritaria come ne Il Collegio, sorrido spesso e sono accogliente ed empatica con gli alunni, tuttavia, ho una facciata seria che è necessaria per far capire agli alunni che non sono una loro amica o coetanea, ma la loro prof.
Nel tuo profilo Instagram racconti con ironia le difficoltà della vita da insegnante precaria. Cosa ti motiva ad andare avanti anche quando Governo e burocrazia sembrano remare contro all’intera categoria dei docenti?
Sono sincera, ultimamente sono davvero scoraggiata da tutto: mancanza di solidità economica e sociale, continui cambiamenti nel percorso per insegnare, troppa burocrazia e responsabilità dentro e fuori dalla classe. Diventare docenti è un percorso professionale per soli “ricchi” perché, se hai una famiglia, un affitto o un mutuo da pagare, come fai a permetterti 2500 di corsi abilitanti ogni tot anni? Non saprei dire cosa mi spinge esattamente a continuare a provare questa strada, sicuramente l’amore per il mio lavoro, ma anche la possibilità economica che me lo permette. In questi anni mi sono costruita qualcosa che mi sostiene economicamente al di fuori della scuola, senza il mio lavoro sui social altrimenti avrei lasciato perdere la cattedra. Di sola passione e cultura non si campa.

Il successo sui social, la tv, e infine un libro. “Sopravvivere a(lla) scuola: manuale d’uso per giovani docenti e aspiranti insegnanti”. Cosa ti ha portata a scegliere di scrivere un libro?
Se incontri per strada delle persone e chiedi loro quale sia il percorso per diventare insegnanti sono sicura che non saprebbero risponderti. Il Ministero dell’Istruzione ha cambiato talmente tante volte negli ultimi 30 anni le modalità di reclutamento dei docenti che pochissimi si sanno districare in questo mondo. Io stessa prima di documentarmi ho “sbagliato” laurea magistrale (Editoria), convinta che mi avrebbe permesso di insegnare le discipline letterarie. Ho imparato a mie spese che non era così, infatti sono dovuta ritornare in università. Ecco l’obiettivo di “Sopravvivere a(lla) scuola” è proprio quello di aiutare i giovani che vogliono intraprendere questo mestiere.
Che cosa manca al sistema scolastico italiano?
La lista sarebbe infinita, perciò mi soffermo solo su quelli che sono, per me, elementi imprescindibili per un buon sistema educativo nel 2023. Innanzitutto, la necessità di un’educazione civica digitale che sia trasversale in tutte le materie e nell’ottica di una Media Education. Oggi alle competenze digitali vengono lasciate solo una manciata di ore all’anno all’interno dei programmi di educazione civica oppure negli incontri con esperti. La povertà digitale in Italia è dilagante sia dal punto di vista delle competenze tecniche sia per quanto riguarda responsabilità e consapevolezza. Non possiamo permettere che ragazzini delle scuole medie o addirittura delle elementari abbiano accesso liberamente (o quasi) ad uno strumento potentissimo come Internet senza un’adeguata educazione digitale. Bisogna educarli, responsabilizzarli ad un utilizzo consapevole. I pericoli sono infiniti, ma sembra che l’unica risposta che viene data sia il divieto di accendere i cellulari in classe, quando poi fuori possono liberamente usarlo. Internet è in ogni oggetto che possediamo, è parte integrante della nostra vita quotidiana, non si può eliminare con uno schiocco di dita, ma bisogna domarlo. Altro punto chiave traballante nel sistema scolastico italiano è il benessere psicologico dei ragazzi. Dopo la pandemia ho notato un cambiamento repentino dell’autostima e dell’umore degli studenti. Psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, terapeuti servono costantemente a scuola e non per 10 ore all’anno ogni 1000 studenti. Infine, fortunatamente io vivo in una realtà economica privilegiata, perciò non ho mai trovato strutture scolastiche fatiscenti, ma colleghi del Centro e del Sud Italia mi parlano costantemente della condizione precaria delle scuole.
La tua attività di content creator è seguita dai tuoi alunni? Quali sono le loro opinioni in merito?
Ad ogni inizio anno scolastico o supplenza non è semplice gestire il confine invalicabile oltre cui i miei studenti non possono andare all’interno della mia sfera privata. Cerco sempre di far capire loro che ciò che mostro online non è la mia vita, ma solo una piccola parte di essa. Dopo qualche ostacolo iniziale però tutto sembra filare liscio, anzi sono spesso i miei studenti i miei primi (silenziosi) fan. Ho riscontrato maggiori difficoltà, invece, con adulti (colleghi e genitori).
Qual è il più bel ricordo che ti ha lasciato “Il Collegio”?
Accettare di partecipare a Il Collegio l’anno scorso non è stato semplice: ero nel pieno della sessione estiva e dovevo studiare, inoltre avevo il terrore di essere etichettata come “la prof dei reality”. Alla fine, mi sono buttata e non me ne sono pentita: è stata un’esperienza stimolante, difficile e con tanti risvolti positivi. Quello che mi ha colpito di più è stato sicuramente il rispetto e l’ammirazione che tanti studenti collegiali mi hanno riconosciuto a fine percorso.