È targato Salani editore l’esordio della giovanissima e talentuosa Valeria Gargiullo. In Mai stati Innocenti, la scrittrice ci porta per mano, insieme alla protagonista Anna e all’amato fratello minore Simone, a scoprire e a scandagliare i fondali del quartiere popolare di Civitavecchia, Campo dell’Oro. Il bene contro il male, con tutte le sfumature cromatiche che troviamo in mezzo, è il tema centrale del racconto, oltre a quello di portarsi delle colpe ereditarie per essere nati in un luogo di povertà e socialmente mal visto.
Poi, sono presenti i Sorci, così li chiamano, e nei loro affari è bene non immischiarsi mai.
Andiamo a dare una lettura approfondita di questo romanzo proprio con le parole di Valeria.
Quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?
Mentirei a dire che non ci sia niente di autobiografico, perché la prima regola è scrivere ciò che si conosce, ciò che ci pulsa dentro. Io volevo narrare dell’ambiente del quartiere. Non sono Anna, la protagonista, o Simone, suo fratello, ma una parte di me si ritrova in tutti i personaggi. La scrittura, in fondo, è una sorta di smascheramento, come un’opera teatrale -mi viene in mente La tempesta di Shakespeare-, ci mostra agli altri in un modo delicato ed elegante perché ci dà la possibilità di prendere la carne, le parole, i gesti di altri personaggi.
Parlaci del concetto di scrittura come forma di riscatto. È una definizione che ti si addice?
Sì, è una definizione che mi si addice. Fin da quando ero bambina, ho sempre voluto scrivere per prendere il mio posto del mondo. Per parlare di me, del mio mondo, della mia condizione sociale, l’unico linguaggio a mia disposizione era quello della scrittura. La pubblicazione del romanzo e questa carriera che è appena iniziata è per me la conferma di ciò che cercavo fino ad ora, di essere letta, di sapere che sono stata ascoltata come quando urli su un precipizio della montagna e ti torna indietro l’eco. Il mio riscatto è l’eco, la certezza di essere vista.

Anna è un’antieroina che però porta avanti l’azione. Ha i suoi lati di luce e le sue ombre. Ci puoi dare una panoramica sul personaggio?
Mi è sempre interessato il concetto di bene e male, in particolare l’ho approfondito e studiato con Hawthorne, scrittore americano dell’Ottocento, il quale sosteneva che non possiamo conoscere il bene se non abbiamo concezione del male. La nostra vita è fatta, in fondo, di opposti. Anna è una di quelle persone che ho cercato di rendere più umana possibile, con tutte le sue sfumature. Nonostante voglia riscattarsi fuggendo a Milano e studiando letteratura all’università perché ha capito che i libri le possono dare l’arma di difesa per uscire dall’estrema povertà in cui è nata a Campo dell’Oro, è anche quella stessa ragazza che è affascinata da quella povertà, dal male. Anna ha il desiderio, la voglia di fare, di sperimentare e ha in sé tutte le sue sfumature, perché ogni persona è così: scissa, non integra nella totalità del bene o del male.
Il romanzo è ambientato in un quartiere popolare, caratterizzato da un alto tasso di criminalità. Qual è il ruolo delle istituzioni? Cosa si può fare per non cadere nelle “trappole” dei Sorci?
Il romanzo è ambientato in un quartiere popolare, che io volevo far essere universale, ovvero che rispecchi tutti i quartieri periferici della nostra penisola. Una cosa che manca tantissimo all’interno del romanzo è appunto il ruolo delle istituzioni. Io credo che la mancanza della scuola sia molto sentita, la scuola è una grande assente. Da quando ho pubblicato il libro ho parlato molto con professori che hanno avuto in classe situazioni di disagio sociale e mi hanno confidato che, in realtà, è molto difficile per la scuola stessa prendere un posto attivo, essere presente per salvare questi bambini e ragazzi. Per sfuggire alla “trappola” dei Sorci è necessario creare delle sinergie tra scuola, famiglia e associazioni.
Per esempio, una cosa molto bella che è presente a Tor Bella Monaca è il Polo Ex Fienile, un’associazione culturale che organizza molti eventi e dà riscatto al quartiere. È composta da persone belle che fanno la comunità e che possono aiutare questi ragazzi a salvarsi.
L’amore fraterno fra Anna e Simone: com’è nato questo legame a doppia mandata?
Credo che sia questa la parte più autobiografica dell’intero romanzo, perché io ho un fratello minore che si chiama Simone -spoiler: non è mai entrato nei Sorci!- e da bambino è stato bullizzato moltissimo a causa di una disabilità che ha dalla nascita e che tutt’oggi non sappiamo che cosa sia. Pensano sia causata da un gene molto raro. Da bambino balbettava molto e veniva bullizzato anche pesantemente per questa sua particolarità Io mi son sempre fatta carico della situazione, l’ho sempre difeso, ho preso e dato botte. Questa situazione ha permesso che l’amore fraterno diventasse uno scudo e una lancia. L’amore tra Anna e Simone è lo specchio di quello che siamo mio fratello ed io. Anna e Simone li vedo un po’ come Giulietta e Romeo: si uccidono per salvarsi. Nel caso del mio romanzo è un’azione attiva, ovvero uccidono per salvarsi, ma è questo il potere dell’amore.

Parlaci di Giancarlo, l’antagonista “intellettuale”. Perché una certa intelligenza anche nel male esiste. È vero?
Giancarlo è Anna se fosse rimasta al quartiere. Il lettore sa subito, fin dalle prime pagine, che Anna è fuggita a Milano. Ci sono delle persone che quando vedono svanire i propri sogni si incattiviscono: ciò che è diventato Giancarlo. Sì, l’intelligenza esiste nel male, forse si può dire che l’intelligenza è male. Pensiamo per esempio alla bomba atomica: il male vero è studiato, calcolato, dosato, non stupido.
Spiegaci il titolo: perché proprio Mai stati innocenti?. Fa pensare alle colpe dei padri che ricadono sui figli. C’è una linea ereditaria e ambientale del dolore e della mera sopravvivenza?
Inizialmente il titolo era diverso; il romanzo si sarebbe dovuto chiamare Papaveri rossi perché durante la lettura spuntano questi fiori che rappresentano i personaggi, la loro fragilità e spontaneità. In seguito si è virato su Mai stati innocenti perché dava un impatto molto più forte a livello dei personaggi. Anna ad un certo punto si domanda se non siano mai stati innocenti perché sa che nascere a Campo dell’Oro vuol dire vivere gli stereotipi. Le persone che provengono dai quartieri periferici, in un’ottica cittadina, non vengono viste di buon occhio, eppure son persone rispettabili, che studiano, lavorano, si spaccano la schiena per poter arrivare a fine mese. Sono persone umane, che però vengono viste con questa pelle incollata addosso dalla società e per toglierti di dosso una pelle che ti hanno incollato gli altri il sangue scorre. Non è facile ripulirsi di una colpa che non è tua, è solo essere nato in un certo punto dell’Italia. Voglio fare un’analogia: è come essere nati al di là del Mediterraneo.
C’è una linea ereditaria e ambientale del dolore perché se nasci in un certo posto, sei quasi condannato a rimanere lì. Adesso ci sono più opportunità di andarsene, di fuggire, ma non è comunque facile. Quello che si legge per esempio sul fronte del lavoro sono notizie di chi lavoro non lo trova, non arriva a fine mese, è costretto a rimanere sottopagato in un posto che ti marchia per nascita.
Parliamo di un altro personaggio, e con lui di un altro tema importante: Lorenzo. L’amicizia è più forte del male? Come si vive da omossessuale esplicitamente dichiarato in una periferia della città italiane?
Non sono omosessuale, quindi non mi sento di parlare per terzi, però per scrivere di Lorenzo mi sono ispirata a persone reali che ho conosciuto durante i viaggi che ho compiuto per scrivere il romanzo. Ho avuto la possibilità di parlare con varie persone: c’è chi se n’è andato, chi è rimasto, chi ha avuto la fortuna di avere una piccola rete di persone che l’hanno protetto. Quello che mi viene da dire che vivere lì è quasi come un terno al lotto, dipende chi trovi. La bellezza di Lorenzo è che è una persona meravigliosa, piena di colori. Quando parlo di lui mi viene sempre in mente questo arcobaleno luminosissimo durante un temporale estivo. Lorenzo è l’unico che comprende le debolezze e le paure di Anna, al contrario di altri personaggi come Simone, Giancarlo e la madre che invece la sfidano.
Concludo con un tocco di speranza: qual è il valore dello studio e della letteratura per Anna?
Per Anna lo studio e la letteratura sono la chiave per riscattare sé stessa, anche come donna. Anna sa che la conoscenza la può portare lontano, non solo fisicamente a Milano, ma anche a livello spirituale perché è conscia di poter aspirare al meglio. Per me, come per Anna, lo studio è il ponte che ti porta dall’altra parte, ad abbracciare il diverso e a non respingerlo. Solo la conoscenza ci dà la possibilità di essere aperti all’altro e di non averne paura.
Grazie a Valeria Gargiullo.