I “mostri” di Stefano Bonazzi: quando anche il male diventa affascinante

Titanio, edito per i tipi di Polidoro editore, è l’ultimo romanzo che ha scritto Stefano Bonazzi. Un testo crudo, che ci porta per mano a scoprire la storia del tredicenne Fran tra le rovine di un quartiere di periferia, la Ciambella. Qui, Fran vive con la sua ambigua famiglia, coltivando e vendendo erba. È l’educatore Alan che lo fa parlare, per rivelarci quali sono gli intricati sistemi di un’adolescenza anomala, quanto importante sia l’ambiente di degrado che li circonda e soprattutto se si può trovare un punto di riferimento negli altri, compresa una natura letta in una chiave quasi mistica.

Ma sentiamo le parole di Stefano sulla sua opera.

Copertina di Titanio, di Stefano Bonazzi

Nel libro si ripete spesso la parola “mostro” e le sue declinazioni. Ce ne dai una definizione?

Nel libro, la concezione che si ha del “mostro” è legata a Fran e alla sua vita da tredicenne. Si può dire che è tutto ciò che svincola dalla sua normalità, dalla routine. Fino ad un certo punto del romanzo, nemmeno la famiglia può essere considerata mostruosa, perché ciò che spaventa è l’esterno, il mondo minaccioso al di là dei confini della Ciambella. Ci sarà poi un rivoltamento di senso nella seconda parte di Titanio, quando Fran fa la conoscenza di Alan e inizia un processo di rielaborazione di tutto il suo pregresso. Non esiste però una definizione totalizzante perché la visione, in fondo, è quella di un ragazzo, di un tredicenne. Gioca la sua soggettività, i mostri non sono persone reali, ma situazioni, sfumature della sua quotidianità.

Nel romanzo il bene lotta contro il male, in una sfumatura noir che è propria dell’essere umano. Come concepisci l’umanità reale e quella letteraria? C’è più bianco o nero?

Anche qui parliamo sempre di sfumature: l’umanità all’interno della Ciambella è spaventosa, ma è vero che nel quartiere si è venuto a creare un ecosistema che richiede una sopravvivenza di un certo tipo. Sono le situazioni che hanno costretto le persone a rivolgersi anche al male, in un’ottica soggettiva che però vuole anche fare il bene. Prendiamo l’esempio dei genitori di Fran: loro sono convinti di fare il bene del figlio.

Titanio non vuole aprire una denuncia sociale che concerne province o le periferie delle città. Si viaggia molto per metafore, come spesso vuole la letteratura.

Il personaggio di Fran come nasce? A chi è ispirato letterariamente?

Una parte di Fran nasce da appunti di mie personali paure e insicurezze. Direi però che un buon 70% è plasmato da Frank, personaggio del romanzo La fabbrica delle vespe di Iain Banks. È un romanzo che ho letto anni fa e poi ho ripreso come fonte di ispirazione. Se si vanno a guardare i due personaggi, infatti, i punti di contatto sono molteplici.

Stella e la resilienza: come il femminile può guarire.

Stella è un personaggio profondamente forte, ha un assetto morale più resistente di Fran, si può dire che sia resiliente, appunto. Ha più carattere. Io la vedo come una luce, un faro che indica il cammino, un punto di riferimento. La considero l’unico personaggio puramente positivo, che fa da fondamento per l’intera storia. Una caratteristica importante di Stella è il suo deficit fisico: l’ho voluto rendere un valore aggiunto, non una debolezza. In questo modo, sebbene anche lei -come tutti- abbia delle ombre, diventa sicuramente la stella guida del romanzo.

Titanio è un racconto di periferia, ambientato nella Ciambella, tra droga, prostituzione, violenza e mancanza di diritti primari. Eppure c’è un lato di bellezza: la passione per i libri che ha Fran. La lettura che valore ha? Può offrire una redenzione, come l’atto di confessione cristiana?

Sì, la lettura è un mondo in cui rifugiarsi e trovare delle risposte, può offrire una redenzione. Sono un fruitore della letteratura in questo senso, scelgo i libri per darmi suggerimenti, suggestioni e ispirazione. Come qualsiasi forma di creatività -quelle che ci stimolano a metterci in gioco- sono forme vicino all’esperienza religiosa, a qualcosa di sacro, di intoccabile.

Ritratto artistico di Stefano Bonazzi

I sommesi e i salvati è un titolo di Primo Levi. Anche in Titanio, oltre al bene contro il male, troviamo una metafora marina: la nave Elizabeth, simbolo di degrado e allo stesso tempo di speranza. Parliamone meglio.

Trovo la citazione pienamente calzante. La nave è una struttura metaforica che crea un luogo dove si può trovare riparo e protezione, nonostante il degrado presente all’interno della Ciambella. Credo molto nella funzione della fiaba, si pensi a Pinocchio con il pescecane, al Viaggio dell’eroe di Vogler e ho voluto riproporre una mia versione in tutti i miei romanzi. In Titanio la rappresenta la nave Elizabeth. Questa nave che giace sulla spiaggia dà sollievo nonostante non abbia più un’utilità. È uno dei pochi aspetti luminosi del romanzo.  

Nei tuoi romanzi ricorre una particolarità: la deformità come macchia umana. È un tema che ti sta a cuore? In che modo, se esiste, hai intenzione ancora di approfondire?

È vero, è un tema che mi sta molto a cuore. Più che macchia la vedo come una particolarità, non necessariamente in modo negativo. È un aspetto che caratterizza la persona, ma come ci dimostra Stella, è un monito di forza, di sprono. La differenza -o diversità, come si voglia chiamare- è un tratto distintivo che mi ha sempre affascinato. Non credo nel modello di perfezione patinata che ci propina la società di oggi. La cicatrice, la diversità ha in sé delle sfumature che si portano sulle spalle un passato, delle sfide con cui confrontarsi. Mi piace pensare che quella particolare diversità abbia cambiato il modo di vivere o di pensare del personaggio. Ricorre anche nei miei romanzi precedenti e porterò avanti il concetto, cercando sempre un modo diverso per indagare l’anomalia. Ovviamente non intendo soltanto quella fisica, ma anche -e forse soprattutto- quella di approccio mentale. Mi piace parlare di persone che vanno fuori dagli schemi e ci stupiscono sempre in qualche tratto della loro personalità.

Un grazie immenso a Stefano Bonazzi.

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