Dall’8 al 12 luglio, Roma e Parigi saranno protagoniste dei due festival gemelli, Dolcevita sur Seine e Nouvelle Vague sul tevere, rispettivamente rassegna dei cinema italiano a Parigi e kermesse del cinema francese a Roma. I festival gemellati esistono ormai da qualche anno e godono di una crescente visibilità e di un più che positivo riscontro del pubblico. L’apertura è avvenuta in streaming con Parigi: presenti l’ambasciatore francese in Italia e Juliette Binoche, presente a Roma per girare il suo prossimo film.

Il cinema sperimentale nella carriera di Juliette Binoche. Al di là del cinema stesso
La kermesse di Roma si è aperta con Gli amanti del Pont-Neuf (1991), di Leos Carax, che vede protagonista proprio Juliette Binoche, in compagnia di Denis Lavant. Con la Binoche ci siamo soffermati per porle qualche domanda.
Juliette, sappiamo da indiscrezioni mediatiche che sta girando per un film di Uberto Pasolini, regista, sceneggiatore e produttore italiano che può vantare parentela con i conti Pasolini dall’Onda, nonché con il regista Luchino Visconti e il produttore Carlo Ponti. Di cosa si tratta, se può dircelo?
È vero, in questo momento sono impegnata sul set di Uberto Pasolini, regista che definirei italiano di origine con indole londinese. La pellicola in questione si intitola The Return, e riprende, nella sua trama, l’antica storia di Ulisse, dal momento in cui rientra ad Itaca e si vede costretto a dover riconquistare ciò che prima di partire gli apparteneva. Nel film interpreto un personaggio a me molto caro, Penelope.

Lei ha più volte girato in Italia. Che cosa simboleggia la nostra nazione per lei, e qual è l’immagine dell’Italia rimasta nei suoi occhi?
Beh, l’Italia, per me, sono gli italiani. Non esiste l’Italia senza gli italiani. Penso che li caratterizzi, più che altro, il buon umore e l’amore per la vita. Inteso come l’amore per il cibo, per l’arte, per tutte le arti. E il cinema è una delle arti che bene si iscrive e facilmente si inserisce nel vivere italiano. Abbas Kiarostami con cui ho lavorato in Copia conforme, sosteneva di poter girare soltanto in Italia, fra tutti i paesi europei, perché lui, iraniano, qui si sentiva a casa. È ciò che provo anch’io. Ho girato in varie città italiane. A Messina, in Sicilia, ed anche a Venezia. E poi, cosa vuoi che ti dica, il mio primo amore era italiano… questo spiega tutto.

Gli amanti del Pont-Neuf è un film sicuramente entrato nella storia del cinema francese, essendone un capolavoro assoluto. Lei ne è il volto femminile, la protagonista. Nell’opera appaiono anche alcuni dei suoi quadri e dei suoi disegni. Che significato ha avuto e continua ad avere per lei questo film?
Il film è un mezzo di comunicazione, è ovvio, ma per me è anche un qualcosa di molto di più. È un film sul quale abbiamo lavorato per due anni e mezzo, dal 1989 al 1991. È quel tipo di film che tu attraversi esattamente come esso attraversa te. Come un fiume. È, al contempo, una lettera d’amore e di addio che ci scambiamo io e il regista Leos Carax. In quest’opera, ho messo tanto amore e tanta me stessa. È stata un mezzo di trasformazione per me e anche una prova d’amore e di fede.
È un film pieno di paradossi, dalla sua ideazione alla realizzazione e alla distribuzione. Cosa, oggi direbbe, che maggiormente l’ha toccata di questa pellicola ad oltre trent’anni dal suo girato?
Il film doveva finire pressappoco così. I protagonisti della storia, Alex e Michelle, si lasciavano. Lei annegava nella Senna, e lui guardava dal Ponte e si chiedeva, dopo trent’anni, se lei lo avesse amato davvero. Quando ho letto la sceneggiatura con quel finale, ho lasciato Leos dicendogli: “Se loro si devono lasciare, io non posso vivere con te. Ti lascio finché non scrivi un finale diverso”. Così, durante la lavorazione del film, ci siamo lasciati. E poi, è arrivato, invece, il finale che quella storia ha adesso. Posso dire che è stata un’esperienza indimenticabile.

Come è stato ideato questo film?
All’epoca abitavo in un bilocale di Place de l’Ecole. Dalle finestre, sporgendomi, potevo vedere il Ponte. Lo dipingevo, immortalando il centro di Parigi e il suo quotidiano, e quei miei dipinti hanno trovato lo spazio nella pellicola. Il film è partito un po’ cosi, dalle nostre osservazioni della vita quotidiana. Stava nascendo un cinema più aspro di quello passato, a mio giudizio troppo idealizzato, non a caso la stessa idea di cinema fu innalzata ad ideale ed esasperata da Godard. La magia de Gli amanti del Pont-Neuf si genera dalle nostre osservazioni del quotidiano e dei suoi drammi. Il regista ha voluto attori “nuovi” che non avessero paura di mettersi in gioco, e noi eravamo esattamente così.
Prima di salutarti e ringraziarti, vorrei domandarti se c’è qualcosa, a tuo giudizio, nel film, di insolito o addirittura trascendentale?
È un film che ha unito in sé i veri appassionati, spinti dall’interno, a fare ricerca. È solo un’opera cinematografica che, però, nasconde in profondità il nostro comune desidero di andare oltre, al di là del cinema stesso. A chi non lo ha visto consiglio di dedicarcisi un momento. Credo che ancora oggi, che sono trascorsi più di trent’anni da quando lo abbiamo realizzato, ha davvero molto da dire.