Il giardino degli aranci è l’ultima fatica letteraria di Dario Voltolini, scrittore e artista eclettico nel panorama culturale italiano. Uscito per i tipi di La nave di Teseo, il romanzo si incentra sull’educazione sentimentale di Nino Nino, che, a causa di un incontro fortuito con Luciana, la sua fiamma del liceo, ripercorre il filo della memoria ricordando i suoi amori precedenti. Sullo sfondo, una Roma poetica che si affaccia proprio al Giardino degli Aranci. Ho avuto l’occasione di parlare con Dario riguardo questo romanzo, dai motivi scatenanti ai problemi di stile.

Grazie di cuore Dario per aver accettato l’intervista. Partiamo subito dalla base di una storia -che essa sia un racconto, un romanzo, una canzone o un testo teatrale-. Com’è nata l’idea? Qual è il tuo sviluppo creativo e come prendono forma i tuoi romanzi?
Mi trovavo a Roma perché Alessandro Baricco stava mettendo in scena a teatro un mio romanzo precedente, così ho avuto l’occasione di soggiornare nella capitale. Ho trascorso del tempo facendo il turista e quando mi hanno chiesto se fossi mai stato al Giardino degli Aranci, mi sono reso conto di non esservi mai stato. Allora mi sono diretto a visitarlo e quando mi sono trovato di fronte la vista mozzafiato del Giardino, con la cupola di San Pietro che si stagliava netta all’orizzonte, ho capito che quella poteva essere l’ambientazione per scrivere qualcosa che avesse una visione totale, una globalità, per poi seguire una strada unica. E qual è la visione totale per eccellenza? La storia dei rapporti umani. Poi mi è venuto in mente un incontro, di anni prima, con la mia cotta del liceo e nella mia fantasia l’ho incontrata al Giardino per parlare dei tempi andati. Ho traslato tutto da Torino, la mia città, a Roma.
Parliamo della scelta stilistica del testo: si passa dai tempi passati al presente, dalla terza alla seconda persona singolare. Cosa ci dice ciò della tua scrittura in questo testo?
È vero, ci sono dei ritorni nel tempo e salti al presente nel Giardino perché così è come funziona il meccanismo del ricordo. È la struttura della nostra mente, in un certo senso. Per quanto riguarda le voci, invece, ho sperimentato dei giochi. Nino Nino ha mille voci nella mente che non escono mai, ma si percepiscono. Una di queste voci è anche il narratore esterno che sa quello che pensa il protagonista perché in realtà è lui stesso. Si instaura quindi un dialogo e la forma del dialogo è la seconda persona singolare. Il narratore può parlare direttamente a Nino Nino perché è la mente stessa che lo fa.
L’amore e la perdita dell’amore sono narrati non come drammi sentimentali, ma con l’arma dell’ironia. Ridere di sé stessi è una chiave per alleggerire la vita? Come si instaura l’ironia nella mente di Nino Nino?
Non so se conosci il comico inglese Ricky Gervais, ma lui afferma che “se riuscite a ridere in tutte le situazioni, allora sarete indistruttibili”. Nino Nino che racconta ormai è un adulto e può guardare al passato, ai tempi di quando era ragazzo, con gentilezza, non con nostalgia. Alla fine sono cose belle che si ricordano con piacere, sono ricordi piacevoli. Per far ciò ho utilizzato una prosa molto sensoriale, con riferimenti precisi ad immagini, odori e profumi, visioni, esperienze tattili.

Centrale è il tema del ricordo, di come da adulti si riveda con occhi diversi l’età della giovinezza. Oltre che autoanalizzarsi sulla base della relazione con gli altri. Cosa scopre di sé e delle donne che ha frequentato Nino Nino?
Scopre di aver avuto un rapporto paritario pressoché perfetto fin dall’asilo quando i bambini non hanno ancora quella diversità e differenza che poi si instaura nei rapporti futuri. La perde infatti piano piano nell’adolescenza, nonostante abbia avuto sempre accanto un’amica di infanzia. Il rapporto con il femminile è sempre vitale, però. È un rapporto di energia e di forza.
Il giardino degli Aranci parla di educazione sentimentale e di una buona dose di insicurezza da parte del protagonista. Credi che, passami il termine, l’ “essere imbranati” sia una questione generazionale, di cultura, di carattere o di mancata “educazione” al rapporto con il sesso opposto (o il medesimo nel caso di omosessualità)?
Credo sia un dato caratteriale e basta. Se riguardo indietro al mio “essere imbranato” mi dico che gli altri più socievoli ed espansivi di me non sono finiti a fare gli scrittori.
Parliamo adesso della musicalità del testo: da paroliere della canzone, non si può non notare la cadenza ritmica del romanzo. Ricorda gli stilnovisti sia per i nomi scelti, per i temi e per lo stile. È l’effetto che volevi trasmettere? Come lo hai ottenuto?
Nella vita avrei voluto saper dipingere, cantare, essere un artista, ma la verità è che non sono capace. So solo scrivere. Quindi ricerco quel tipo di arte nella mia scrittura, ascolto come suona la frase, scelgo le parole in base anche alla sonorità. Qui ho aggiunto immagini e profumi che è più difficile da evocare. In più, volevo celebrare la figura femminile. Mi lusinga il riferimento al momento letterario dello Stilnovismo, fatto di grazie e delicatezza. Io penso che l’italiano sia una delle più belle lingue letterarie che ci siano e ho voluto celebrare anche quella, la nostra lingua natia.
Ci puoi -e vuoi- parlare dei tuoi progetti futuri?
Ho quasi terminato un racconto per l’editore Tetra, che uscirà nella prossima quartina. L’estate scorsa ho finito un libro che uscirà il prossimo anno per La nave di Teseo, sulla malattia, gli ultimi anni di vita e la morte di mio padre. Tengo moltissimo a questo testo, penso che sarà il mio libro più importante.
E noi non vediamo l’ora di correre subito in libreria. Grazie ancora, Dario.