Avevamo interrotto la nostra storia sull’universo cinematografico e non solo del Maestro Nichetti (qui la prima parte) con gli anni vissuti allo Studio Bozzetto. Riprendiamo il nostro discorso scoprendo cosa è accaduto con l’approdo in televisione e la nascita delle tv private.

La televisione, l’avvento di Berlusconi, i rapporti Mediaset/Rai. Nichetti e un cinema futurista in punta di comicità
Si licenzia per seguire Arbore a L’Altra Domenica. 23 servizi comici più uno mai andato in onda… Anche qui aveva precorso incredibilmente i tempi, ci racconta che successe in quel 24esimo episodio?
Ero stato assunto come regista dei servizi da Milano, quelli presentati da Silvia Annichiarico, mia amica d’infanzia e collaboratrice di Arbore. Avevo un contratto per 24 regie e solo una non è mai stata messa in onda. Mi avevano chiesto di realizzare un servizio comico sulle nascenti televisioni private milanesi. A Roma ne avevano già realizzato uno esilarante tra culturisti e spogliarelliste impegnati in scantinati attrezzati. Io parto per la preparazione del servizio e mi imbatto in grandi editori che stavano investendo nella TV commerciale: Rizzoli, Rusconi, Mondadori avevano già un canale a testa, negli studi di Antenna 3 c’erano tutte le sere platee di migliaia di spettatori in studi più grandi di quelli RAI di corso Sempione. Mike Bongiorno era appena passato a lavorare per un imprenditore milanese ancora semisconosciuto e proprio lui, Silvio Berlusconi, mi ha concesso un’intervista sui gradini del Jolly Hotel a Milano 2, sede della sua prima avventura televisiva. “Ma fa ridere?” mi domandavano da Roma. Non ero sicuro che ci fosse troppo da ridere, in particolare in viale Mazzini, ma confezionato il servizio lo mando a Roma.
E’ l’unico che non è mai stato trasmesso perchè considerato poco comico Non sono più riuscito a rivederlo, perchè all’epoca, giravamo con una pellicola 16 mm invertibile, cioè senza negativo. Per fare presto si montavano i servizi e si spedivano senza trattenerne una copia. Persa quella, perso tutto. Anche l’occasione di riflettere sul perchè, a quei tempi, ci fosse così tanta sicurezza nel considerare che il monopolio RAI fosse destinato all’eternità.
E con il tempo questa convinzione si è incrinata…
La fortuna ha sempre premiato chi sapeva anticipare gli altri. Berlusconi aveva capito la forza della televisione, quando altri politici si accontentavano ancora di far leggere qualche loro velina al telegiornale. Altri hanno capito prima la forza di Twitter, qualcuno ha cavalcato poi i social con fake news non per questo meno seguite o meno convincenti. Oggi tutto il mondo dell’informazione è sotto controllo di chi lo sa usare con tecniche sempre più invasive. Abbiamo sperato per anni che la Rete fosse garanzia per una democrazia trasparente, abbiamo sperato di evitare intermediazioni e manipolazioni, per accorgerci poi, che la più grande manipolazione è quella anonima di chi posta quello che vuole, quando vuole, senza nessun controllo.
Mi fermo per un momento a Renzo Arbore. Incassato l’incredibile successo radiofonico di Alto Gradimento e il triennio televisivo de l’Altra Domenica che lo consacra al grande pubblico, nel’85 strabilia con Quelli della notte, tre anni dopo è la volta di Indietro Tutta e ben 17 anni dopo, siamo nel 2005, torna con un programma di assoluto successo come Speciale per me – meno siamo e meglio stiamo. Se lei nel concetto di risata è Maestro nell’utilizzo del silenzio, Arbore senza dubbio, lo è nell’utilizzo della parola. Come spiega la sua capacità di resistere al tempo, facendo breccia allo stesso modo in più di quattro generazioni, senza doversi assoggettare alla volgarità dialettica della televisione?
Il segreto che, forse, in qualche modo ci accomuna, sta in quel sottotitolo “Meno siamo, meglio stiamo” Arbore, pur essendo stato un fenomeno mediatico di assoluta popolarità, ha sempre ottenuto il suo successo mantenendosi fedele ai suoi principi, ai suoi gusti, mai cercando di assecondare quelli del pubblico. Preferendo cambiare mestiere, passare all’Orchestra Italiana, piuttosto che essere imbrigliato in qualche “format” che non nasceva dalla sua voglia di divertirsi. Rinunciare a rifacimenti di successi che tutti ti chiedono, per rischiare sempre nuove avventure, è un qualcosa che appartiene anche alla mia esperienza, alla mia curiosità. Forse per questo, quando ci incontriamo, e non accade spesso vista la distanza delle nostre rispettive abitazioni, lui a Roma io a Milano, ci riconosciamo in un entusiasmo, una positività, una voglia di divertire, che ci ha fatto sempre superare anche i momenti più difficili.

A questo punto torno un attimo indietro a Ratataplan. Siamo nel 1979, nel pieno periodo degli anni di piombo. Solo in quell’anno vengono uccisi l’operaio Guido Rossa, per mano delle BR, il magistrato Cesare Terranova, per mano della mafia, l’avvocato Giorgio Ambrosoli da un sicario assoldato da Sindona, vengono rapiti Fabrizio De André e Dori Ghezzi e le Brigate Rosse assalgono la scuola di amministrazione aziendale di Torino. Era possibile far ridere in una nazione dominata dal terrore?
Il 1979 chiudeva un decennio iniziato con l’attentato alla Banca dell’Agricoltura a Milano. Dieci anni di strategia della tensione che si era sovrapposta a tutti i sogni dei giovani che nel 1968 si erano ribellati contro il consumismo, la guerra, le diseguaglianze sociali. Dieci anni pesanti da cui una nuova generazione voleva prendere le distanze. Gli “indiani metropolitani”, una parte libertaria e creativa del Movimento giovanile, aveva scritto sui muri nel 1977: “Una risata vi seppellirà” schierandosi per la prima volta dalla parte dell’ironia, della satira, del sorriso anche per prendere le distanze da bombe e stragi che non avevano nulla di liberatorio, anzi avevano il compito di tenere sotto controllo i disagi sociali a suon di attentati, una vera e propria strategia della tensione ricordata come anni di piombo. Da metà degli anni settanta il teatro era diventato un linguaggio di denuncia, ma anche di liberazione da canoni e regole del passato. In questo clima era nata, a Milano, la Cooperativa teatrale e scuola di mimo QuellidiGrock che in pochi anni aveva attirato centinaia di ragazzi. Questa era una reazione dal basso per chi si voleva smarcare da una logica di gruppi violenti impegnati nel generare terrore. Era lo stesso pubblico che alla fine degli anni settanta è corso a vedere Ratataplan, un piccolo film comico di poche parole, dalla parte dei più deboli, che cercava con un sorriso di ridare fiducia in un futuro meno cupo di quello che qualcuno avrebbe voluto per l’Italia, con la scusa di ripristinare un ordine sociale…
Divago dal Cinema per restare su un tema a me molto caro: quello dell’ironia o più precisamente della satira per far breccia e rivoluzione. Dalla tragedia di Charlie Hebdo ad oggi. Lei che idea si è fatto del loro format comunicativo.
Prima di rispondere dobbiamo ricordare che stiamo parlando di una redazione uccisa con un atto terroristico che ha fatto sparire fisicamente degli uomini e delle donne, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo per il loro lavoro (Georges Wolinski solo per citarne uno) Parlare del loro lavoro e del loro giornale è impossibile dopo quello che è successo. La satira ha il dovere di essere dura, diretta, dissacrante in particolare quando combatte il potere. Il Re è nudo, rappresenta benissimo il perchè satireggiare chi comanda dovrebbe essere obbligatorio per ogni società libera che voglia ritenersi tale. Entrando in un campo religioso il discorso cambia. Una bestemmia non può essere considerata satira cattolica. In una società multietnica e multireligiosa come quella che stiamo vedendo formarsi nel terzo millennio sarà sempre più indispensabile avere rispetto del diverso da noi, per non incorrere in guerre di religione che sono sempre state le più pericolose, intransigenti, violente. Non si può morire per aver cercato un sorriso, non si può ridere del sacro altrui.

Siamo nell’80. Nelle sale arriva Ho fatto Splash! La diretta critica ad una televisione soporifera e banale è l’amo con il quale prende corpo la narrazione. Come le è nata l’idea di raccontare la storia di un bambino che si addormenta davanti alla tv per risvegliarsi solo venti anni dopo e confrontarsi con un mondo che non sembra appartenergli in alcun modo.
Nel 1980, la prima domanda che veniva fatta ad ogni personaggio pubblico, era la sua posizione rispetto alla contestazione e ai movimenti del 1968. Da che parti stavi? Mi piaceva l’idea di raccontare un personaggio che non lo aveva vissuto. Non avrebbe saputo rispondere, semplicemente perchè… dormiva! Alla mia maniera affrontavo un tema che altri autori hanno sviluppato anche con toni drammatici. I fratelli Taviani con San Michele aveva un gallo raccontano di un anarchico internazionalista che aveva trascorso in carcere dieci anni, perdendosi, un secolo prima, gli ultimi moti giovanili. Un disagio sentito, in quegli anni, da molti intellettuali. Marco Tullio Giordana lo rappresenta attraverso il personaggio di Svitol in Maledetti vi amerò. Anche lì un’assenza di cinque anni dall’Italia non gli fa più riconoscere i suoi vecchi amici. Modi diversi per dire che gli anni 70 sono stati anni difficili da attraversare per chi era spinto da ideali alti, forse utopici, mai violenti.
Il Festival di Sanremo, all’inizio della televisione, era l’appuntamento annuale per tutte le famiglie e io, puntualmente, com’era giusto per un bambino, mi addormentavo sempre dopo le prime canzoni.
Si addormenta anche oggi, o le nuove tendenze musicali l’appassionano o almeno la incuriosiscono?
Sarei un bugiardo se dicessi di essere un ascoltatore della musica Trap, già i Rap mi avevano impegnato, ma ero riuscito ancora ad apprezzare e a divertirmi con certi testi, certi ritmi. Credo che ogni generazione sia legata ad un sound che ha conosciuto da giovane, a note che hanno accompagnato emozioni e scoperte nuove. Io ho avuto la grande fortuna di essere stato accompagnato in quell’età dalla musica dei Beatles, ogni loro uscita era una rivoluzione di comportamenti, di sonorità, di espressioni. Auguro alla generazione di oggi di ricordarsi tra cinquant’anni dei pezzi Trap con la stessa emozione che possono suscitare ancora pezzi come Yesterday, Hey Jude, Eleanor Rigby….o altri trenta titoli equivalenti.
Maurizio, il personaggio suo omonimo da lei interpretato, tra l’altro ricorda molto il Compagno Antonio, ideato 13 anni dopo dal comico Antonello Fassari, nel programma Avanzi. Qui sarà la volta di un comunista svegliatosi per l’appunto dopo venti anni di coma, con gravi crisi di adattamento a causa di una società che non riconosce più come propria. Muta l’oggetto ma non la forma. Diciamo pura casualità, oppure l’aggiornamento sociale di un Nichetti prima maniera?
Come notavo prima, il sentimento di straniamento verso molti avvenimenti dell’ultimo decennio e la messa in crisi di certezze che sembravano granitiche era nell’aria. Dopo Antonello Fassari, nel 2003 il bellissimo film Good Bye Lenin! di Wolfgang Becker racconta lo stesso soggetto attraverso la malattia di una comunista che, durante un coma durato pochi mesi, aveva perso ogni riferimento con tutta una serie di convinzioni politiche che erano state sovvertite durante la sua assenza.
In una scena del film, il protagonista una volta svegliatosi viene accolto dalla cugina a Milano, la quale vive con due amiche: la prima che sogna di fare la fumettista, la seconda l’attrice. Quanto Nichetti c’è in questo universo femminile?
Tanto per cominciare Angela Finocchiaro, Carlina Torta e Luisa Morandini erano davvero mie amiche, le storie che raccontavo erano le storie di persone precarie che conoscevo bene. Gli ambienti mostrati, la pubblicità, il teatro, avevano riempito la mia vita lavorativa. Avevo conosciuto una generazione intera di aspiranti attori che si vantavano di aver lavorato con Strehler solo perchè ingaggiati per il moto ondoso, sotto un telo, nella Tempesta di Shakespeare. Un film molto autobiografico, nascosto però sempre sotto una metafora fantastica: un cugino che aveva dormito vent’anni e aveva, quindi, tutte le ragioni per non saper parlare.
L’intero film è girato a Milano ed oggi, lei, ancora a Milano risiede. Come è cambiata la sua città, come si è evoluta e cosa pensa degli attuali successi anche culturali, penso ad esempio all’assegnazione delle Olimpiadi del 2026, ma anche a molto altro, ovviamente.
Parlare di Milano con entusiasmo, oggi è facile, quasi banale. Era più difficile ai tempi di Mani Pulite (ma ci vantavamo di avere avuto il coraggio di scoperchiare una pentola) ai tempi del terrorismo (ma ci vantavamo di essere pur sempre un’avanguardia culturale, anche nei conflitti). Oggi è una città in movimento. Attrae investimenti e turisti da tutto il mondo. Ancora una volta è una città “avanti” che cerca di integrare il diverso, lo accetta, lo adotta come milanese se ne riconosce la serietà, l’onestà, l’imprenditorialità. Ma è anche una città molto selettiva, costosa, richiede un impegno costante, non foss’altro, nella comprensione di tutto il nuovo che produce in continuazione.

Tornando al film, nella famosa scena dello spot pubblicitario il regista inglese, che non parla italiano, viene rassicurato dal pubblicitario che gli confida che per fare il regista in Italia basta saper dire: Azione, Motore, Stop. Quella provocazione marcata da una esilarante gag, la crede valida anche oggi? O forse non era una provocazione, ma un’analisi vestita da ironia?
Era la semplice verità. Io ho imparato a fare il regista stando sul set di registi stranieri che venivano in Italia a girare senza sapere una parola d’italiano. A volte ripartivano e a me toccava rigirare quello che era stato criticato dal cliente. Naturalmente erano professionisti strapagati, mentre a noi italiani erano riservate le produzioni più “povere” (mancavano i soldi per un regista inglese!) Credo non sia cambiato molto neppure oggi. Anzi il mercato globale permette di trasmettere spot internazionali prodotti altrove e utilizzati, poi, con pochi ritocchi in vari paesi.
Per non parlare delle due battute su Strehler. “Non ci vuole poi tanto a recitare nelle opere di Strehler…”, pronunciata da Angela quando si trova a dover sostituire la sua amica attrice; e quella eccezionale di un personaggio del pubblico che nonostante l’opera andata in scena sia completamente fallimentare, proclama “Strehler è sempre Strehler”. Come le è venuta la voglia di confrontarsi con un Maestro del teatro idolatrato dal pubblico “bene” di Milano e non solo.
Come detto in precedenza io avevo studiato al Piccolo Teatro di Milano. Avevo subito il fascino di un teatro che viveva con Strehler e per Strehler. Per fare questa scena ho dovuto chiedere il permesso a lui stesso. Mi ha ricevuto nel suo studio e mi ha spiegato come avrei dovuto girare la scena… Era un personaggio molto carismatico. Una personalità che non ammetteva discussioni, ma che sapeva affascinare con i suoi monologhi.

Un anno fermo, l’81 e l’anno dopo arrivano gli alieni di cui parlava prima in Domani si balla! Arriva la forte contestazione alla borghesia da parte di due cronisti remissivi, ma improvvisamente determinati, ed arriva quella di Nichetti per un cinema figlio della necessità commerciale e sempre meno capace di stupire. Arriva anche il grande rapporto Cinema-tv. Che ricordi ha di questa pellicola, tra l’altro recentemente restaurata e da Shockproof e Centro Studi Cinematografici e riproposta all’edizione 2018 del Fantafestival?
Nel DVD a cui fa riferimento esistono extra e commenti a tutta la pellicola che possono rispondere a questa domanda meglio di quello che potrei fare in poche righe. Posso solo dire che eravamo agli inizi degli anni ’80, che nessuno ancora poteva immaginare l’importanza che la televisione avrebbe raggiunto nel decennio successivo. Forse per questo la pellicola passò inosservata presso la critica. Era un film povero, ingenuo, ma, visto oggi, pieno di premonizioni che si sono puntualmente verificate nell’immediato futuro. Oggi con le telecamere fisse di sorveglianza vengono documentati fatti di cronaca e riempiti i telegiornali, nel 1982 Paolo Stoppa e Elisa Cegani passavano le serate davanti al videocitofono, tra lo spaventato e il curioso per il mondo che passava in strada… Alla fine degli anni ’80 una sintesi di quello che la televisione aveva modificato nella nostra cultura e nelle nostre abitudini l’ho rappresentata in Ladri di Saponette, ma immagino che questo sia oggetto di un’altra domanda.
Esattamente, lì arriveremo fra poco, vorrei però domandarle ancora una cosa su Domani si balla! Per la prima volta, un suo personaggio parla al cinema. Era arrivato il momento di dare anche voce ai suoi personaggi o il rischio del troppo silenzio poteva condurre lo spettatore nel vortice del déjà vu?
Ricordo il dispiacere che mi faceva vedere l’ultimo Tati, obbligato al silenzio. A volte gli mancava solo la parola. Sin dal secondo film, ho cercato di circondarmi di personaggi parlanti, il che non significa mai delegare al dialogo il valore del film. Il cinema deve vivere d’immagine, per non confondersi con altri linguaggi d’espressione artistica che non possono che essere molto verbosi: teatro, televisione, letteratura.
Tra l’altro un grandissimo omaggio a George Méliès, pionieristico regista del cinema delle origini.
Ho sempre pensato che Georges Méliès avesse anticipato il grande cinema fantastico del terzo millennio. Non aveva i mezzi, la tecnologia, ma viaggiava con la fantasia tra fondali dipinti proprio come capita ancora oggi di vedere, anche se non riusciamo più a riconoscere il virtuale dal reale.

Prima di arrivare al 1985 anno in cui girerà Il Bi e il Ba, accadono molte cose. Approda in tv, chiamato proprio da quel Silvio Berlusconi che aveva intervistato per L’Altra Domenica, e arriva un film che diverrà un cult per il genere Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, diretto dal M.° Monicelli. Ma andiamo con ordine: cosa accadde con Silvio Berlusconi?
Berlusconi mi chiamò la prima volta subito dopo Ratataplan, voleva che entrassi nello staff che stava inventando una nuova televisione. Una grande sfida. Erano i tempi del Mundialito, quando non potendo permettersi i diritti della Serie A, si inventò un piccolo torneo mondiale in esclusiva sulla sua televisione privata. Alla prima proposta resistetti, avevo appena iniziato a fare cinema, non me la sentivo di abbandonare tutto per fare televisione. Dopo Domani si balla!, che non era andato bene al botteghino, tornò alla carica e questa volta accettai. Dodici puntate di tre ore di rivista televisiva mi incuriosivano molto, lavorare e ballare con Don Lurio, un sogno infantile. Quo Vadiz? nel 1984 è stata una grandissima esperienza proseguita negli anni successivi con le dirette televisive di Pista! il venerdì pomeriggio su Rai 1.
Invece parlando del film di Monicelli, chi era il Bertoldino Nichetti e come riuscì a calarsi in quei panni, anche qui potremmo dire fantastici, vestiti assieme a grandissimi attori del nostro Cinema: mi riferisco a Tognazzi, Sordi, Arena?
Quando Mario Monicelli mi offrì la parte di Bertoldino, ingenuamente dissi: “ma io ho i baffi!” “Bene”, rispose Mario, “sarà un Bertoldino coi baffi!” e non tornò più sull’argomento.
Che ricordo ha del Maestro.
Un burbero benefico. Un grande uomo a cui devo il mio ingresso nel mondo del cinema. E’ una storia lunga, ma avendo conosciuto Mario, molto prima di Ratataplan, mi sono trovato di fronte una persona normale innamorata del suo mestiere, ironica, grande professionista.Tutte qualità che mi hanno conquistato subito.
Qui chiudiamo questo secondo spaccato dell’universo nichettiano. (qui la prima parte). Ci ritroveremo la prossima settimana partendo da Quo Vadiz?, indimenticabile programma della prima tv di Silvio Berlusconi.
…to be continued…