Indira Gandhi, figlia di Jawaharlal Nehru, divenne la prima donna Primo Ministro dell’India nel 1966. Durante il suo mandato, si verificò un periodo di instabilità politica e tensioni sociali nel paese.

Una delle figure più controverse della politica indiana. Indira Gandhi fu infatti l’artefice di un governo autoritario che introdusse fortissime censure per i media e azioni repressive nei confronti di molti oppositori politici
Nel corso degli anni ’70, Indira Gandhi prese una serie di decisioni politiche che portarono a una maggiore centralizzazione del potere e a un governo più autoritario. Nel 1975, durante il suo secondo mandato come Primo Ministro, dichiarò uno stato di emergenza nazionale. Durante questo periodo, la democrazia indiana fu sospesa e furono imposte severe restrizioni alle libertà civili.
Durante l’emergenza, furono adottate misure repressive per reprimere l’opposizione politica e la libertà di stampa. Molti oppositori politici furono arrestati e imprigionati senza processo, i media subirono censure e venne introdotto un controllo autoritario sulle istituzioni governative. Queste azioni hanno suscitato forti critiche sia in India che a livello internazionale.
Tuttavia, l’emergenza fu revocata nel 1977 e le elezioni generali tenute nello stesso anno portarono alla sconfitta del partito di Indira Gandhi, il Congresso Nazionale Indiano. Successivamente, Indira Gandhi tornò al potere nel 1980 e governò fino alla sua tragica morte nel 1984, quando fu assassinata da due delle sue stesse guardie del corpo.
È importante notare che la gestione autoritaria di Indira Gandhi durante l’emergenza è stata ampiamente criticata, ma la sua eredità politica e il suo impatto sulla storia dell’India sono complessi e dibattuti.