Il coraggio di Anna Politkovskaja: il sacrificio di una giornalista per l’amore della libertà

Il ricordo di Anna Politkovskaja non si è mai sbiadito. Non ha mai perso di vividezza, il suo nome rimane impresso nelle menti e nei cuori del giornalismo internazionale. Oppositrice ferrea del regime di Putin, scrittrice e giornalista, Anna ha lasciato in eredità, dopo la sua uccisione avvenuta il 7 ottobre 2006, il concetto che la libertà di parola e la realtà dei fatti dovessero essere le prerogative delle grandi inchieste. Lei, che si è occupata delle guerre cecene, degli attacchi terroristici, del governo di Putin, adesso è protagonista di un memoir, scritto dalla penna sapiente e affettuosa della figlia Vera. Edito da Rizzoli e tradotto dal russo da Marco Clementi, lo potete trovare in tutte le librerie con il titolo “Una madre”.

E noi abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di costruire un ritratto di Anna attraverso la voce del traduttore e professore universitario Marco Clementi. 

Grazie professor Clementi per aver accettato la mia intervista. È importante ricordare giornaliste come Anna Politkovskaja, e con il memoir che lei ha tradotto abbiamo un’idea di questa grande donna e della sua forza. Vorrei partire da qui. Dall’idea di giornalismo che Anna aveva e faceva. Lei stessa ha dichiarato spesso: “Io scrivo ciò che vedo”. Si dice che un tipo di giornalismo così, in Russia, è morto con la sua scomparsa. Cosa rendeva speciale Anna in quanto giornalista?

Anna aveva un grande rispetto del suo lavoro, dei lettori, dei colleghi e del Paese. Partendo da questo profondo sentimento, interpretava la professione di giornalista come una delle professioni più importanti, perché la figura del giornalista ha l’obbligo di rompere, di perforare i veli che il regime nasconde all’opinione pubblica. Lei ha imparato parte della professione di giornalista dal marito -anch’egli giornalista televisivo di grande fama in Russia-, durante gli anni della Perestroika. La trasmissione condotta dal marito, Alexander Politkovky, era molto seguita. I giornalisti di “Vzgljad” si sentivano liberi di fare le domande che volevano agli ospiti che più desideravano. Anna questa lezione la fa sua, è parte della sua crescita. Dobbiamo considerare che in un Paese come la Russia, accanto alla censura ufficiale, molti giornalisti adottavano anche un’operazione di autocensura. Lei, invece, il coraggio di parlare lo dimostra in ogni momento. Lo considera un fatto etico rispetto alla sua professione e al suo Paese.

Una foto di Anna Politkovskaja

La seconda guerra cecena

Tante sono le inchieste scritte da Anna negli anni della Novaja Gazeta. In particolar modo, ha trattato la seconda guerra cecena, la lotta al terrorismo e l’avvento di Putin. Ci dica di più sull’aspetto politico e sociale che frequentava Anna.

La prima guerra cecena fu molto illustrata e raccontata dai giornalisti, dalle testate e dalle televisioni. Perdurava ancora lo stato di libertà che si era sviluppato negli anni precedenti. Nel 1999, allo scoppio della seconda guerra cecena, invece, non è più così, già il conflitto comincia in maniera indicativa.

In periferia vengono fatti esplodere vari palazzi, provocando decine di morti. Non sappiamo chi abbia progettato questi attacchi, i ceceni non li hanno mai rivendicati. Putin, quando annuncia la guerra, non la chiama con questo nome, ma la nomina “operazione anti terrorismo” e la Cecenia viene completamente isolata e chiusa. È in questo clima che Anna segue la guerra e raggiunge la Cecenia come inviata. Ha le sue strade, ogni volta per arrivare nel territorio armato deve cambiare nascondigli, strategia, persone che la aiutano. Ciò ovviamente la mette in opposizione al regime. Lei vuole mantenere la libertà di parlare, della parola. Cerca di dare voce alle persone che soffrono -che a volte coincidono con gli stessi soldati-, ma soprattutto alle persone comuni.

Anna è diventata, con la sua uccisione il 7 ottobre 2006, la martire per la libertà di parola e di stampa, per la verità. È indicativo che fosse molto nota all’estero e invisa allo stato reggente russo. Perché, dopo la sua morte, il suo nome è caduto nell’oblio, se non allo scoppio di questa guerra con l’Ucraina?

È vero relativamente che il suo nome sia caduto nell’oblio. All’interno del mondo dell’opposizione, soprattutto negli anni tra il 2008 e il 2014, il suo nome circolava. La Russia ufficiale l’ha cancellata, è un dato di fatto. Anna era una figura scomoda, soprattutto dopo la sua morte. Si può dire che sia stata la morte a renderla in qualche modo immortale e il potere non può giustificare la sua uccisione. La difficoltà di poterne parlare ha giocato un fattore preponderante per farla cadere nell’oblio. Dopo di lei molti altri giornalisti sono stati uccisi, ma la sua morte rimane la più clamorosa perché lei era famosa in Occidente. In Russia non avrebbe mai potuto avere gli stessi riconoscimenti e la stessa notorietà che ha avuto nel mondo occidentale.

Putin e Zelensky

Un nuovo scontro: la guerra tra Russia e Ucraina

La figlia Vera ha scelto lo stesso lavoro dei genitori e si è dovuta allontanare dalla Russia nel 2022. Per un’altra guerra, di cui il popolo russo è poco informato. Cosa dice la stampa ufficiale dell’attacco all’Ucraina?

Questa domanda richiede una risposta complessa, io proverò a semplificare il più possibile. È dal 2014 che Putin sta preparando dal punto di vista propagandistico non la guerra, ma la possibilità della guerra. Lo fa per vari motivi. Il primo è che ha paura di una possibile rivoluzione arancione in Russia, come era stato per esempio in Georgia. Un’Ucraina pienamente democratica lo spaventa, non tanto per l’arrivo della Nato, ma perché una democrazia in un luogo come l’Ucraina -che Putin sostiene essere un Paese fratello minore della Russia- dimostrerebbe che i Paesi slavi hanno la possibilità di diventare democratici e questo Putin non lo può assolutamente tollerare. Il modello democratico-liberale, infatti, se si diffondesse in Paesi come l’Ucraina potrebbe diventare importabile anche in Russia, una minaccia per il potere che Putin detiene.

Poi, la politica interna la costruisce su una base violenta: la lotta al terrorismo. Lo spunto gli viene fornito già l’11 settembre 2001, quando le Torri Gemelle vengono distrutte negli Stati Uniti. Putin afferma che i ceceni che sta combattendo in casa propria sono parte della stessa matrice terroristica. E questa è la colonna portante del suo potere.

Le premesse che potevano esistere per costruire un nuovo equilibrio mondiale insieme agli Stati Uniti e alla Cina non sono andate a buon fine. La Russia è diventata esportatrice di materie prime, ma produttrice di niente. Mentre gli USA e la Cina diventavano potenze mondiali, la Russia ha perduto prestigio. Secondo Putin l’Occidente sta aggredendo il suo Paese, ne vuole ridurre il ruolo nelle politiche mondiali. Comunque vada a finire questa guerra, Putin ha fatto saltare il tavolo da gioco. Al nuovo tavolo la Russia si siederà con altre pretese, potrà dire la sua in ambito internazionale.

Riflettiamo sull’uso delle parole che Putin usa per questa guerra, la parola “nazismo”, per esempio. L’utilizzo del termine è evidente e semplice: i nazisti sono stati sconfitti durante la seconda guerra mondiale e la vittoria nella seconda guerra costituisce una colonna sulla quale poggia la costruzione ideologica del potere putiniano. C’è da dire, però, che quella è stata l’unica vittoria che la Russia ha conseguito negli ultimi cento anni. Dare del nazista al nemico fa capire subito l’origine di questa guerra. I cattivi sono gli altri, la vittoria si ripeterà.

Putin sta cercando di suscitare un sentimento patriottico e nazionalista nei russi, che già di per sé lo mantengono perché non si è mai completamente sopito. L’obiettivo è però quello di portarlo all’estremo limite possibile. Questa è la propaganda su cui si basa questo nuovo conflitto.  

Marco Clementi con la figlia di Anna, Vera

Vera dà un ritratto molto pragmatico della madre, dicendo che le minacce di morte erano cominciate già nei primi anni 2000. Eppure la sua abnegazione al lavoro è stata totale. Questo le permetteva la fama e il rispetto nell’Occidente che non ha mai avuto in patria, se non con poche eccezioni. Adesso la nipote, Anna anch’ella, appena quindicenne, è stata ostracizzata e costretta a cambiare nazione per il cognome che porta. Fa sempre paura alla Russia, Anna Politkovskaja?

Io credo che il nome di Anna Politkovskaja non faccia più paura al Cremlino, che ha ben altri problemi. Tuttavia, esistono dei gruppi interni ultra nazionalistici che cercano i nemici della “Grande Russia” dove il posto di Anna è ben delineato come oppositrice e quindi nemica dello Stato. Anna non faceva il gioco della Russia, anzi si schierava dalla parte dei nemici spesse volte. Questi gruppi cercano nella società dei simboli da colpire, come l’intera famiglia Politkovskaja. La nipote è una quindicenne che dice quello che pensa, come la nonna e la madre. Chiama le cose con il loro nome, afferma che la guerra sia ingiusta e che la Russia debba ritirarsi e ciò attira le antipatie di molti.

La Novaja Gazeta ha chiuso i battenti nel 2022 per la censura, mentre rimase in piedi per tutte le guerre cecene. Quanto è indicativo della repressione della libertà di stampa?

È assolutamente indicativo, il parallelismo è già stato fatto. Il regime di Putin ha questa caratteristica: non ha mai fatto capire dove voleva andare a parare, nell’arco del tempo la democrazia sovrana è diventata quella che si definisce una democratura (crasi per democrazia e dittatura). Ciò non è avvenuto attraverso una repressione continua, non c’è stata escalation. Ci sono stati, nel tempo, degli arretramenti della libertà -si pensi al 2012 quando è stata varata una legge contro gli agenti stranieri-. Si alternano periodi di calma dove non ci sono grandi repressioni, a momenti in cui invece si stringe la morsa, il tutto diluito per esempio in qualche anno. La società, così, ha già avuto modo di assorbire il colpo. Il cappio della censura si stringe, all’inizio non fa male e nemmeno te ne accorgi e poi, negli anni, si serra ancor di più, quando ormai ci si è abituati alle restrizioni della libertà. A quel punto, nessuno fa più in tempo a cambiare le cose. La Novaja Gazeta ha chiuso volontariamente prima della decisione del giudice nel 2022, che poi è comunque arrivata. E ciò è l’esempio lampante di come funziona la censura in Russia.  

Molti colleghi di Anna hanno fatto la sua fine. Smetterà mai un simile atteggiamento in Russia nei confronti dei “personaggi scomodi”?

Purtroppo, non mi sento di essere ottimista, tranne per i quindici anni intercorsi tra Gorbačëv ed El’cin. Ormai la forma è autoritaria, con delle punte forti di dittatura, e per questo il futuro appare complicato. Dipende anche da come terminerà questa guerra, ogni conflitto è un acceleratore della storia. Se la Russia dovesse ottenere una grandissima vittoria, il discorso si chiude per altri trent’anni, se andasse patta si navigherebbe in un mare più turbolento e forse qualche nodo potrebbe essere sciolto. Se la Russia andasse incontro ad una sconfitta schiacciante, allora si aprono diversi scenari. 

Si troverà mai il mandante dell’assassinio di Anna? La sua famiglia avrà mai la speranza di avere un colpevole tra le mani, un nome da sussurrare nel buio della loro sofferenza?

Ad oggi non lo sentiremo pronunciare ufficialmente. Ma chi lo sa, il futuro, alla fine, è ignoto.

Grazie di cuore a Marco Clementi.

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