Pupi Avati, La quattordicesima domenica e i rapporti sociali in una società d’immagine

Abbiamo avuto il piacere e l’onore di raggiungere telefonicamente il poliedrico Maestro Pupi Avati, il quale oltre a illustrarci la sua ultima pellicola di gran pregio, “La Quattordicesima Domenica del Giorno Ordinario”, ci ha introdotti ad una profonda riflessione, sia sulle dinamiche dei rapporti umani, che ad un insegnamento su come il vero cinema dovrebbe essere. Condividiamo con voi, questa magnifica e costruttiva esperienza.

Pupi Avati sul set di Zeder (1983)

Il cinema con il suo mondo denso di emozioni. Così Pupi Avati ci accompagna da quasi 60 anni

Maestro Avati buon pomeriggio; per noi è un vero piacere poterla intervistare e la ringraziamo per il tempo che ci sta dedicando. In tutti i suoi film, mette in risalto i rapporti sociali costellati da dinamiche avvolte anche da sentimenti di astio e sensi di colpa. Nel suo ultimo film, ad esempio, ci mostra il rimorso di Samuele provato nei confronti dell’amico Marzio, che alla fine lo condurrà al suicidio. Secondo il suo punto di vista, com’è cambiata la società e i rapporti amicali? Sono diventati “liquidi” per dirla un po’ alla Bauman?

Temo di sì, credo che sia diventato tutto estremamente liquido, egoistico, nel senso che ognuno abdica a quel preciso dovere che il ruolo gli impone. In qualunque tipo di ambito, a partire dal contesto più ristretto, presente in ogni cultura, che è quello familiare e che produce l’educazione dei figli; da lì noi vediamo che i personaggi che compongono tale nucleo a volte lo fanno in un modo relativo, e mi riferisco principalmente alla figura paterna, la quale ha subito un’erosione, una sorta di abdicazione a quelli che erano i suoi compiti.  Non si può pensare che basti assecondare una donna e generare figli, mantenendoli attraverso un lavoro, bisogna anche trasmettere sentimenti forti come il rispetto, in un mondo che per migliaia di anni ha funzionato in questo modo. Con questo non voglio dire che si debba ritornare alla famiglia patriarcale, tuttavia, penso che il genitore padre abbia precise responsabilità nell’educazione dei figli. Nelle famiglie in cui i genitori hanno svolto questo ruolo, rispettando quest’ impegno, mi accorgo che i figli riflettono questo tipo di beneficio; al contrario, quando invece si antepone continuamente il ruolo e la responsabilità genitoriale, si produce un danno, poiché dal momento che, quando si genera un figlio gli si promette tacitamente di avere un padre e una madre (adesso si dice di due madri o di due padri) presenti.

Se si rinuncia ad assicurare questa presenza, per il proprio personale egoismo, allora si viene a creare un problema. Una famiglia che va in confusione non la si può considerare identica a quella che rimane unita. Io sarò un vecchio conservatore, però da vecchio conservatore, nei confronti di quei giovani che vengono a confidarsi con me e che per la maggior parte sono figli di genitori separati e per i quali divento una figura forse di padre, nonno, o psichiatra, le dico una cosa: ciò che desidererebbero più di tutto è veder ricongiunti i propri genitori e questo dovrebbe dirla lunga. Ovvio che, se in famiglia si ha a che fare con una figura che ha sviluppato patologie mentali, psichiatriche, cause di forte disagio e compromissione dei rapporti, va da sé che la separazione in quel caso è la prima scelta da attuare, ma questo è un discorso ben diverso e spesso non ci si ritrova di fronte a questi estremismi. Ho realizzato, riferendomi a questa vicenda, un film, “Il Bambino Cattivo” (2013), il quale narra la storia di due genitori non adatti al loro ruolo, a causa di dinamiche belligeranti all’interno della famiglia. Il bambino, affidato ad una casa famiglia, successivamente troverà finalmente due genitori adottivi che saranno per lui dei veri genitori, pur non essendolo biologicamente. Io e mia moglie, ad esempio, abbiamo sempre voluto ostinatamente tenere in piedi il nostro matrimonio, anche se sarebbero potute subentrare dinamiche esterne a porsi come ostacolo, e questa forza che abbiamo dimostrato è stata di beneficio per i nostri figli, che al contrario avrebbero patito dei nostri eventuali personali egoismi.

Scena tratta da La quattordicesima domenica del tempo ordinario

Parlando de “La Quattordicesima Domenica”, assistiamo alla scelta di un cast originale e colorato, con talenti artistici molto diversi tra loro: mi viene da citare su tutti, una splendida Edwige Fenech e un teatrale Gabriele Lavia. Quali sono stati gli elementi decisivi nella scelta del cast?

Nel modo di fare cinema, io e mio fratello, abbiamo sempre la voglia di stupirci e di stupire, andando a cercare anche dove nessuno cerca più, come attori che magari sono usciti dalla luce della popolarità. Cercando di immaginarsi quell’attore, che magari per tutta la propria vita aveva ricoperto ruoli comici e invece riscoprirlo poi in uno straordinario interprete drammatico; o viceversa, su un’attrice che ha fatto ottanta, cento film dove più che altro ha ottenuto grande popolarità, specialmente per la sua avvenenza o per delle scene magari un po’ pruriginose, capire se potesse esserci la potenzialità sull’ interpretare un ruolo drammatico, cosa che è effettivamente avvenuta. Le dico però, con grandissimo rammarico, che purtroppo quasi tutti i miei colleghi, quando devono fare un film, cercano continuamente l’attore più di richiamo invece di andare a cercare appunto, fra quelli dimenticati, e invece credo sarebbe un ottimo modo per produrre nuove emozioni. Sempre per “La Quattordicesima Domenica”, abbiamo scoperto due ragazzi dotatissimi: Lodo Guenzi, cantante di un gruppo rock, e una ragazza proveniente da una scuola di recitazione, al suo primo film, Camilla Ciraiolo. Come sottolineava anche lei, abbiamo fatto una serie di proposte molto diverse tra loro: siamo partiti dall’attrice di film di commediole degli anni ’70, arrivando all’attore del Teatro di Strehler, Ronconi e Pirandello, passando per la ragazzina della scuola e finendo con il cantante del gruppo rock. Come vede parliamo di contesti disparati l’uno dall’altro, amalgamati poi dalla storia stessa e dal regista.

Pupi Avati sul set di Baldsamus, l’uomo di Satana (1968)

Vorrei tornare per un istante, seppur fortunatamente solo a parole, al Covid. Premettendo che dal primo all’ultimo minuto, ogni sua pellicola tiene incollato il pubblico al grande schermo e fa venire davvero voglia di andare al cinema, vera benedizione, secondo lei, come sono cambiati il pubblico e il cinema dopo la pandemia?

Il pubblico è cambiato in modo radicale, nel senso che i giovani vanno solo a vedere certi film, certi blockbuster americani e non hanno la minima fiducia nel cinema che non sia quello dei grandi effetti speciali, né suscita in loro la minima attrazione. I miei figli, che sono ormai grandi e anche i miei nipoti ventenni e dodicenni, non vanno mai al cinema, eppure di film ne guardano tanti, ma sulle piattaforme. Questo è avvilente, perché si guarda il film con la ghigliottina del telecomando in mano, che fa cambiare idea dopo due secondi. Si cercano film all’infinito, si cambia in continuazione, e ci si mette un bel po’ prima di placarsi definitivamente su uno in particolare, così, anche quando si riesce a trovare quello in grado di catturare l’attenzione, ormai si è annoiati e il grado di attenzione è ridotto al minimo.  E’ come se si entrasse in una multisala e ci si alzasse dalla poltrona per andare ad assistere alla proiezione della sala affianco. Una cosa che non si è mai vista. Il pubblico di oggi è quello delle immediatezze, nel senso che la storia deve fare presa nei primi attimi, altrimenti lo perdi. Il pubblico dovrebbe concedere un minimo di fiducia anche a quei film che potrebbero non avere quegli effetti speciali travolgenti; il mio “Dante” (2022), ad esempio, è una pellicola di forte valenza didattica, che insegna molte cose, ma per sua natura non può avere grandi effetti, oltre al tempo che si sarebbe dovuto impiegare per girarlo.

Pupi Avati sul set de Il signor diavolo

Un’ultima domanda che mi preme farle, soprattutto per gli appassionati del genere horror; qual è il suo rapporto con questo cinema di genere? E se rivedremo sue future pellicole ricalcare i fasti di Zeder, La casa dalle finestre che ridono o Il signor diavolo.

Sì, il mio prossimo film sarà proprio così. Il mio rapporto con l’horror è presente, lo è sempre stato sin da quando ero bambino. Mi piace essere spaventato e spaventare, lo trovo un gioco che mi diverte e credo che tutti si eccitino di fronte alla paura. L’ horror nasce dalle favole, quelle di quando ero bambino. Mi raccontavano delle favole dell’orrore tremende che mi piacevano moltissimo e così la voglia di spaventare mi è rimasta dentro. E’ un gioco molto divertente!

Maestro, grazie ancora per averci dedicato il suo tempo e per questa meravigliosa e costruttiva conversazione!

Grazie a voi.

Rispondi