Per la Giornata mondiale della bicicletta incontriamo il ciclogiornalista Davide Mazzocco

Davide Mazzocco è un “ciclogiornalista” che racconta itinerari di viaggio e salite per il magazine Cyclist e i siti Ciclismo.it e Sport Folks. Ha collaborato, tra gli altri, con Gazzetta dello Sport, l’Unità e Ciclismo. Insegna giornalismo di cui è autore di alcuni manuali. Nella ricca bibliografia, tra romanzi e saggi, spicca una Storia del ciclismo (2010).

Giornalismo e bicicletta, un binomio perfetto per la Giornata mondiale della bicicletta

In che modo giornalismo e ciclismo s’incontrano per te professionalmente e come passione?

“Nasce tutto da una tradizione familiare. Mio nonno era un professionista negli anni ’40, si chiamava Giovanni Destefanis ed è stato gregario di Fausto Coppi e di Fiorenzo Magni, ha corso tre Giri d’Italia e io sono cresciuto ascoltando le sue storie sin da bambino. Quando a 24 anni ho iniziato a fare giornalismo, ho scritto da subito di ciclismo. Sono quasi 25 anni che scrivo su testate cartacee e online ed è sicuramente l’argomento a cui ho dedicato più tempo e articoli.

Oggi è la Giornata mondiale della Bicicletta. Negli ultimi anni l’interesse per questo mezzo, anche come simbolo, è andato crescendo. È un vantaggio o ci sono aspetti negativi?

“Senz’altro c’è stata una grande crescita di utilizzatori quotidiani, che si spostano in bici soprattutto in città, e poi gli incentivi governativi hanno dato un forte impulso alla ciclabilità urbana e sportiva. Questi ultimi hanno portato un grande boom di acquisti, a cui segue ora il contraccolpo: le grandi aziende hanno fatto di tutto per rispettare i picchi di ordini nel 2020/2021, ma di conseguenza ora c’è stato un drastico calo delle vendite che sta diventando un problema per il settore. Rimane il problema della sicurezza. Lo scorso 30 novembre abbiamo perso Davide Rebellin per un incidente avvenuto nella sua terra, in Veneto. Alcuni anni fa, era successa una cosa simile a Michele Scarponi (anche lui investito sulle strade di casa, ndr), questo per rimanere solamente ai personaggi più famosi. Sono tanti i ciclisti a morire in Italia. Nel nostro Paese muoiono per omicidio volontario 300 persone all’anno, mentre sulle strade ne muoiono tremila, dieci volte tanto. Ovviamente non solo ciclisti, si parla anche di automobilisti, motociclisti e pedoni. Quindi il problema si può risolvere con una cultura della bicicletta più diffusa, comprendendo che questo mezzo ha la stessa dignità degli altri veicoli. Se sei in bici in Francia o in Spagna, in un tratto in cui non si può superare, gli autisti rispettano questa norma e, di conseguenza, la vita di chi pedala. Qui gli automobilisti ci provano comunque, anche in curva, ti suonano anche se sei totalmente sulla destra, perché il ciclista è visto come un ostacolo in una strada che deve essere solo e soltanto dei mezzi a motore”.

Secondo te sono le città che devono cambiare, a misura delle biciclette, oppure è soprattutto la mentalità a dover mutare?

“Le città le modelliamo noi, quindi se noi facciamo scelte su di loro, cambieranno anche i nostri comportamenti. Negli ultimi mesi si parla tantissimo delle “città 30″ (limite di velocità a 30 km/h nella maggior parte delle vie, ndr), alcune esperienze come quella di Olbia, che ha percorso questa strada dallo scorso anno, dimostrano che si può fare. Ridurre il limite fa crollare i tassi di incidentalità e porta vicino allo zero quelli della mortalità. A diminuire i rischi non sono solamente le minori conseguenze in caso di impatto, ma anche i più ampi tempi di reazione per chi guida. Sulla carreggiata inoltre puoi creare delle chicane, soluzioni urbanistiche che favoriscono il rallentamento, com’è stato fatto in Olanda. Come ha detto Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, bisogna “rendere la città un inferno per gli automobilisti”. Noi viviamo in una società autocentrica costruita per le automobili. Tuttavia in una società dove più gente si muove in bici, anche coloro che proprio non possono fare a meno dell’auto sono agevolati perché lo spazio occupato dai singoli mezzi sarà minore e si ridurranno gli ingorghi. La riduzione della velocità dovuta a queste norme praticamente non esiste: a causa di incroci, semafori, rotonde e ingorghi, la media oraria che un’auto mantiene in città non supera i 25 km/h. Se a questo aggiungi il tempo richiesto per cercare parcheggio, diventa chiaro che la bici su distanze ridotte è più veloce dell’automobile”.

Per fare l’avvocato del diavolo: non temi che privilegiare le ciclabili e le bici sia svantaggioso per chi poi può permettersi solo l’automobile?

“Quello è un altro problema. Se ci fossero i mezzi pubblici che garantiscono trasporti veloci, sicuri ed economici a chi vive in periferia, molte meno persone sceglierebbero l’automobile. In Danimarca per esempio tutto è pensato in chiave di intermodalità. Quindi le persone prendono la bicicletta, la caricano sul treno, poi scendono dal treno e fanno il secondo tratto in bicicletta. Sono i cosiddetti nodi simmetrici per i trasporti, che permettono di passare da uno all’altro, in un’unica rete. Un sistema che funziona bene in Nord Europa, da noi non ancora. Per esempio, se mi sposto da Torino alla Liguria, non ho neppure la certezza di salire sul primo treno utile con servizio bici, perché gli spazi sono limitati. Inoltre c’è la consuetudine di far pagare il biglietto anche per la bici, quando sarebbero utili sconti o incentivi. Una politica che sventola ai quattro venti l’idea della decarbonizzazione e di una mobilità “green” dovrebbe rifletterci.

Nuovi progetti in corso?

“Quest’estate viaggerò dal Monte Bianco fino ad arrivare al Mediterraneo, ripercorrendo i colli del Tour de France con una trentina di salite e cinque colli sopra i 2000 metri; poi c’è Alpi Bike, dove domani pomeriggio parlerò dei miei viaggi al Forte di Fenestrelle; un talk in cui racconto la mia passione per la salita: da dove nasce e come la pratico”.

Quali sono le scelte da giornalista per raccontare un itinerario in bici?

“Una cosa che facciamo di solito in coppia con il fotografo è raccontare un territorio partendo dagli itinerari, perché la velocità della bicicletta ti permette di cogliere cose che in automobile o a piedi non sarebbero altrettanto visibili. In un paio di giorni riusciamo a cogliere molti spunti interessanti. Quando visiti un territorio stai attento alla gastronomia, alle tradizioni locali, e fai un racconto cicloturistico che, appunto, è pervaso da questo ritmo lento. Il periodico è bimestrale e il taglio che cerco di dare non è legato alla stretta attualità, ma fruibile a lungo come bussola della zona trattata. Come dicevo, poi, io sono attratto come una calamita dalle salite. Quest’anno, ad esempio, ho cominciato facendo questa salita di 48 km di lunghezza dal mare a 1900 metri a Gran Canaria, il Pico de las Nieves. La scorsa settimana ero al Passo Spluga e nella stessa giornata ho fatto sia il versante italiano che quello svizzero. Per me il bello del ciclismo è legato a una strada che sale e che poi scende; io preferisco la salita alla discesa, però col passare degli anni sto apprezzando anche le discese”.

Per fare bene una salita difficile e più questione di allenamento o di preparazione?

“Vado in bici per 10.000 km l’anno facendo un dislivello di 120.000 metri, quindi una cosa che devo fare sempre, per tutto l’anno, avendone 47 di anni, è allenarmi con costanza perché basta stare fermi due o tre settimane per perdere il tono muscolare. Ovviamente la componente psicologica è importantissima, quindi devo avere un obiettivo “forte” che solitamente è il mio viaggio estivo. Quest’anno l’idea è di fare mille chilometri e 25 mila metri di dislivello in pochi giorni, quindi devo essere preparato atleticamente, ma anche psicologicamente perché, durante il viaggio, ci saranno sicuramente dei momenti di difficoltà dovuti al caldo piuttosto che alla pioggia. Nel 2006 sul Col du Galibier ho trovato 9° C all’indomani di una giornata da 30° C. Bisogna mettere in conto di fronteggiare situazioni meteo anche avverse, si tratta di situazioni che devi superare comunque visto che la tua meta è dall’altra parte del colle. Una bella avventura che si prepara fisicamente anche con l’alimentazione: negli ultimi anni ho perso 13 kg, e quando il peso che devi portare – oltre a quello della bici e del bagaglio – è anche il tuo, fa davvero la differenza”.

Ultima domanda un po’ filosofica: qualcosa che la bicicletta ti ha insegnato e che vuoi assolutamente trasmettere…

“Mi ha insegnato l’importanza dell’acqua, quanto è importante trovare una fontana nel momento giusto. Sembra una cosa banale, ma ne ho compreso la centralità, perciò scrivo molti articoli sulla carenza idrica e il cambiamento climatico. La bicicletta è uno strumento di conoscenza di se stessi che secondo me supera qualsiasi altro sport. Stando in sella per 7/8 ore da solo ti raccogli nei tuoi pensieri, pensi al percorso che devi fare, pensi alle persone e a ciò che è importante nella vita. Molte delle idee che mi vengono per gli articoli e i libri che scrivo scaturiscono proprio quando sono in sella, posso dire, senza timore di esagerare, che quello è uno dei momenti di massima spiritualità della mia vita. Specialmente quando faccio una salita, il mio corpo entra in totale contatto con la mia mente. È un ascoltarsi ed è anche un superare i propri limiti fisici. Io adesso faccio cose che per il me di 5/6 anni fa erano impensabili,ma non è una mentalità da agonista, non cerco mai un confronto con gli altri, piuttosto un modo per migliorare quello che faccio. Non è neanche una questione di tempi, è proprio riuscire a fare un percorso andando da A a B e arrivarci con ancora una buona dose di energia, non stravolto dalla fatica. Ecco quella è per me la gioia di fare ciclismo: la cosa più divertente che io conosca”.

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