Inchiesta: i 40 anni dalla scomparsa di Mirella Gregori

Sono passati 40 anni e un mese, per essere precisi, da quel 7 maggio 1983, quando la quindicenne romana Mirella Gregori disse alla madre che sarebbe uscita di casa per incontrare un amico. Da quel momento, però, non si è più saputo niente della ragazza. La sua scomparsa è stata legata spesso al caso di un’altra quindicenne, Emanuela Orlandi, cittadina vaticana a cui toccherà la stessa sorte poco più di quaranta giorni dopo. Che il destino delle due ragazze sia intrecciato tra loro? Cosa ne è stato di Mirella? Quali sono state le piste seguite dagli inquirenti? La sorella Antonietta cerca ancora la verità. E noi proviamo a fornirvi una panoramica per comprendere meglio il caso.

7 maggio 1983

Mirella Gregori nasce a Roma il 7 ottobre del 1967. I suoi genitori sono titolari di un bar in via Volturno, mentre lei vive in via Nomentana. Frequenta l’istituto tecnico Amerigo Vespucci in via Montebello ed è molto amica di Sonia De Vito, più grande di lei: i suoi hanno un altro bar proprio sulla Nomentana a pochi passi dal cancello di casa di Mirella.

Il 7 maggio 1983 Mirella torna da scuola intorno alle 14 e in casa l’aspetta la madre, Maria Vittoria Arzenton. Improvvisamente lo squillo del citofono. Maria Vittoria pensa che sia Paolo, il marito, che torna dal bar, adesso gestito dalla sorella Antonietta e dal fidanzato Filippo Mercurio, il quale vive insieme a loro.

L’orologio segna qualche minuto prima delle 15.00. A rispondere è Mirella. La madre le sente subito dire queste parole: «Chi è? Non ho capito chi parla». E subito dopo: «Se non mi dici chi sei, attacco subito eh!». Infine, in una sorta di agnizione, Mirella esclama: «Ah, sì Alessandro, ho capito». Poi l’appuntamento: «Va bene, ci vediamo tra qualche minuto alla scalinata del bersagliere a Porta Pia».

La conversazione si chiude lì. A quel punto, Mirella va dritta dalla madre e le dice: «Mamma era Alessandro, te lo ricordi il mio compagno di scuola delle medie? Mi ha chiesto se possiamo vederci per fare due chiacchiere. Scendo e tra poco torno».

La ragazza si mette una maglietta, si pettina ma non prende né borsa né giacca. È l’ultima volta che la sua famiglia la vedrà.

Una foto che ritrae la quindicenne Mirella Gregori

L’appuntamento al monumento del Bersagliere

A quanto ci dicono le ricostruzioni e le testimonianze, Mirella quando esce di casa non si dirige immediatamente al monumento del Bersagliere. Prima trascorre circa un quarto d’ora con la sua amica Sonia, nel bagno del bar dei genitori della ragazza. Sonia dirà ai magistrati e alla sorella di Mirella, Antonietta, che l’amica aveva sì un appuntamento a Porta Pia, ma dopo sarebbe andata a villa Torlonia a suonare la chitarra con degli amici. Antonietta, che all’epoca aveva diciassette anni, non le crede, visto che Mirella non aveva mai suonato la chitarra prima di allora. Sonia le ribadisce: «Che vuoi che ti dica, mi ha detto proprio così».

Ma questa non è l’unica nota stonata della vicenda. Cinque mesi dopo, in un’intercettazione ambientale del Sisde, Sonia, parlando con un’amica, commessa di un negozio vicino, ammette di conoscere l’identità dell’uomo che avrebbe convinto Mirella a seguirlo, visto che, come vedremo in seguito in modo più approfondito, Alessandro non ha mai incontrato Mirella.

Nell’intercettazione si possono sentire chiaramente le seguenti frasi: «Certo… lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo… quindi poteva fare quello che voleva…
Come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme…».

Ma nessuno ha mai indagato più a fondo.

Torniamo a quel giorno del 7 maggio 1983. Trascorrono le ore e Mirella non rientra a casa. Maria Vittoria, allora, dopo aver ritrovato il numero, chiama Alessandro, che però non è in casa, come le viene detto dalla madre. È da un amico, il quale confermerà in seguito la sua presenza. Alle otto e mezzo di sera, Maria Vittoria, Antonietta e Filippo si dirigono al commissariato di via dei Villini, vicino casa loro, per denunciare la scomparsa di Mirella. Le forze dell’ordine le risponderanno come si dirà in seguito agli Orlandi: la quindicenne si è allontanata volontariamente e tornerà nell’arco di ventiquattro ore.

Tuttavia, Maria Vittoria fa la denuncia e scrive agli atti un dettaglio importante: l’abbigliamento di Mirella quel giorno. Al momento della scomparsa la ragazza indossava “un maglione a pipistrello di color acquamarina grigio e pantaloni bianchi di velluto”.

Alessandro

Nel frattempo Alessandro torna a casa e richiama Vittoria. Le dice che non vede Mirella da tanto tempo. Quel pomeriggio era a casa di amici a poche centinaia di metri da villa Torlonia e da Porta Pia, ma non ha visto l’amica. Alessandro, secondo quanto ricorda la madre di Mirella, le dice che non vede la figlia da due anni, ovvero da quando hanno finito le scuole medie. A quel punto Antonietta Gregori e il fidanzato vanno a villa Torlonia per seguire la traccia. La trovano chiusa. Passa una volante della polizia che chiama il custode. A mezzanotte comincia una perlustrazione di fortuna con le torce degli agenti. Mirella non si trova. Ma quella rimarrà anche l’unica ricerca della ragazza nella zona nei giorni immediatamente successivi.

La tratta delle bianche

Sui giornali la storia della scomparsa di Mirella Gregori arriva l’11 maggio. Ai primi di giugno sui quotidiani si comincia a parlare della tratta delle bianche. Ovvero delle sparizioni di minorenni in Italia, Francia, Spagna e Germania portate poi in centri di smistamento e spedite nei paesi arabi, per prostituzione o tratte di organi. Circola una voce a Roma di una certa boutique che ha un camerino definito “il camerino della morte”. Sembra che le ragazze che vanno a provarsi i vestiti in quel luogo vengano narcotizzate e poi spariscono. Tuttavia la Criminalpol nega l’esistenza del fenomeno.

Intanto i carabinieri cominciano le indagini e interrogano Sonia De Vito che conferma la sua versione. Nel frattempo, dicono i Gregori, dal giorno della scomparsa di Mirella i rapporti con la famiglia De Vito si sono rarefatti fino alla conclusione.

Il 22 giugno del 1983 scompare Emanuela Orlandi, cittadina vaticana. Ma anche qui, a parte un paio di articoli di giornale con relativa foto e i manifesti appesi dalla famiglia per Roma, la storia arriva in prima pagina quando Papa Wojtyla, il 3 luglio, dal balcone di piazza San Pietro, esprime «la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela, di 15 anni […] non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso». È da allora che nasce l’ipotesi del rapimento.

Articoli di giornale dopo la scomparsa di Mirella ed Emanuela Orlandi

Il rapimento e l’intrigo internazionale

Il 1° agosto, Panorama pubblica una foto di Mirella Gregori con Papa Wojtyla durante un’udienza con la scuola. Il collegamento con Emanuela Orlandi si fa lampante e i giornali ipotizzano che dietro le due scomparse ci sia un legame. Da quel momento anche per Mirella Gregori comincia il balletto dei comunicati. La ragazza viene citata a più riprese. Il Pontefice la accomuna in un appello con Emanuela Orlandi e Alì Agça. Sembra infatti che il Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh, abbia rapito entrambe le ragazze e chiede l’intercessione di Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, per liberare Alì Agça in cambio di Mirella.

Arriva anche una telefonata al bar di via Volturno “Coppa d’Oro”. L’interlocutore dà istruzioni a Filippo e Antonietta, come se li stesse guardando dalla strada o da un’abitazione lì davanti. Nonostante di tutto questo venga regolarmente informata la polizia, il telefono del bar dei Gregori non viene messo sotto controllo. Per i comunicati e le telefonate dell’Americano riguardo Mirella Gregori vale quello che vale per Emanuela Orlandi: nessuno riesce a fornire una prova certa di aver davvero conosciuto la ragazza e di essere in contatto con lei. Poi all’improvviso i destini delle due ragazze si dividono.

Mirella Gregori in una foto insieme a Papa Giovanni Paolo II

La telefonata del 24 settembre

Quel giorno, in casa Gregori, suona il telefono. A rispondere va Paolo Gregori, ma siccome non riesce a sentire passa l’apparecchio a Filippo. L’uomo dall’altra parte del filo gli dice di prendere carta e penna. Poi gli detta queste parole: “Maglieria Antonia, jeans Redin con cintura, maglietta intima di lana, scarpe con il tacco di colore nero lucido marca Saroyan di Roma”. Gli ordina di non divulgare il messaggio ma di farlo leggere ad Antonietta: lei capirà. Si tratta dei vestiti che indossava Mirella il giorno della scomparsa. I dettagli sono tutti esatti tranne uno: la maglietta, che non poteva essere di lana visto che faceva caldo. Era di cotone, secondo la sorella. Il resto è esatto nel dettaglio.

A quel punto, i genitori chiedono l’appello a Pertini. Nel frattempo arrivano altri comunicati: dicono che Mirella sta per partire per la Tunisia o per l’Algeria. In uno di questi si sbaglia la scuola che frequenta la ragazza, ricopiando un errore presente nei primi articoli sulla vicenda.

Per questo, la telefonata non verrà considerata una pista da seguire.

L’annuncio della morte di Mirella

Il 27 ottobre, l’Americano compare un’altra volta e annuncia la morte della quindicenne all’avvocato di famiglia, Egidio: «Mirella Gregori… non abbiamo più nulla. Prepara i genitori a questo. Non esiste nessuna possibilità». Poi promette che restituirà il corpo entro Natale e di dare notizie certe su questo entro un mese.

Nel frattempo, come già vi abbiamo anticipato, succede anche qualcos’altro. Il Sisde decide di infilare qualche confidente nel bar di Sonia De Vito, che successivamente sarà anche accusata di falsa testimonianza, ma la sua posizione verrà archiviata. Un rapporto al servizio segreto racconta una conversazione tra la figlia del gestore del locale con una coetanea: «Certo, lui ci conosceva al contrario di noi che non lo conoscevamo, quindi poteva fare quello che voleva. Come ha preso Mirella poteva prendere anche me visto che andavamo insieme». E aggiunge che il cameriere di bassa statura chiamato Marco, potrebbe sapere altro.

Il ruolo di Raoul Bonarelli

Il 15 dicembre del 1985 Maria Vittoria Arzenton, durante una visita del Papa alla parrocchia romana di San Giuseppe, riconosce in un uomo della gendarmeria del Vaticano che fa parte della scorta del Pontefice una persona che spesso si intratteneva con la figlia e con Sonia nel bar di quest’ultima all’ora dell’aperitivo. Arzenton dice anche che si era fermata a guardare male quella persona e per questo ricordava bene il suo viso. Il suo nome è Raoul Bonarelli.

Ciò nonostante la magistratura decide di far passare ben sette anni prima di mettere Raoul Bonarelli a confronto con Arzenton. Prima mette sotto controllo il telefono del gendarme. Bonarelli abita in via Alessandria, ovvero proprio da quelle parti. Il giorno prima dell’audizione, riceve una telefonata dal suo superiore. Che gli dice: «Che sai di Orlandi? Niente. Che ne sappiamo noi? Non dirlo che è andata alla Segreteria di Stato».

Nel giorno del confronto, la madre di Mirella prima riconosce di nuovo Bonarelli nei filmati della visita di Wojtyla alla parrocchia. Poi, quando la fanno entrare nella stanza dove Adele Rando sta interrogando l’uomo, lei invece dice che non è lui la persona che ricordava. All’epoca, ricorda oggi Antonietta, la madre era già gravemente malata. Se non ha detto la verità, forse lo ha fatto per tutelare lei e la sua famiglia. In ogni caso la posizione di Bonarelli viene archiviata nel 2009. E il gendarme viene anche insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica italiana.

I manifesti della scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi

L’anonimo del 2005 e il collegamento con Emanuela Orlandi

L’11 luglio 2005 alla redazione del programma Chi l’ha visto? arrivò una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il caso di Emanuela Orlandi era necessario andare a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare e controllare «del favore che Renatino fece al cardinal Poletti». Renatino si rivelò poi essere Enrico De Pedis, uno dei boss della Banda della Magliana. Il 20 febbraio 2006, un pentito della Banda, Antonio Mancini, sostenne, in un’intervista al giornalista Fiore De Rienzo di Chi l’ha visto? — dopo aver ascoltato l’audio registrato della telefonata che arrivò alla famiglia Orlandi — di aver riconosciuto nella voce di “Mario” quella di un sicario al servizio di De Pedis, tale Rufetto; le indagini condotte dalla Procura della Repubblica tuttavia, non confermarono quanto dichiarato da Mancini.

Il 30 giugno 2008 il programma trasmise poi la versione integrale della telefonata anonima del 2005, lasciata inedita fino ad allora. Dopo le rivelazioni sulla tomba di De Pedis e del cardinal Poletti, la voce aggiungeva: «E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei…con l’altra Emanuela». Il bar si rivelò appartenere alla famiglia di quella Sonia De Vito, amica di Mirella, che inizialmente fu accusata di falsa testimonianza e reticenza.

Le archiviazioni

La prima inchiesta sul rapimento delle due ragazze venne archiviata poichè secondo i giudici si era trattato di un depistaggio. Nessuno dei singoli e dei gruppi che avevano inviato messaggi a familiari, giornali e Vaticano, ha mai dato la prova di avere con sé le due ragazze vive, anche se il messaggio che racconta il vestiario di Mirella, così come alcuni altri di Emanuela, sono considerati la prova per lo meno di un contatto tra chi ha agito e chi ha depistato. Anche l’ultima inchiesta del 2015 è stata archiviata dopo l’apertura del 2006, in seguito alle dichiarazioni di Sabrina Minardi, ex amante di Renato De Pedis.

Ritratto del fotografo Marco Accetti

Le parole di Marco Accetti

Nelle sue testimonianze sul caso Orlandi, il fotografo Marco Accetti ha dichiarato che Mirella Gregori era stata allontanata senza violenza esattamente come la cittadina vaticana. E anche che Arzenton avrebbe rivisto la figlia dopo un appuntamento in una villa a Roma. La circostanza avrebbe convinto la donna a non insistere con le accuse a Bonarelli. La ricostruzione però non coincide con le date e viene smentita da Antonietta. Sempre Arzenton ha raccontato all’avvocato che un giorno Mirella le disse di non preoccuparsi di non avere i soldi per acquistare l’appartamento in cui vivevano: «Ci penso io». La madre le aveva chiesto all’epoca se stesse delirando e la ragazzina aveva fatto cadere il discorso.

Strane perquisizioni

Ercole Orlandi, padre di Emanuela, in una testimonianza messa agli atti nel 1993 ha raccontato: «Colloquiando con la signora Gregori ebbi modo di sapere che dopo la scomparsa di Mirella, ma prima della scomparsa di Emanuela, si erano presentate a casa della signora Gregori alcune persone di giovane età che si erano qualificate come appartenenti alla polizia esibendo tesserini che peraltro la signora non era riuscita a decifrare sia per lo stato d’animo sia per l’ansia del momento. Queste persone qualificatesi come poliziotti hanno cercato a lungo nella stanza di Mirella come se si fosse trattato di una vera perquisizione. Nel congedarsi peraltro raccomandavano alla signora Gregori di non rivelare la loro identità suggerendole di rispondere a chiunque chiedesse che si trattava di parenti o di amici».

Come per il caso Orlandi, anche con Mirella ci sono stati molti buchi nelle indagini. La sorella Antonietta continua a mandare appelli per far parlare chi sappia qualcosa. Quello che è certo che la vita di un’altra quindicenne, la vita di un’intera famiglia, si è rovinata quarant’anni fa e il lutto per ciò che era prima permane al giorno d’oggi.

Che ne è stato di Mirella? Chi ha incontrato quel giorno? Mirella ed Emanuela hanno fatto la stessa fine? Sono domande che ci poniamo e a cui, purtroppo, non abbiamo ancora risposta.

2 commenti su “Inchiesta: i 40 anni dalla scomparsa di Mirella Gregori”

Rispondi