La satira di uno dei vignettisti del Fatto racconta il suo mondo di ritratto denso di storia e arte
Ritrattista, disegnatore, satirico, precursore di quel graphic journalism tanto di moda ora, ma che già 40 e più anni fa, Riccardo Mannelli produceva per dar vita ad un’informazione alternativa e di attenzione mediante l’immediatezza dell’immagine. Protagonista delle maggiori testate satiriche europee (Il Male, L’Echo des Savanes, Humour, Cuore, Satyricon, boxer), torna a spernacchiare l’universo politico e non solo dopo 15 anni di altro. Oggi è una delle più fini e attente matite del Fatto Quotidiano e Repubblica, porta avanti anche un personalissimo percorso di ricerca pittorica documentata con diverse mostre in giro per il mondo. Noi di Q-Cultura lo siamo andati a disturbare nel suo rifugio romano.

Riccardo grazie, innanzitutto, per averci concesso questa intervista.
Ma figurati!
Lei è uno dei più autorevoli vignettisti satiri italiani e negli anni ha realizzato lavori non solo sul nostro territorio, ma anche in giro per il mondo. Vorrei partire domandandole, in tal direzione, se vi siano differenze tra la satira prodotta nel nostro paese e quella nei paesi in cui lei si è trovato a lavorare.
Le differenze seppur presenti, devo dirti che sono relative. Il modo di operare è pressoché lo stesso, poi la veste che va ad assumere la satira dipende molto dalle tradizioni locali dei vari posti, dagli usi, dai costumi. In carriera, ho avuto a che fare soprattutto con Francia e Spagna; in parte, ma parliamo di molti anni fa, Germania e America. Conosco poco, dal punto di vista pratico, seppure ne conosco tradizionalmente la ricchezza, della satira del Medio Oriente, della Turchia, o dell’Europa dell’Est. Ho avuta poca frequentazione in questi paesi. Devo dirti, però, che più che rispetto ai luoghi, credo che la variazione maggiore sia rispetto al tempo, agli anni. Con la Spagna, ad esempio, negli Anni ‘70/’80, abbiamo avuto un po’ di annusamenti reciproci e questo perché parliamo di periodi molto più contaminanti e contaminati. Ci si conosceva fra i diversi artisti, vi era una maggiore frequentazione. Se volessimo analizzare il concetto generale di satira, dovremmo più andare a parlare del singolo. Secondo me è molto più importante il singolo, rispetto al contesto nel quale si esprime.

Ma questo cambiamento di epoca cui allude, è un cambiamento che si è riflesso alche sul suo modo di lavorare?
No, io ho continuato a fare quello che ho sempre sentito necessario fare: ossia cambiare costantemente. Sembra un discorso contradditorio, ma non lo è. Sai in 45/50 anni di attività, se non si cambia, se non ci si rinnova, ci si reinventa, è un problema. Poi per uno come me, diviene un problema enorme. Io sono uno che soffre terribilmente di noia, sono uno che se non cambio da giorno in giorno, è finita. Certe cose, negli anni, le ho lasciate da parte per dedicarmi ad altro, poi magari le ho riprese, per poi rilasciarle. Ecco, io avverto assolutamente questa esigenza di volermi/dovermi rinnovare. Capisco che detto così possa apparire semplicistico, le cose, in realtà, sono molto più sfumate e molto più articolate. Fatto è che, allungandosi l’anagrafe, si ha la possibilità di muoversi più liberamente tra le proprie espressioni artistiche. Ad esempio, oggi sono tornato alla satira nonostante avessi mollato da circa una quindicina d’anni.

E infatti una delle sue molte vesti è anche il reportage illustrato. Vorrei domandarle come è arrivato al concepire il racconto attraverso l’arte figurativa, quello che oggi viene definito graphic journalism.
Il discorso è sempre lo stesso: la curiosità di fondo. Le cose nascevano quasi improvvisando. Improvvisandoci. C’era l’esigenza di andare a vedere cose in un mondo molto meno comunicato. Poi c’è da dire che io ho sempre sostenuto, anzi, meglio dire ho sempre sperimentato, che ho bisogno di annusare le cose, toccarle, viverle, per poter lavorare. Prima si annusava molto di più, oggi si annusa di meno. Prima per capire cosa accadesse da una parte, bisognava solo andarci, non vi erano altre strade; oggi si vive a più a distanza e si è inevitabilmente perso l’odore del posto. Puoi vivere attraverso i media, ma le televisioni non ti rendono gli odori di cui parlo, che per me sono essenziali. A questo va aggiunto il partecipare alla vita quotidiana delle persone che racconti e rappresenti, e che ti permette di rendere tutto più veritiero. Prima poteva capitare che partivamo per qualche posto di cui c’eravamo fatti un’idea, e poi una volta sul territorio, scoprivi che quell’idea era completamente sbagliata. E questo ti permetteva di non cadere nel tranello dei pregiudizi e luoghi comuni. Quando vai sul campo, ti metti in gioco, non ci vai prevenuto, altrimenti non combini nulla, non racconti nulla di vero, ma fai propaganda. Io non faccio il giornalista, non lo sono, non sono iscritto all’albo, i miei racconti illustrati non posso essere copia di un discorso giornalistico, che senso avrebbe fare un qualcosa che qualcun altro già fa? Tanto meglio che me ne sto a casa, così mi salvo pure il beeeeeep…. (ride). Scherzi a parte, è una cosa che non avrebbe senso, io son sempre andato come alternativo ad una certa informazione. Se in parte è vero che ho aperto la strada al graphic journalism, parliamo di quaranta anni fa, l’ho fatto proprio con tale idea: andare alternativo al giornalismo stesso.
Faccio un passo indietro e torno alla satira. Secondo lei la satira cammina più a braccetto con la risata o con la riflessione?
Con tutte e due, naturalmente. Ma adesso ti voglio dire una cosa. Orami ho un’età in cui dovrei esser libero di fare non i caxx… miei, ma il caxxiss… miei (ride), capsici… Non ha più senso cercare una spiegazione, piuttosto che un’altra, alla satira. La satira è quel che è. Punto e basta. Se uno si mettesse a definire l’arte, il cinema, non ne uscirebbe mai. Cercare una definizione è una stupidaggine, è ignoranza, è una cattiva educazione, è un modo di risentirsi per partito preso. Siamo in uno Stato che ti schiera per forza con una o con l’altra banda, che sia essa di Governo o di un altro campo; deve per forza esserci una certa contrapposizione e allora, la satira, viene usata da questa o quella banda a uso e costume proprio, e tu, volente o nolente, diventi parte di questa o quella banda. Ecco, io invece non voglio stare con nessuno, la satira non sta con nessuno, non guarda a nessuno, deve essere libera. Torno anche al discorso di risata e riflessione. Le due cose possono camminare assieme, ma non ha senso definirlo. Io ad esempio, non ho mai cercato di far ridere, la risata è una cosa personale, personalissima, la satira non c’entra con il comico, sono due strade completamente diverse. Se poi, una vignetta che disegno fa ridere, ben venga, ma non era la strada che si prefiggeva in partenza. La mia intenzione non è quella di far ridere o lavorare sulla battuta, la battuta può venire o può non venire, non me ne importa niente, per me è una questione di ritmo. Io parto sempre dalla mia capacità di raffigurazione, perché dovrei pormi la domanda se faccia o meno ridere quel che sto disegnando, cosa cambierebbe? Per me davvero non ha alcuna importanza. Forse anche perché non sopporto gli assolutismi. Vale anche nel discorso inverso. Mi spiego: chi vede una vignetta e dice non fa ridere, credo sia uno stupido. Può dire: a me non fa ridere, e allora ci sto. La risata è una cosa intima, come ti dicevo, come si può pretendere che tutti provino la stessa identica emozione dinanzi ad una qualsiasi forma artistica, satira inclusa?

Mi son sempre domandato se voi vignettisti satirici vi domandiate mai se stiate superando il limite o se proprio il gioco sul limite è il passo permissivo della satira.
Che vuoi che ti dica! Io mi son sempre fidato delle persone e di riflesso degli artisti. Non credo si possa generalizzare il presente discorso. Io sono interessato dalla forma di comunicazione: ci sono artisti che possono permettersi di andare a dire, raccontare, esprimersi nel loro modo, anche varcando certi ipotetici limiti, ed altri che invece non possono farlo, proprio per il loro modo di essere. Non generalizzerei il discorso, ma lo renderei più legato al singolo. Per quel che mi riguarda io ho la presunzione di poter essere libero di esprimermi come credo. E credo anche che sia fondamentale avere questa presunzione, perché in tale modo rispetti anche la tua esigenza di libertà. L’essenziale è stupirsi, solo se ti stupisci puoi fare anche delle cose che magari neppure condividi, ma questo è il divertimento vero.
Ipotizziamo che lei possa tornare indietro: c’è qualcosa che ha fatto e non farebbe, o qualcosa che in certi momenti, farebbe in maniera ancora più spinta?
Tornare indietro?!?! Per carità!! Dio, solo l’idea di tornare indietro mi agghiaccia. (ride)… No, no, no. Non supponiamolo nemmeno, per carità! Sono arrivato fin qui, che caxx vuoi….? Farmi tornare indietro? Noooo… Mi son sempre divertito lavorando, mi son messo in una condizione, anche da ragazzo, di vivere in estrema libertà. Conquistare questa libertà è il divertimento, parlo di una libertà esistenziale, sia chiaro. Libero e credile con me stesso e con gli altri che mi circondano da vicino, figli, moglie… che poi è la tua vita davvero profonda; e ho avuto la fortuna e la bravura di permettermi questa libertà, perché non ho cercato i soldi. Bada bene, non c’entra nulla l’idea di vivere certi francescanesimi vari, non è una cosa ideologica, è una cosa pratica. Son cresciuto con la convinzione che noi siamo qui, in questo mondo, senza che alcun chi ci avesse detto che stavamo per arrivare. Entri in un mondo che devi cercare di capire subito e da solo, capire il nodo attorno cui gira tutto e ben presto scopri che questo nodo sono i soldi. Ora, fermiamoci un secondo: avuta questa informazione, se riesci a non fare dei soldi il tuo centro, se decidi che si può vivere vicino allo zero, allora ben presto scopri che anche con 0,2 vai benissimo! Come dicevo un paio di righe fa, non parliamo di concetto, io sto parlando di pratica. Se tu riesci a vivere senza il ricatto dei soldi, sei senza dubbio libero. Non sto dicendo che bisogna fregarsene, sto rivendicando il fatto che posso star bene anche senza alcune cose. Non credere che sia uno bravo, anzi in questa vita sono un casinaro, sono, come diceva Wilde, uno che può resistere a tutto, fuorché alle tentazioni, ma ciò non toglie che esiste porsi un limite. Siamo in un mondo di vasi comunicanti, qui dove qualcuno ha troppo, qualcuno ha poco, troppo poco. Allora, ecco, mi taro ad un punto di vita tranquillo.
Deraglio verso un suo collega. Che idea si è fatto sul caso, chiamiamolo così, Natangelo-Lollobrigida e ci riferiamo alla vignetta che ritrae la sorella della Meloni, a letto, in compagnia di un ragazzo di colore.
Torno al discorso di prima. Ormai, non si entra più nel merito della singola vignetta, del lavoro o dell’autore, dell’arte. Si entra nel merito delle bande. Una banda di qua, una banda di là. Diventa una cosa politica. Ecco, quando è scoppiato il casino cui accenni tu, ho mandato un messaggio a Mario con scritto “Benvenuto fra i rognosi”. Per me è quasi quotidianità, quello che è successo a lui. Sono contento che gli sia accaduto, perché il ragazzo è molto giovane, ci conoscemmo appena arrivai al Fatto, e subito gli dissi che apprezzavo molto il suo lavoro. Lui era giovane, timidissimo, riservato, però si capiva subito che era uno spernacchiatore, uno di quelli cui accennavo prima, capaci di dire, penna fine, persona libera, prima ancora di essere un artista libero, e questo è fondamentale, altrimenti se fai finta di fare arte libera, ma non lo sei, libero, finisci per essere smutandato subito. Lui è uno che fa marameo a certe forme, a certi contesti, ed oggi, tra i giovani è molto raro trovare un artista così. Noi siamo figli di una generazione che aveva nelle corde questo modus operandi, oggi è un po’ diverso, eppure lui, sembra rincarnare esattamente il nostro modo di essere dei primissimi anni.

Girovagando sul suo sito, una cosa che mi ha molto incuriosito è quando parla dell’errore. Definisce la ricerca artistica come una continua ricerca dell’errore. Potrebbe ampliare un po’ il discorso?
Iniziamo con il dire che l’arte è fondamentale nella nostra esistenza. Serve questa consapevolezza come punto di partenza del discorso. La creatività è fondamentale. Persino gli animali, alla parte ludica, dedicano grandissima parte della loro giornata, perché quella ricerca è proprio uno dei cardini della vita. Consapevole di ciò, dicevo, la ricerca artistica è quella cosa che ti spinge oltre, che non ti fa essere guardingo, perché se sei guardingo nel creare, cosa vuoi mai che possa uscir fuori? Se non ti scrolli di dosso la paura di sbagliare, non potrai mai arrivare a creare qualcosa di oltre, quello cui tu potevi immaginare, e naturalmente spingersi oltre può portarti all’errore, ecco il discorso della ricerca cui spiegavo sul sito. Senza la ricerca di quell’errore non ci sarebbero Cappelle Sistine, non ci sarebbero Raffaelli, non ci sarebbero Michelangeli, non ci sarebbe nessuno. Lo sbaglio è vita, l’errore è vita, è contaminazione. Per fortuna si sbaglia, si creano errori… Di qui, intendo come, anche per il mio lavoro, la ricerca di un qualcosa oltre, sia in parte la ricerca di quell’errore che all’oltre mi conduce.
Prima di salutarla e ringraziarla per questa piacevole chiacchierata, vorrei domandarle: con il cambiamento di rotta governativa sembra aumentare, seppure non in maniera palesemente manifesta, una sorta di censura preventiva. E’ concorde con tale riflessione?
Credo che il problema fondamentale di questa coalizione governativa, sia la loro totale inadeguatezza e ignoranza. E l’ignoranza non aiuta a cogliere il senso di molte cose, satira inclusa. Devo, a ragion di cose dire, che non riguarda solo questo ultimo governo, ma anche tutta la buona sinistra. Abbiamo vissuto gli ultimi 20/25 anni con una classe dirigente più che mediocre, quindi, il discorso potrebbe ben essere allargato. Certo è che, è rintracciabile una differenza con la sinistra di allora: oggi questo governo rende tutto orizzontale, mette tutto sullo stesso piano, si perde persino il senso del tempo, sembra tutto contemporaneo, figlio di un riempirsi la bocca di stupidità e inesattezze. E questo, a mio giudizio, non farà altro che portare noi, intendo noi come Stato, ad essere considerati i Bagnini dell’Occidente, sistemeremo gli ombrelloni sulle spiagge di chi comanda, così non rischiano di scottarsi. La sola cosa che posso immaginare, è che la satira avrà, ancora per molto, materiale su cui lavorare.