Dal Metaverso all’Intelligenza Artificiale, dal corpo alla spiritualità, fino alla crisi climatica, la Fantascienza ha ancora molto da dire: parola a un vero maestro contemporaneo del genere.
Abbiamo qui con noi oggi Paul Di Filippo, classe 1954, uno dei nomi più importanti, incisivi, eclettici ed originali della Fantascienza contemporanea. Cimentatosi nei sottogeneri più disparati, dal Cyberpunk allo Steampunk, e ideatore del Ribofunk, è prolifico autore di romanzi e racconti avvincenti sulle più eterogenee tematiche, che vanno da Kid Charlemagne (1987) a Lennon Spex (1992), da The Double Felix (1994) a The Steampunk Trilogy (1995), da A Year in the Linear City (2002) a Babylon Sisters and Other Posthumans (2002), da Fuzzy Dice (2003) a Cosmocopia (2008) e Roadside Bodhisattva (2010).
Candidato a premi prestigiosi quali Hugo e Nebula è vincitore, tra gli altri, di un BSFA Award e di un World Fantasy Award. Ha talvolta lavorato a quattro mani, con altri scrittori come Michael Bishop e Rudy Rucker, ed è inoltre autore di fumetti e dedito all’attività di saggista e critico letterario per diverse autorevoli riviste di settore del calibro di Asimov’s Science Fiction, Science Fiction Weekly. The Magazine of Fantasy and Science Fiction, Interzone e Nova Express.

Grazie Paul di aver accettato il nostro invito! La Science Fiction o Speculative Fiction crea mondi meravigliosi attinenti le più eterogenee dimensioni, da quella naturale a quella prettamente umana; ma, innanzitutto, espande la nostra realtà dispensando su di essa nuove prospettive attraverso un’immaginazione tanto mirabolante quanto sottesa da logiche ponderate. Cosa può raccontarci la Fantascienza del mondo contemporaneo, esortandoci e stimolandoci a riflettere? Essa è ancora in grado di anticiparne gli sviluppi?
E’ un piacere! Alcuni anni fa sul suo blog, il meraviglioso e sommamente affermato scrittore Charles Stross annunciò che si stava preparando ad abbandonare la stesura di un romanzo sul prossimo futuro perché le particolari tendenze e tematiche su cui si era focalizzato nel volume stavano mutando troppo repentinamente. Una volta terminato e pubblicato, il suo romanzo probabilmente sarebbe stato superato dagli eventi reali. Naturalmente, in una certa misura, è sempre stato così. Il romanzo Russian spring di Norman Spinrad ha avuto la sfortuna di fare la sua apparizione proprio mentre l’URSS crollava. A un minor livello, Isaac Asimov ha pubblicato una storia ove rivelava che il Monte Everest non sarebbe mai stato sormontato poiché gli alieni avevano stabilito una base sulla sua sommità. La storia è apparsa sulla stampa poco dopo che Edmund Hillary aveva raggiunto la vetta.
Ma questi esempi – e il tasso di cambiamento in perenne accelerazione durante il 21° secolo – non precludono esperimenti mentali sul prossimo futuro come quelli deliziosamente elaborati da Kim Stanley Robinson e altri. Qualche profezia fallita, infimi dettagli, non possono davvero inficiare un romanzo vivo e palpitante, pieno di ottimi personaggi e con una trama avvincente, e che cerca altresì di attingere ed estrapolare dall’attualità. Molte storie della famosa serie Future History di Robert Heinlein sono ambientate in un 20° Secolo definibile quale “Mondo del domani di ieri”, ma possiamo ancora goderci tutto della sua grande antologia: The Past Through Tomorrow.
Come ha osservato John Clute, ogni storia di Fantascienza, indipendentemente dall’epoca in cui si presume si svolga l’azione, reca fra le righe un recondito riferimento al momento storico della sua composizione. Così Forever War di Joe Haldeman riflette la realtà della guerra del Vietnam in uno specchio da luna park.
Tuttavia, fare fantascienza concernente il prossimo futuro è un arduo lavoro, se svolto correttamente. È più facile scrivere di spade laser piuttosto che immaginare cosa sarà in grado di fare ChatGPT tra cinque anni. Ma le ricompense sono multiformi, inclusa forse l’illuminazione di percorsi che NON dovremmo intraprendere, mentre c’è ancora tempo per evitarli.
E, naturalmente, la “Cli-fi” o fiction Fanta-climatica si sta dimostrando inestimabile nell’aiutarci a concettualizzare il futuro sulla nostra Verde Casa (Greeenhouse), la Terra [evidente il riferimento ad un’opera dello spesso Paul, la raccolta After the Collapse: Stories from Greenhouse Earth, 2011, N.d.R.].
Quali sono le tematiche trattate dalla Fantascienza che più la affascinano come autore e come lettore?
È quasi impossibile restringere il mio campo di interesse per individuarne uno preminente fra le tematiche pressoché infinite della Fantascienza. O, come li chiama il mio assiduo coautore Rudy Rucker, i suoi “accordi di potere”. Amo davvero ogni aspetto del genere, dalla Space Opera ai viaggi nel tempo, dagli alieni alle vicende storiche contro-fattuali, dall’Armageddon ai robot. Ho affrontato nel mio lavoro tutte queste tematiche.
Ma, certamente, sono forse meglio noto per il sottogenere del Ribofunk, ambientato in un futuro gravido di ingegneria genetica. Sospetto che questa mia fascinazione per i limiti dell’organismo somatico umano (che si riflette anche nel mio romanzo A Mouthful of Tongues) potrebbe riecheggiare con forza in molte persone. Dopotutto, siamo tutti fantasmi prigionieri di una macchina, anime intrappolate in marionette di carne, e sembra essenziale per la Fantascienza ponderare cosa comporti questa dualità mente-corpo. I buddisti definiscono i nostri corpi “veicoli”, e la possibilità di ottenere veicoli di un nuovo modello è sempre allettante, come ci ha dimostrato Detroit! [Il Salone dell’automobile di Detroit, dal 1907 N.d.R.]

Futuro e tecnologia
Cosa pensa, come autore di Fantascienza, del Metaverso e delle sue possibili implicazioni?
Allo stesso modo del mio amico Rudy Rucker, che ha anche lui il sentore che la realtà virtuale non possa competere con la realtà fisica, ho solo un interesse lieve ed effimero per i mondi digitali secondari, e non ho ambientato granché della mia narrativa in essi. Nonostante abbia adorato il romanzo (e il film) Ready Player One, che ci ha mostrato come fondere efficacemente i mondi virtuali con quanto si svolge in uno spazio concreto in carne ed ossa, penso che l’ambiente della Virtual Reality sia equiparabile allo “giocare a tennis senza rete”. Quando qualsiasi cosa (simulata) è possibile, allora nulla ha importanza e il succo tracima dal tuo racconto.
In verità suscita in me un maggior interesse la realtà aumentata, che ritengo abbia un grande potenziale. La mia storia Specter-Bombing the Beer Goggles esplora proprio questo tema.
E cosa pensa dell’Intelligenza Artificiale e dei suoi possibili esiti? Ritiene che si possa ancora ravvisarvi oggi romantiche connessioni con le creature di autori come Isaac Asimov, Eric Frank Russell, Anthony Boucher o Lester del Rey, nonché con i vari Golem, Teraphim, Homunculi alchemici e gli Automi creati dall’Imperatore cinese Wu J, da Efesto, dal Virgilio delle leggende medioevali?
L’umanità si è contraddistinta per una lunga storia di strenui sforzi atti a creare degli Altri da noi artificiali, possibilmente come compagni che potessero ovviare alla nostra solitudine esistenziale. Il catalogo dei classici racconti di robot è uno dei risultati più maestosi della Fantascienza. (E non prettamente serioso, come dimostrano scrittori quali Henry Kuttner, Robert Sheckley, Stanisław Lem, Philip Dick e Ron Goulart). Le storie più vecchie postulavano che le menti dell’Intelligenza Artificiale fossero essenzialmente umane, anche se i cervelli dei robot potevano presentare anomalie che spaziavano attraverso lo spettro dell’umano (crudeltà, egomania, ecc.). Ma penso che la differenza nella Fantascienza contemporanea consti nel fatto che stiamo assistendo ad esempi di intelligenza artificiale nella vita reale che non possono essere ricalcati sul modello umano. Sforzarsi di immaginare menti cibernetiche veramente aliene è una sfida che rimane per quegli scrittori che si cimentano oggi.

Oltre la tecnologia
Lasciando ora da parte la tecnologia, le faccio una domanda in quanto ideatore del carnale e vitalistico sottogenere del Ribofunk: Catherine L. Moore, in No Woman Born (1944), pur trattando di un Cyborg descrive in realtà il volitivo ed esuberante reinventarsi di una donna a partire dalla sua nuova condizione corporea; e la corporeità è ancora al centro di opere eterogenee che vanno, tra i molti esempi, da Scanners Live In Vain (1950), di Cordwainer Smith, a Painwise (1972) di James Tiptree Jr. (alias Alice Sheldon), da Memoirs of a Spacewoman (1962), di Naomi Mitchison, fino a The Left Hand of Darkness (1969) di Ursula K. Le Guin e Kindred (1979) di Octavia E. Butler, dimostrando come la fantascienza si riveli forse il genere migliore per raccontare l’esperienza totalizzante del corpo e la sua fondamentale fenomenologia. Essa ha ancora, secondo lei, intenzione di farlo?
Le storie in stile Ribofunk o Biopunk, così come tutte quelle appena citate, trattano un tema che è sempre stato trascurato dalla Fantascienza. Ad esempio, prendiamo Star Trek: The Original Series: centinaia di anni nel futuro, e gli umani sono ancora fisiologicamente identici a quelli del 20° secolo. Nessuna traccia di ingegneria genetica. Questo sembra decisamente improbabile. Ma credo che questo deficit si verifichi poiché le persone avvertono che avendo a che fare con protagonisti troppo alieni o diversi, il lettore contemporaneo non sarebbe in grado di identificarsi con l’eroe o l’eroina. Ci sarebbe troppa stranezza, in mezzo ad altre stravaganze fondamentali legate al luogo, alla tecnologia, ecc. Inoltre, molte persone ostentano un atteggiamento riconducibile ad una sorta di “Orrore corporeo” (Body Horror). Freaks, mutanti, mostri teratologici: costoro sono destinati ad essere ignorati con disgusto.
Essi minacciano la nostra concezione di noi stessi e le nostre sicurezze. La nostra rassicurante identificazione psicologica con il modello corporeo standard è importante per noi, probabilmente come risultato dello sviluppo evolutivo. L’idea è che gli esseri umani nati con caratteristiche diverse potrebbero spesso ritrovarsi a possedere attributi contrari alla sopravvivenza e dovrebbero pertanto essere respinti.
Ma dal momento che interpretiamo l’universo attraverso i nostri sensi e le nostre prerogative somatiche, nuove elaborazioni letterarie verso queste aree potrebbero fornirci modi alternativi di intuire la creazione, proprio come il naso di un cane dice al cane di più sulla realtà di quanto noi siamo in grado di percepire. Questo mi sembra un terreno fertile per la creazione di storie.
“Il cosiddetto Corpo è una parte dell’Anima”, recita un verso di William Blake, laddove, di converso, il Nietzsche dello Zarathustra asserisce che l’Anima altro non è che una molecola del Corpo. Ora che abbiamo al cinema la nuova trasposizione del Dune di Frank Herbert, dove raggiungere piani ulteriori del nostro essere è possibile solo attraverso l’espansione delle facoltà intrinseche di un Corpo affrancato dalla nostra ossessiva e pervasiva dipendenza dalla tecnologia, non può che sovvenire alla mente il Theodore Sturgeon di More Than Human (1953), ove il Corpo è l’esperienza fondante che trascende, tramite l’intima connessione tra i suoi protagonisti, la stessa individualità, esperienza da cui promana addirittura una nuova Etica, una nuova frontiera della solidarietà umana. La Fantascienza si prefigge ancora questi obiettivi?
Scrittori come Herbert e Sturgeon erano degli autentici geni, e temo che quegli autori ambiziosi che potrebbero seguirne le orme siano oramai molto rari. Gran parte della Fantascienza è costituita da storie di azione/avventura/thriller che non presentano alcun interesse a scandagliare argomenti così profondi. Non c’è da vergognarsi, perché abbiamo bisogno di buone fonti di intrattenimento. Ma le storie che emulano Olaf Stapledon e che cercano di cimentarsi con le potenzialità dell’umanità, sebbene scarse, vengono comunque scritte. Una delle mie favorite, anche se ha ormai 23 anni, è il romanzo Evolution’s Darling di Scott Westerfeld. Un altro classico che potrebbe essere citato è The Seedling Stars di James Blish.

L’Amor che move le galassie…
Nel suo bellissimo racconto Our Feynman Who Art in Heaven (2007) lei propone una peculiare ed inusitata formula per conciliare scienza e spiritualità. La Fantascienza è spesso atea, agnostica o Gnostica, provocatoria e sovversiva verso la religione e il Divino (sovviene alla mente, fra gli innumerevoli esempi, il Lester del Rey del mordace For I am a Jealous People!, 1954, ove Dio infrange il patto con l’Umanità e si allea con Invasori extraterrestri); al contempo, però, contiene molti esperimenti, altrettanto deliziosi ed avvincenti delle suddette provocazioni, volti a ricomporre lo iato tra fede e ragione. Cosa pensa delle mille declinazioni della Fantateologia?
Lo scienziato Stephen Jay Gould ha coniato la grandiosa definizione di “magisteri non sovrapposti” allo scopo di delineare la scienza e la religione quali imperi separati, ognuno dedito ad occuparsi di una parte del cosmo che l’impero rivale non poteva discernere. Eppure, ovviamente, abbiamo avuto scienziati religiosi e sant’uomini dediti alla scienza capaci di combinare entrambe le sfere. Penso che entri in gioco una sorta di dissonanza cognitiva produttiva. Una parte del tuo cervello sta contando gli atomi, e una parte sta contando gli angeli. “Io sono immenso, contengo moltitudini.” Se andava bene per Walt Whitman, va bene per me.
E la Fantascienza può altresì incorporare intuizioni e sentimenti numinosi in racconti hardcore di fisica, chimica e biologia. Dopotutto, il “Senso della Meraviglia” (Sense of Wonder) non è una rinomata componente sia della Fantascienza che della religione?
I suoi racconti e romanzi, pur affrescando dimensioni trasognate, formidabili ed inquietanti, sono tuttavia soffusi di una ironia sottile unita al gusto per il paradosso. Risulta talvolta difficile comprendere come l’umorismo faccia parte integrante della Fantascienza, basti pensare ad autori come Douglas Adams, Fredric Brown, Damon Knight, Eric Frank Russell, Philip José Farmer o Ira Levin, nei quali un umorismo sovente caustico fa da naturale contrappunto a situazioni anche austere, terrifiche e sconcertanti, sottendendo e supportando vicende serissime. Quanto ritiene che siano importanti le venature umoristiche del genere?
Non potrei vivere o scrivere senza umorismo. I miei primissimi scritti, per il giornale del liceo, consistevano in saggi umoristici riguardanti la scena accademica, e sento che questa potrebbe quasi essere definita la mia cifra di base – il che spiega i miei venticinque anni di colonne umoristiche per The Magazine of Fantasy and Science Fiction, sotto il vessillo della raccolta Plumage From Pegasus. Devo sforzarmi di essere serio e riconoscere che la tragedia fa parte della vita come tutto il resto.
Sono stati menzionati alcuni superbi scrittori di fantascienza dal piglio umoristico, e ne aggiungerò un altro, che ho citato prima: Ron Goulart. Ad un certo punto durante l’apice della sua carriera, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, è stato il ragazzo più divertente della Fantascienza, carpendo perfettamente la follia di quell’epoca tramite satire argute e spiritose. Da adolescente, lo consideravo un modello e un vero genio.
Consiglio vivamente un romanzo recente su questa linea: Glitterati di Oliver K. Langmead.

Cospirando si impara…
In quanto ideatore di immani Cospirazioni in Ciphers: A Post-Shannon Rock ‘N’ Roll Mystery (1997), le rivolgo una provocazione: il grande poeta romano epicureo Lucrezio collocava gli “Dei” in “Dimensioni parallele” al pari del noto ufologo Jacques Vallée: pur essendo le Teorie del Complotto molto più antiche della moderna Sci-Fi, questa vi attinge a piene mani a cominciare dalla ferace ispirazione fornita dall’eccentrico Charles Fort a scrittori come l’Eric Frank Russel di Sinister Barrier (1943), ove l’umanità è segretamente soggiogata da entità che dirigono le nostre azioni a loro assoluto vantaggio. Oggi, però, i Complotti sono nuovamente degenerati in squallidi strumenti nelle mani di individui abietti e una massa sconsiderata. Al netto del raggelante pericolo che certe Teorie della Cospirazione possono costituire, da I Protocolli dei Savi di Sion a QAnon, non si sente, come creatore di Fantascienza, vilipeso, defraudato, depauperato?
Lei ha colto una situazione davvero molto amara. Per lo scrittore con una certa inclinazione intellettuale, le Teorie del Complotto sono sempre state un metodo utile e ludico per totalizzare l’esperienza in un compatto insieme estetico. Prendi il caos della vita e riesci a far finta – per tutta la durata del romanzo – che ogni cosa abbia un senso, basta solo avere la possibilità di scorgere gli schemi occulti, reconditi e segreti che sottendono l’insieme. Essendo uno che idolatra Thomas Pynchon ed è stato profondamente influenzato dal suo lavoro durante gli anni dell’università, ho sempre considerato questa strategia letteraria essenziale e accattivante. Oltre a Ciphers, alcuni dei miei altri lavori abbracciano questa modalità in misura maggiore o minore: Karuna, inc. e Spondulix principalmente.
Ma la vita reale ha contaminato questa modalità di lavoro. Non sembra più nobile, divertente o sicuro abbracciare le teorie del complotto, dal momento che molti cittadini illetterati hanno adottato questa forma delirante di pensiero come criterio per orientarsi nella vita, con pessimi risultati per la politica. Debbo dire tuttavia di essere stato stuzzicato da una recente teoria della cospirazione non letteraria, ovvero quella, semi-innocua, concernente l'”Impero di Tartaria”. Quest’ultima possiede tutta la folle attrattiva dei famigerati scritti di Richard Shaver, che costituiscono una parte imprescindibile della storia della Fantascienza.
[Qui Paul ci rimanda a Wikipedia, e a noi non resta che adempiere N.d.R.]
https://en.wikipedia.org/wiki/Tartarian_Empire_(conspiracy_theory)

Può anticiparci qualcosa riguardo i suoi progetti imminenti o futuri?
E’ imminente un romanzo, che sarà distribuito nel febbraio 2024, intitolato Vangie’s Ghost. Il titolo suona come se fosse un’opera dell’orrore, ma si tratta di mera fantascienza, concernente una donna che può vedere – e abitare – tutti i suoi sé multiversali. Quest’anno, il 2023, dovrebbe vedere la luce una nuova raccolta di storie per la casa editrice Wildside Press intitolata Starfields Afar. E ho appena iniziato un romanzo di fantascienza del genere ambientato ai nostri giorni e intitolato Another Green World, la cui vicende si svolgono in parte nella Brooklyn contemporanea e in parte nella Brooklyn del 1898.
Auguratemi buona fortuna!