Era una torrida giornata di giugno, quella di quasi 40 anni fa. Un inizio di estate come molti altri nella vita della giovane Emanuela, 15 anni. Quel giorno salutò la sua famiglia -con un alterco innocuo con suo fratello-, uscì di casa e si diresse, come tutte le settimane, alla scuola di musica dove studiava solfeggio e lo strumento del flauto. Poi, il vuoto. Emanuela non è mai tornata a casa da quella sera del 22 giugno 1983. Ancora oggi, la sua scomparsa fluttua nel mistero di un caso irrisolto da ormai 40 anni. La sua famiglia non si dà pace, vuole una risposta. Emanuela è viva? È morta? Chi l’ha rapita? E, soprattutto, perché?
Nella nostra inchiesta ripercorriamo insieme le tappe fondamentali di questo caso per cercare di gettare una luce di consapevolezza a ciò che è accaduto.
22 giugno 1983
Emanuela, figlia di Ercole Orlandi, commesso della Prefettura della casa pontificia e scomparso nel 2004 -le sue ultime parole sono state: “sono stato tradito da chi ho servito”-, era una cittadina vaticana. Come tutte le settimane si incamminò per la scuola di musica, ma quel giorno arrivò tardi alla lezione: era stata fermata da un uomo con una Bmw verde che le aveva offerto un lavoro come rappresentante Avon. Quella sera, nonostante il tragitto fosse lo stesso tutte le volte che andava a studiare musica, non prese l’autobus insieme alle sue amiche della scuola di musica, Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini, le ultime ad aver visto Emanuela viva. Dopo una breve telefonata che Emanuela ha fatto alla sorella da una cabina telefonica per parlarle dell’offerta di lavoro, le sue tracce si sono disperse nel nulla.
All’inizio, le due amiche affermarono agli inquirenti che Emanuela non aveva preso l’autobus con loro perché troppo affollato, ma recentemente Raffaella Monzi ha cambiato la sua dichiarazione: Emanuela, in confidenza, le disse che avrebbe atteso il tizio della Avon per parlare della proposta.
Le ragazze si divisero e, da lì, di Emanuela non sappiamo più niente. Strano che le amiche non abbiano avuto qualcosa in più da dire: si sa, una ragazzina di quindici anni non si confida in famiglia, ma con le amiche più strette. “L’amica del cuore” è rimasta nell’ombra, se non fino a poco tempo fa, quando scegliendo l’anonimato, confessò che Emanuela le aveva telefonato poco prima della scomparsa, dicendole che durante uno dei suoi giri nei giardini vaticani una persona molto vicina al Papa l’aveva infastidita. E non erano attenzioni innocenti quelle che le aveva rivolto. Erano attenzioni perverse. Sessuali. Oggi le chiameremmo abusi.
La notte scese in quella giornata di giugno 1983 ed Emanuela non fece ritorno a casa. Allora i genitori, nel panico, si rivolsero alle forze dell’ordine, che replicarono come fosse troppo presto per sporgere denuncia: Emanuela, infatti, sicuramente si era allontanata di sua sponte e iniziativa. Non c’era di che preoccuparsi, sarebbe tornata da sola, così come da sola era sparita. Il problema fu che questo, come sappiamo, non accadde.
Pochi giorni dopo la scomparsa

Nei giorni successivi alla sparizione, a casa degli Orlandi arrivarono due telefonate: due uomini, “Pierluigi” e “Mario” dichiararono di aver visto una ragazza che corrispondeva alla descrizione di Emanuela a Campo dei Fiori, dove vendeva cosmetici sotto il nome falso di Barbara. Le indagini erano in stallo, gli inquirenti ancora sostenevano la tesi che Emanuela si fosse allontanata per un moto di ribellione adolescenziale e iniziarono a seguire questa pista. Ma i risultati furono scarsi: Mario, in un’altra telefonata, descrisse Emanuela come “bella altina, sul metro e settanta” quando invece la ragazza era alta solo un metro e sessanta circa. Entrambi i presunti testimoni vennero ritenuti inaffidabili e probabilmente mitomani.
L’angelus di Papa Giovanni Paolo II

Domenica 3 luglio 1983, il Pontefice durante l’Angelus pronunciò per la prima volta il nome della ragazza e rivolse un appello pubblico ai “responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi”. Fu in questo modo che si ufficializzò l’ipotesi di un sequestro. Le parole del Papa aprirono la porta sul corridoio oscuro che sarebbero state le indagini da quel momento in avanti, un buio perpetuo di negazioni, omissioni e incertezze che ancora oggi condiziona la famiglia di Emanuela.
Le indagini si sono susseguite fino al 2016, quando il caso cadde in prescrizione e venne chiusa l’inchiesta. Principalmente si sono distinte in tre filoni, che andremo a vedere più nel dettaglio: la pista del terrorismo internazionale; quella della mafia e del banco ambrosiano; e infine quella legata al caso Vatileaks.
La pista del terrorismo interazionale
Dopo l’appello durante l’Angelus di Papa Wojtyla, che per primo parlò di rapimento, alla sala stampa vaticana giunse una telefonata da parte di un uomo con un forte accento anglosassone che fu subito rinominato “l’Americano”. Egli richiese l’attivazione di una linea diretta con il Vaticano e dichiarò che Emanuela era stata rapita dai Lupi Grigi -un movimento turco ultranazionalista, responsabile di molti attentati terroristici-e che sarebbe stata rilasciata solo in cambio della liberazione di Mehmet Ali Ağca, l’attentatore di Papa Wojtyla. Il 13 maggio 1981 Ağca, infatti, aveva sparato contro il Papa in Piazza San Pietro, colpendolo all’addome. L’Americano fissò un ultimatum: Ağca doveva essere liberato entro il 20 luglio altrimenti Emanuela sarebbe morta. La famiglia Orlandi chiese delle prove, che arrivarono, sempre a mezzo stampa, tramite pacchetti che i terroristi fecero trovare in giro per la città: venne rinvenuta una fotocopia della tessera di musica di Emanuela, il pagamento di una retta della scuola di musica, e un messaggio da parte della ragazza che recitava “con tanto affetto la vostra Emanuela”. Il contenuto di questo pacco provava che i rapinatori avevano accesso agli effetti personali della ragazza, non che la stessa fosse ancora viva. Un’altra prova fu una cassetta audio: da una parte c’era il messaggio dei rapinatori che chiedevano lo scambio, dall’altra un terrificante messaggio di Emanuela, in cui si sentiva una ragazza gemere e lamentarsi. Controlli successivi dimostrarono che quel nastro era stato preso da un film porno, non era la voce della giovane scomparsa.
Il giorno della scadenza dell’ultimatum arrivò e se ne andò: si portò via l’ultimo comunicato dell’Americano, che disse “ancora poche ore e uccideremo Emanuela”. Poi, il silenzio. L’Americano sparì come era apparso. Nel frattempo, Ağca cominciò a parlare con le autorità italiane ed emerse qualcosa di strano: il terrorista confessò che non voleva uccidere il Papa su ordine dei Lupi Grigi, ma del KGB, i servizi segreti dell’Unione Sovietica. Un Papa polacco era visto come una sfida al blocco orientale in Polonia e, di conseguenza, a Mosca. La polizia pensò che ora che Ağca aveva cominciato a rivelare chi c’era dietro all’operazione, l’Unione Sovietica volesse liberarlo per farlo tacere per sempre. Ma dell’Americano nessuno seppe più nulla.
Ci sono diverse zone d’ombra in questa prima pista perseguita dalle forze dell’ordine e dal Sisde, domande a cui non è possibile rispondere. La richiesta dei Lupi Grigi è arrivata solo dopo che il Papa aveva parlato, non prima; inoltre, per la prima volta si era davanti a un caso di terrorismo internazionale e non si sapeva chi fosse il mandante. E per concludere, come sottolineò una fonte segreta a Andrea Purgatori, uno dei giornalisti che per primo e più approfonditamente si occupò del caso Orlandi, i presunti “rapitori” sembravano muoversi senza una strategia. A tutti gli effetti, la pista terroristica sembrava un diversivo.
La pista della Mafia e del Banco Ambrosiano

Si dovettero attendere 22 anni prima di imbattersi in un’altra possibile pista sul caso Orlandi. Una telefonata da fonte anonima alla trasmissione “Chi l’ha visto?” affermò che se si voleva risolvere il mistero della ragazza bisognava scoprire chi fosse sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, a Roma. Un luogo dove nessuno può ricevere sepoltura a meno che non abbia un permesso speciale o non abbia fatto un grosso favore al Vaticano. Così si venne a sapere che a Sant’Apollinare era stato sepolto Enrico De Pedis, uno dei criminali mafiosi più influenti di Roma, capo della Banda della Magliana. La conferma arrivò nel 1997, quando l’allora compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, svelò delle cruciali informazioni alle forze dell’ordine: Emanuela era stata segregata per alcuni giorni in un appartamento a Roma.
La Minardi disse che non sapeva nulla del caso ma finì per riconoscere la ragazza per via dei manifesti affissi per la città. Secondo la donna, Emanuela rimase con loro per qualche giorno, venne spostata in due appartamenti diversi e poi fu riconsegnata a un uomo con abito talare, dentro le mura vaticane. In sostanza un prete, che venne a prenderla con un’auto con targa della città del Vaticano.
Ma la domanda che ci poniamo adesso è questa: cosa c’entra la Banda della Magliana con il Vaticano e soprattutto con il rapimento della Orlandi? Qual era il favore che De Pedis aveva fatto alla Santa Sede per poter essere sepolto a Sant’Apollinare?
La risposta ci venne fornita da un altro boss pentito della Magliana, Maurizio Abbatino, che rivelò come il sequestro di Emanuela fosse legato al denaro. I soldi della mafia arrivavano regolarmente nelle casse del Vaticano tramite il Banco Ambrosiano in un giro di riciclaggio, ma qualcosa in quel periodo era andato storto e questi soldi erano rimasti bloccati oltre le mura del papato. E la mafia li rivoleva indietro. Per intimare al Vaticano di risolvere la trattativa, la Mafia avrebbe rapito una cittadina vaticana: Emanuela. E questo sembra il punto di contatto anche di un altro caso, quello di Mirella Gregori, anch’ella scomparsa nel nulla 40 giorni prima della Orlandi e di cui non si è saputo più niente.
De Pedis, per la sepoltura a Sant’Apollinare, avrebbe acconsentito ad una riduzione del prestito alla Santa Sede, ma questo è un dato mai confermato.
Nonostante le prospettive incoraggianti di questa pista, negli anni anche la Minardi, per una serie di ritrattazioni, venne considerata un teste poco attendibile e così tutte le sue dichiarazioni non sono state tenute di conto dalle forze dell’ordine.
In questo modo, si è aperta un’altra pista: quella dello scandalo Vatileaks.
Lo scandalo di Vatileaks

È il 2016 quando ha luogo un’enorme fuga di dati, migliaia di documenti segreti su corruzione e cattiva gestione finanziaria del Vaticano. Grazie a questo scandalo, salta fuori un fascicolo, rimasto in cassaforte per più di 30 anni: un dossier sulle “spese sostenute dallo Stato Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”. Nelle cinque pagine rese pubbliche si susseguono date e cifre: rette, spese mediche, vitto, alloggio, spese di trasferimenti tra il Vaticano e Londra. Sembrerebbe che Emanuela sia stata a Londra dal 1983 al 1997, ricoverata al 176 di Clapham Road, in un ostello della gioventù per ragazze di proprietà dei padri scalabrini, una congregazione religiosa cattolica con un fortissimo legame con il Vaticano.
L’ultima voce del registro recita “disbrigo pratiche finali” e relativo trasferimento in Vaticano. Che cosa significa? Emanuela è morta ed è stata sepolta in Vaticano, senza che la famiglia sappia niente? È un interrogativo a cui è impossibile rispondere con certezza, perché non abbiamo le prove e le testimonianze sufficienti. Su una cosa, però, non si possono avere dubbi: dentro il Vaticano qualcuno sa da sempre cosa sia successo a Emanuela Orlandi.
La riapertura del caso e le nuove indagini: gennaio/maggio 2023
Il 9 gennaio 2023, per volere del Pontefice Francesco, il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi e la gendarmeria aprono ufficialmente per la prima volta le indagini a distanza di quasi quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela. Con l’apertura dell’inchiesta, sono state rinnovate le richieste affinché vengano sentite per la prima volta alcune persone, ancora in vita, che potrebbero fornire un contributo importante alle indagini, tra cui la compagna di scuola di musica che si trovava con Emanuela il pomeriggio del rapimento, e il cardinale Giovanni Lajolo che, in quell’anno, ricopriva un importante ruolo diplomatico presso la Santa Sede.
Due mesi dopo viene istituita dal Parlamento italiano una commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi e anche di Mirella Gregori.
Il 15 maggio 2023 la Procura di Roma apre la terza inchiesta sul caso Orlandi, assicurando che l’indagine della magistratura italiana si svolgerà in collaborazione con la già avviata inchiesta vaticana.
Emanuela avrà finalmente pace? Questa storia potrà essere chiusa non più come mistero, ma come un’indagine risolta? La famiglia avrà le risposte che merita?
Sono domande a cui solo il tempo darà una risposta.
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