C’era una volta Potere Operaio. Ce lo racconta nel suo libro Aldo Grandi

Con La generazione degli anni perduti. Storia di Potere Operaio, Aldo Grandi ci racconta gli intensi anni di Pot.Op.

Siamo oramai alla soglia del cinquantesimo anniversario dello scioglimento di Potere Operaio, uno dei movimenti più controversi e rivoluzionari in attività a cavallo tra fa fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, in Italia. Nato con l’obiettivo di creare un’organizzazione autonoma rispetto ai partiti di sinistra della classe operaia, il gruppo politico trasse origine dal gruppo redazionale de La Classe (trasformatasi a metà del 1967 in Potere Operaio) e che vide come compagni fondatori Negri, Piperno e Scalzone, con il primo teorico e stratega dell’intera organizzazione.

Il Direttore Aldo Grandi con il volume La generazione degli anni perduti. Storia di Potere Operaio

Potere Operaio (per semplicità abbreviato con Pot. Op.) è senza dubbio stato il gruppo della cosiddetta sinistra extraparlamentare maggiormente operativo sul territorio e il più rappresentativo di quella corrente di pensiero e ricerca marxista antiautoritaria che faceva capo a Mario Tronti, tra i fondatori di Classe Operaia.

Oggi a cinquant’anni dal Convegno di Rosolina, tenutosi a cavallo tra maggio e giugno del 1973, e che vide lo scioglimento appunto di Pot.Op., la Casa Editrice Chiarelettere ripropone il volume La generazione degli anni perduti. Storia di Potere operaio, a firma Aldo Grandi, che traccia in maniera indelebile una delle realtà politiche extraparlamentari di maggior interesse.

Per l’occasione siamo andati a disturbare l’Autore e Direttore Aldo Grandi.

Direttore buongiorno. Vent’anni fa vedeva la luce il suo volume “La generazione degli anni perduti. Storia di Potere Operaio”, edito nella collana Gli Struzzi di Einaudi, che oggi torna in libreria con Chiarelettere arricchendosi di una nuova introduzione, di una conclusione legata con il Convegno di Rosolina e del contributo di Cecco Bellosi, il militante con cui Feltrinelli si sarebbe dovuto incontrare il giorno successivo alla sua scomparsa. Proprio prendendo spunto dal suo libro, vorrei chiederle cosa ha rappresentato Potere Operaio in Italia, in un periodo che vedeva un forte fermento politico extragovernativo.

Innanzitutto spieghiamo perché la decisione di ripubblicare un libro con un titolo che è lo stesso, ma con un sottotitolo differente. Infatti si passa da Storie di Potere Operaio a Storia di Potere Operaio e non è solamente una questione di vocali. All’epoca della prima uscita, 2003, Einaudi ebbe numerose perplessità di carattere politico-giudiziario, temeva, cioè, che qualcuno potesse querelare l’Autore e la Casa Editrice vista la miriade di episodi citati e i nomi riportati e, inoltre, una certa intellighenzia riteneva che un giornalista non dell’ambiente non avrebbe potuto rappresentare in pieno la galassia di Pot.Op.. Ebbene, non ci furono querele e il libro andò esaurito in poco più di un anno, 6 mila 500 copie della collana più prestigiosa diretta da Lorenzo Fazio. Purtroppo quest’ultimo venne silurato e nonostante il successo, il libro non venne ristampato. Una vergogna. Tanto più che, per pubblicarlo, fu necessario l’intervento di Gian Arturo Ferrari, perché all’interno della Einaudi c’erano delle esitazioni che rischiarono di far saltare tutto. Fatta questa premessa, Potere Operaio ha rappresentato in Italia una robusta fetta di gioventù che, a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e Settanta si mobilità per produrre in Italia un cambiamento rivoluzionario che, poi, non ci fu, ma è indubbio che il gruppo extraparlamentare influenzò migliaia di studenti ancor più che operai. Ed essendo il gruppo più ideologizzato, ebbe anche una componente elitaria rispetto a tutti gli altri.

Potere Operaio nasce nel pieno del Terzo Governo Moro, con una Democrazia Cristiana che si avviava a confrontarsi con un Partito Comunista in forte ascesa, retto da un bacino elettorale strutturato attorno alla figura dell’operaio professionale. Potere Operaio rifugge tale figura e identifica, invece, nell’operaio massa quella forza motrice per dare vita ad una lotta radicale in grado di configurarsi come l’inizio di un processo rivoluzionario. Crede che si sarebbe potuto trovare un punto di unione tra le teorizzazioni trontiane e l’ideologia delle sinistre di Governo?

Ma assolutamente no, perché non c’è mai stato un solo momento in cui Mario Tronti abbia anche lontanamente pensato di abbandonare il suo partito, il Pci, a cui era storicamente e umanamente legato, per salire sul carro di quel gruppo di studenti aspiranti rivoluzionari che, un giorno, andarono a trovarlo a casa sua a Ferentino per diventare il guru della neonata formazione. Tronti e con lui Umberto Coldagelli altro esponente della sinistra operaista legata a Quaderni Rossi di Raniero Panzeri e a Classe Operaia, appartenevano ad un’altra generazione sotto tutti i punti di vista. La loro visione operaista era, comunque, interpretata come una sorta di tentativo di portare più a sinistra il Pci, ma mai ebbero la tentazione di legarsi a Potere Operaio. Quindi nessuna possibilità di unione né di unità. Troppo diversi i presupposti e anche la mentalità.

Scalzone e Piperno, due dei fondatori di Pot.Op.

Nel suo libro riporta molte parole dei diretti interessati e nel capitolo intitolato “Gli operai e le compagne”, Adriano Sofri ricorda: “La presenza delle ragazze aveva un’importanza esplosiva non solo per gli operai, ma anche per noi e per loro stesse, nonostante le frequenti stupidaggini, le mortificazioni, i maschilismi. Qualcuna era bravissima e già sopravanzava tutti dal punto di vista dell’autonomia femminile e femminista. Era una presenza veramente significativa, capace di far saltare atmosfere e abitudini”. Ecco, vorrei domandarle che ruolo hanno avuto le donne in Pot.Op.

Nel mio lavoro ho intervistato anche diverse ex militanti di Potere Operaio e devo dire, sinceramente, che alcune di loro mi manifestarono una certa insofferenza per come vissero la loro esperienza nel gruppo operaista. Questo perché, a dirla tutta, Pot. Op. molto più di Lotta Continua, aveva connotazioni che potremmo definire maschiliste dove il ruolo delle donne era relegato a quello di collaboratrici per la distribuzione di volantini di fronte alle fabbriche con relativa attrazione da parte degli operai che non erano abituati, soprattutto al sud, a certe aperture e facilità di approccio. Erano, sostanzialmente, delle compagne di vita, salvo alcune eccezioni, ma sotto il profilo ideologico e politico Potere Operaio fu, sicuramente, una formazione politica guidata, soprattutto, da esponenti di sesso maschile.  In un secondo momento, ragazze provenienti da quella esperienza, scelsero la lotta armata ed assunsero ruoli più partecipativi, ma quella è un’altra storia.

Quello che Pot. Op. ha rappresentato e significato in un’Italia non ancora pronta al cambiamento

Leggendo il suo libro siamo condotti alla scoperta di un movimento intenso e identitario che oggi, a 50 anni dalla sua conclusione, possiamo forse analizzare con la corretta ottica obiettiva. Secondo lei, Potere Operaio ha influenzato i successivi moti di rivoluzione socio-culturale e in caso, cosa ha lasciato in eredità?

Direi che più che influenzare ha rappresentato, al tempo in cui ha agito, un non trascurabile fenomeno politico-socio-culturale e che coloro che vi ebbero parte sono, successivamente, diventati personaggi di spessore, alcuni, purtroppo, nella lotta armata e altri, indubbiamente, nei rispettivi campi di azione. Certamente a livello dirigenziale e pubblico Lotta Continua ha piazzato i suoi ex dirigenti molto più in alto, a dimostrazione, probabilmente, di una ‘apertura mentale’, si fa per dire, che i militanti di Pot. Op. non avevano o non riuscirono, poi, a produrre. Molto meno legati al potere, la maggior parte almeno, e non dimentichiamo che per molti di loro si aprirono, all’indomani del 7 Aprile 1979, le porte del carcere anche per chi non aveva partecipato a eventi luttuosi o anche delittuosi di rilievo. Influenza? A distanza di 50 anni è difficile vedere gli effetti di quella esperienza, certamente ce ne furono nell’immediato e che effetti! Tragici purtroppo che produssero, ad esempio, con la strage dei fratelli Mattei, ma non solo, un clima politico e sociale in cui la verità veniva sistematicamente mutilata a beneficio di versioni di comodo create apposta per salvaguardare l’estremismo di sinistra. Non furono begli anni né, tantomeno, formidabili come qualcuno li ha definiti nostalgicamente.

Poetere Operaio racconta la morte di Feltrinelli

La classe, prima e Potere Operaio, poi. Parliamo, naturalmente, delle riviste che han visto la luce in quegli anni. Ecco, vorrei chiederle, che ruolo ha avuto l’editoria indipendente nell'(in)formazione sociale.

Parliamo di Potere Operaio perché fu, in particolare quest’ultimo, a rappresentare, sotto certi aspetti, una novità nel panorama pubblicistico di una certa area. C’è da tenere presente che leggerlo non era facile per tutti, visto il linguaggio adoperato, un linguaggio, appunto, che potremmo definire operaista in senso stretto e ideologizzato, rivolto più agli intellettuali che non agli operai veri e propri e, soprattutto, all’operaio massa che volevano educare. Graficamente, ad esempio, fu un ottimo giornale con quel rosso che non si vedeva da altre parti e con una impaginazione originale sia pure, a volte, un po’ ‘pallosa’. Il numero sulla morte di Feltrinelli è rimasto nella storia anche perché Pot. Op. fu il solo a riconoscere ciò che era avvenuto, ossia la morte dell’Editore non per complotti o omicidi, bensì per un ‘incidente sul lavoro’. Fu, inoltre, una buona palestra per aspiranti giornalisti che, poi, giornalisti lo divennero davvero, penso a Stefano Lepri, futuro redattore de La Stampa, ma non soltanto. Sotto il profilo linguistico, però, fu un periodico elitario riservato a chi aveva già una certa preparazione intellettuale. Originali, tuttavia, i modi di reperire fondi per mantenerlo, ci vorrebbe un libro per ricostruirli tutti.

Una foto dell’epoca che riporta uno dei dictat del movimento

Gli anni ’70 segnano anche la nascita, in grembo di Potere Operaio, di Lavoro Illegale, quel braccio armato, che porterà poi al drammatico episodio del Rogo di Primavalle, cui accennava prima, dove persero la vita appunto, i due figli di Mario Mattei, Segretario della Sezione di quartiere del Movimento Sociale Italiano, e di fatto, al Convegno di Rosolina che sancisce lo scioglimento di Potere Operaio. Siamo nel 1973. Crede si possa avanzare l’ipotesi che la forte spinta rivoluzionaria di quel movimento avesse, evidentemente, esaurito la propria forza, e che non vi fosse altra scelta che trasformare l’ideologia in intervento armato?

In un certo senso accadde proprio questo, anche se credo che fu un fenomeno per così dire naturale, legato al fatto che il tempo passa e le persone crescono e maturano. Era abbastanza evidente che non si sarebbe andati da nessuna parte, certamente non tutti erano disposti ad andare verso una deriva militare che qualcuno avrebbe voluto spingere al massimo. Come ha raccontato bene qualcuno nel mio libro, a Rosolina si ebbe come la sensazione, terribile per certi versi, che un periodo si fosse concluso e che anni vissuti intensamente fossero giunti all’epilogo. Da lì non ci furono più dubbi: chi restava andava oltre ponendo tra le possibili scelte anche quella di una lotta armata concreta contro lo Stato. Lavoro Illegale fu una specie di embrione e Primavalle un incidente non voluto da nessuno, ma causato dalla idiozia di alcuni militanti che non avevano alcuno spessore politico né ideologico né culturale. Ciò nonostante vennero sistematicamente protetti e aiutati a fuggire dall’Italia dai compagni di Pot. Op.. Ecco, quella vicenda segnò in anticipo la fine di una esperienza arrivata al limite.

Una drammatica immagine del Rogo di Primavalle andata in onda sulla rai nel 1973

Proprio riflettendo su quest’ultimo concetto mi verrebbe da chiederle quanto sia stata sottile la linea di demarcazione tra la teorizzazione della rivoluzione e la nascita delle Brigate Rosse.

L’esperienza di Potere Operaio è diversa da quella delle Brigate Rosse. E non soltanto anagraficamente ed ideologicamente. Oltreché numericamente. Le Brigate Rosse erano molto più chiuse su sé stesse. In realtà dopo la diaspora delle numerose formazioni della sinistra extraparlamentare solamente le Brigate Rosse potevano e poterono fornire a chi voleva procedere oltre e compiere il salto più difficile della propria vita, il passaggio alla clandestinità e alla guerra contro lo Stato, un rifugio e un attracco a tutti coloro che, ormai, non erano più capaci, per volontà o condizione, di rientrare tra le fila di una vita quotidiana. Diciamo che la rivoluzione che tutti si dicevano pronti a volere e a combattere per raggiungerla, quando si trattò di fare la scelta, il pianeta brigatista era quello più vicino.

Potere Operaio si colloca anche negli anni che vedono la nascita dell’espressione Strategia della Tensione, in taluni casi indicata come collegamento tra gli attentati e le forze politiche di Governo (basti pensare al celebre articolo di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera); in altri, invece, derivata per analogia fonetica e per opposizione concettuale, a quella Strategia dell’Attenzione verso il Partito Comunista di cui parla Aldo Moro, allora Ministro degli Affari Esteri, alla direzione della Democrazia Cristiana. A suo dire, siamo più vicini alla prima o alla seconda ipotesi?

A mio avviso, alla prima.

Prima di salutarla e ringraziarla ancora per il tempo dedicatoci, vorrei condividere con lei un’ultima riflessione. Chiude le oltre 350 pagine del libro dicendo che ciò che abbiamo appena letto è la storia di una lunga rabbia e di un sogno rivoluzionario dissoltosi a contatto con la realtà. Ma la dissoluzione non è l’inevitabile fine di ogni sogno, al ridestarsi?

Verissimo, ma ci sono sogni terminati i quali il risveglio è innocuo e si riparte come se niente fosse. E ce ne sono altri che lasciano conseguenze devastanti sia per chi, questi sogni, ha vissuto fin troppo realmente nella convinzione che potessero tramutarsi in realtà, sia per coloro che, innocenti e senza alcuna responsabilità, nei sogni degli altri vengono regolarmente chiamati a prendere tragica parte. Dipingere di romanticismo quegli anni può andare bene durante una cena rievocativa tra ex militanti e compagni di (s)ventura, non quando si affronta concretamente la storia.

Un grazie ad Aldo Grandi

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