Una passeggiata in parole con Vauro Senesi, alla ricerca di un presente di condivisione e umanità
Vauro è Vauro. Persona colta, definita, schietta e leale. Così come lo è la sua matita e la sua satira. Pungente, graffiante, caricaturistica, ma in ogni caso fedele alla verità. Lo abbiamo incontrato per una piacevole chiacchierata a 360°, tra Prima e Seconda Repubblica, tra il Male in edicole e quello al Governo. Lo abbiamo ascoltato gustandoci ricordi, idee, riflessioni e lo raccontiamo come si racconta una bella chiacchierata tra amici.

Vauro, partiamo da lontano. Era il 1978 e con Pino Zac fondavate una delle più importanti riviste satiriche italiane: il Male. Cosa ha rappresentato, in Italia, quella rivista e poi vorrei chiederti cosa è stata e cosa è la satira oggi.
Innanzitutto il Male ha rappresentato una ventata di libertà pazzesca, perché bisogna ricordare che stiamo parlando di anni in cui era dominante il conformismo democristiano, e il complottismo cattolico che finiva per fondersi con lo stesso conformismo democristiano, sia dal punto di vista politico che morale; non a caso a quel tempo si diceva che la politica cercava di mettere il naso anche nelle mutande. Ecco, noi con il Male, le mutande ce le siamo tolte (ride). Se vogliamo, poi, fare un discorso più generale riguardo la satira, mi trovo a parlare da vecchio, d’altronde lo sono e mi sento, quindi, in diritto di parlare da vecchio. La satira ai tempi de il Male è stata una rivoluzione dell’allegria, anche nei momenti più cupi, nei momenti più bui, stiamo sempre parlando degli anni in cui questo nostro Paese ha fatto i conti con le Stragi di Stato, con le Bombe, la violenza in piazza, i cosiddetti, per intenderci, anni di piombo. Noi cercavamo di mantenere alta la bandiera, sì della rivoluzione, ma della rivoluzione allegra, quindi non violenta, non cupa, non militarizzata; e della trasgressione, ma anche lì, della trasgressione giocosa e fantasiosa. Credo che siamo riusciti nel nostro intento, visto anche il successo che ebbe il giornale. La dimostrazione di quel che sto dicendo ne è senza dubbio la reazione che provocava anche a carattere sociale. Ricordo che ogni numero che usciva finiva inevitabilmente per essere sequestrato. La legge italiana non consentiva il sequestro in tipografia durante la realizzazione del numero, quindi questi sequestri avvenivano con il giornale già in edicola, e per noi fu un successo anche quello, perché la gente, che aveva capito come funzionava, correva a comprarlo prima che fosse sequestrato e così ciò che riuscivano a portare via era solo qualche copia di resa o sciupata. Ecco, questo lo possiamo considerare il periodo della satira a tutto tondo, della satira, sì come gioco, ma come gioco trasgressivo, come gioco immune dal politicamente corretto, che al tempo, in verità, era il moralmente corretto, quindi qualche gradino ancora più pesante del politicamente corretto odierno. Oggi, cosa vuoi che ti dica, la satira, ovviamente non tutta, per fortuna, credo che abbia perso questa vocazione. Vedo molti prodotti, anche carini… carini… ecco, carini. La satira carina, a me, personalmente, non piace.
A quel tempo il Male era una rivista, oggi sembra essere al Governo…
Beh, se vogliamo sfruttare il gioco di parole… (sorride). Scherzi a parte, non credo vi sia alcuna similitudine. Innanzitutto, io non penso che al Governo ci sia il male, io credo che al Governo ci siano dei peracottari. E visto che tutto potevamo essere, noi redattori de il Male, fuorché dei peracottari, sempre che non volevamo dichiaratamente farlo sembrare per provocazione, non trovo alcun punto d’unione tra i due mali. Prima ho parlato della fantasia, dell’allegria, questo è un Governo molto cupo… c’è un viceministro, Bignami Galeazzo che si è fatto fotografare alla festa dell’addio al celibato con una bella svastica sul braccio e sorridente. Ci sono dichiarazioni veramente macabre sulla sostituzione etnica da parte del ministro Lollobrigida e poi per una vignetta, lo ripeto, oltretutto molto azzeccata, di Natangelo, si grida allo scandalo: “Lesa la sorella della Meloni”, ecco… questa è la cupezza di questo Governo. D’altronde fascisti o neo-fascisti non hanno mai spiccato per allegria. La loro simbologia parla per loro.
Sulla carta stampata e in tv, la satira di Vauro non è mai stata fine a sé stessa
Ma, a tuo giudizio, è più facile fare satira con la Destra o con la Sinistra?
Beh, io sono ambidestro, posso farne con la destra e con la sinistra… (ride) A parte tutto, io penso che la satira, questi limiti, non debba assolutamente porseli. La satira è contro ogni forma di potere, anche del più piccolo, anche del potere del conformismo. E il conformismo cui accennavamo prima, è un malcostume terribilmente trasversale. Ti faccio un esempio: riprendiamo il concetto del politicamente corretto. Da un certo momento in poi, è diventato un obbligo da rispettare, senza distinzione di destra o di sinistra, naturalmente eccetto per i politici stessi, che come ho citato non mi sembrano molto politicamente corretti, ma loro, si sa, credono di vivere un sistema parallelo. La satira dovrebbe attaccare pavlovianamente, come naturale riflesso: quando c’è puzza di potere, di arroganza, di conformismo, la satira colpisce, sia che questo venga da destra che da sinistra.

Nel 1994 sei stato querelato dalla Senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, per una vignetta pubblicata sul Venerdì di Repubblica; nel 1997 sei condannato dal Tribunale di Roma per vilipendio alla religione cattolica, sempre a causa di una tua vignetta apparsa questa volta su Il Manifesto. Nel 2009 vieni sospeso dalla Rai, sempre per una tua vignetta, questa volta mostrata durante una puntata di AnnoZero. Possiamo parlare a tutti gli effetti di censura. Vorrei chiederti: ha senso censurare la satira che nasce proprio come espressione di scherno e invettiva contro costumi, atteggiamenti, categorie di persone o singoli individui?
Ah beh, si divertono molto a fare questa cosa, a querelare, specialmente quando arrivano al Governo. Devo però fare una differenziazione fra Prima e Seconda Repubblica. Il Male, naturalmente nasce nel periodo della Prima Repubblica, e c’era, sì, un tentativo di censura, ma più che altro dalla magistratura, per oltraggio alla morale e compagnia bella. Io invece la condanna per oltraggio alla religione l’ho presa quando il Male era già bello che chiuso, in piena Seconda Repubblica. C’è stata un’onda di parvenu, chiamiamola così, del potere, identica situazione che vivono i politi odierni, che li ha portati a pensare di aver vinto tutto, di avere tutti i diritti, e che gli altri non ne possedessero nessuno, logica tipica di un contesto che potrei definire molto fascista, sai il detto “Vai victis”, guai ai vinti, e così con i loro diritti assolutisti hanno cominciato a far fioccare denunce, e a volte, come hai citato, anche condanne. Permettimi però di fare un appunto. La Casellati, in realtà aveva anche sbagliato, perché la vignetta era sì uscita sul Venerdì, ma ripresa dal settimanale Cuore e lei probabilmente non lo sapeva e così non denunciò Cuore, ma il Direttore del Venerdì, oltre a me, naturalmente. Per essere un avvocato, credo abbia fatto una discreta figura, ma queste sono cose che non ci interessano. Detto questo, ho sempre sostenuto e continuo a sostenere, che il nemico principale della satira non sia la censura, bensì l’autocensura, ed è il nemico da cui io ho sempre cercato di guardarmi fortemente, per cui rifarei qualsiasi vignetta abbia fatto e ancora con maggior piacere, rifarei quelle che ho fatto e sulle quali non ero d’accordo neppure io, proprio per il gran senso di libertà che la satira deve avere.
Recentemente, a proposito di vignette e di critiche, sei stato attaccato per una vignetta su Zelens’kyj. Che idea si è fatto sull’attuale guerra in Ucraina.
Della guerra attuale in Ucraina te ne parlo con ragion di causa e per esperienza personale, visto che nel 2015 ero nel Donbass come inviato. Ebbeno ho visto gli ucraini venire bombardati, le scuole venire distrutte davanti ai nostri occhi, le donne e i bambini morire, esattamente, per filo e per segno, quello che purtroppo sta accadendo ora, però a quanto pare, a quel tempo non interessava a nessuno cosa accadesse nel Donbass, tant’è che andai là proprio per cercare di raccontarlo. Questo ti dovrebbe già far capire tutto. Quella di oggi è una guerra per procura, una guerra fra la Nato, l’Occidente e i suoi alleati, contro la Russia, e il tutto combattuto sulla pelle degli ucraini e anche dei russi. La cosa peggiore è che non sembra esserci uno sbocco diplomatico all’orizzonte, forse perché, probabilmente, a molti, specialmente alle grandi finanziarie legate alla produzione della armi, il fatto che ci sia una guerra che di armi ne consuma parecchie, fa comodo e fa piacere.

Riguardo alle polemiche sul naso di Zelens’kyj, poi, beh… era ovvio che erano pretestuose, infatti risposi a tutti i critici con una vignetta dove feci Dante Alighieri con un nasino alla francese, piccolissimo, dicendo che almeno con questa non potevo essere accusato di antisemitismo. La caricatura, si chiama proprio caricatura perché è una carica, un’alterazione dei tratti somatici, oltretutto io non ho mai pensato, perché non ho mai creduto alla propaganda fascista e nazista, che tutti gli ebrei abbiano il naso adunco. Chi si è risentito per quella caricatura invece, probabilmente lo pensa, non lo so. Poi non c’era nessun riferimento all’ebraicità o meno di Zelens’kyj: vicino alla sua caricatura c’era quella di Putin gonfio come un pallone, quindi, cosa vuoi che ti dica… Bada bene che non sto dando spiegazioni per giustificarmi, ma solo riflettendo su alcune cose. Ad esempio: ciò che mi ha colpito è che io sarei un antisemita perché avrei fatto il naso adunco a Zelens’kyj, che poi in realtà non glielo ho fatto io, ma la sua mamma, invece Zelens’kyj che prima di diventare l’eroe che tutti conosciamo con la maglietta verde, suonava Hava naghila sbattendo il pene sul pianoforte, allora come dovrebbe esser visto?… Hava Naghila è una canzone ebraica molto rispettata, molto importante e negli spettacoli che portava in scena, pensava bene di suonarla appunto sbattendo il pene sulla tastiera del pianoforte.
La Staffetta dell’Umanità per dire Basta! alla guerra
In una recente intervista hai avuto un confronto molto acceso con la Schlein circa l’importanza di fermare l’invio di armi in Ucraina.
Intanto devo dirti che oggi mi trovi particolarmente ottimista perché abbiamo fatto la Staffetta dell’Umanità, che era una scommessa direi quasi impossibile, ed invece è stata una grande vittoria andata al di là dell’oscuramento di buona parte dei media e di quello gravissimo del servizio pubblico.

E’ andata molto meglio di quanto avremo sperato nelle visioni più ottimistiche e devo dire che c’è ancora in questa nostra popolazione, un rifiuto netto alla guerra, che non può che passare dal rifiuto delle armi, perché le armi alimentano le guerre, certo non le fanno cessare, e anche in questo caso il discorso è evidente: la guerra in Ucraina da quando è iniziata ha avuto un’escalation sempre più micidiale, con armi sempre più pesanti ed effetti sempre più drammatici per la popolazione. Arriveremo ad utilizzare proiettili all’uranio impoverito in quello che un tempo era il Granaio d’Europa. Immaginate che effetto potrà avere, se ancora quel grano verrà coltivato, ma questo è solo un esempio minimo. E ne ho parlato proprio a lei, alla Schlein. Vorrei capire come fanno a conciliare una dichiarazione, che a questo punto sembra essere solo un proforma, circa la ricerca di una soluzione diplomatica di un cessate il fuoco, con il fatto che siamo un paese assolutamente belligerante, perché, sia chiaro, un paese che invia armi è un paese belligerante, un paese coinvolto nel conflitto, e un paese coinvolto nel conflitto non potrebbe avere e non ha, alcuna credibilità come mediatore diplomatico.
A proposito di Sinistra. Vorrei fare con te un gioco di equilibri: quanta colpa ha la sinistra, per la destra al governo?
Il 90 percento, almeno. La cosiddetta Sinistra ha abdicato costantemente e radicalmente ai propri valori fondativi, che sono quelli dei diritti, quelli della scelta di classe, che reputo una cosa fondamentale. Non si può stare con tutti. Quando ci sono delle diseguaglianze, e in questo nostro paese, non solo ce ne sono, ma sono aumentate, o si sta con chi ha meno, o si sta con chi ha più. Mi sembra evidente. Questa cosiddetta Sinistra ha scelto la via dell’identità amministrativa del potere e questo ha fatto sì che tanti spazi sociali, tanti spazi del dissenso, siano stati, specialmente nelle periferie, ma non soltanto, occupati da formazioni populiste facilone, perché lì c’era un vuoto più che manifesto. In politica, come in fisica, dove c’è un vuoto, quel vuoto si riempie.
Tu sei stato una delle patite più fortunate di molti quotidiani e programmi di informazione, penso a Repubblica, a il Manifesto, a Il Fatto Quotidiano, AnnoZero su Rai2 o ancora Servizio Pubblico su La7… Ecco, vorrei chiederti quanto e come è cambiato il giornalismo in questi anni, e con lui, come è cambiata l’informazione.
Qui ti risponderò molto lapidariamente: fatte alcune piccolissime eccezioni, il giornalismo, semplicemente, non c’è più. E specialmente in questi ultimi anni, durante i quali abbiamo assistito alla trasformazione dell’informazione in macchina di propaganda, macchina di propaganda volta a determinare una sorta di pensiero unico e, visto che io ritengo che l’informazione debba essere uno strumento critico e di confronto, quando diviene una schiacciasassi, come appunto è la propaganda, non posso che constatare che l’informazione non ci sia più, che non si può più parlare di informazione. Esattamente come succede per la Guerra in Ucraina.
Ultima cosa, prima di salutarti e ringraziarti per questa bella chiacchierata, ti chiederei di ricordare assieme una delle persone che hanno fatto della cooperazione e del vero intervento sociale a difesa dei più deboli, la propria mission di vita. Parlo ovviamente di Gino Strada con cui sei stato tantissimo sul campo, penso al Sudan, all’Iraq, all’Afghanistan, tanto per citare alcune zone territoriali di intervento.
Con Gino, abbiamo davvero visto e scoperto il mondo assieme. La prima cosa che mi sovviene è una riflessione amara: forse è meglio che Gino se ne sia andato e non debba esser costretto a vedere questo porcaio che è appunto diventata l’informazione, con questo culto della guerra, questo culto delle armi, questo culto della morte… lui che per tutta la vita si è battuto contro le armi e contro la guerra e contro la morte. Gino è stato un assoluto esempio di vita, di condivisione, di cooperazione e forse oggi non sarebbe riuscito a gestire la follia di questo nostro assurdo sistema. Un sistema che ad esempio vede la salute come un obbligo, invece di vederla come un diritto, un diritto condiviso, appunto come sempre ha sostenuto Gino con Emergency. Considera che tra le molte iniziative, ad esempio Emergency ha lavorato, e lavora tutt’ora, in Afghanistan proprio sul diritto alla salute. Che vuoi che ti dica, credo che il modo migliore per ricordare Gino, sia ascoltare chi Gino lo ha conosciuto e farselo raccontare attraverso occhi di altre persone, per capire davvero quanto abbia dato a tutti noi e quanto ci abbia trasmesso.
Grazie a Vauro Senesi