Incontriamo Alessandro Tedeschi in arte Netherworld, fondatore dell’etichetta musicale Glacial Movements, che opera dal 2006 in una scena musicale molto particolare, ispirata alle atmosfere di spazi immensi avvolti dal ghiaccio e dalle temperature non favorevoli all’uomo. Una scena minimalista tornata a far parlare di sé alla luce dei catastrofici cambiamenti climatici dovuti al surriscaldamento terrestre.

Sperimentazione e sonorità ambient. Alla scoperta di Glacial Movements
Alessandro, noi ci conosciamo da tanti anni e abbiamo condiviso qualche momento importante nel percorso di crescita della Dark ambient minimalista, introspettiva e fortemente melanconica, a che punto siamo arrivati della ricerca, sia tua personale che del movimento?
Voglio intanto ringraziarti per questa opportunità che mi fornisci e che mi fa tornare indietro nel tempo. Un tempo che sembra molto distante dal mondo di oggi, in tutti i suoi aspetti. Ricordo il giorno nel quale ci conoscemmo: erano i primi anni del 2000 ed ero alla disperata ricerca di alcuni CD introvabili (internet ancora non era diffuso come lo è oggi). Mi imbattei nel numero di telefono di un negozio in Via degli Scipioni (StarShop Roma) che vendeva titoli di musica ambient. Trovai te all’altro capo del filo che con una calma e serenità di un altro mondo mi dicesti che quello che stavo cercando era presente nei tuoi scaffali. Mi precipitai di corsa quello stesso pomeriggio, e quando varcai la soglia del negozio, si dischiuse davanti a me un mondo nuovo ed inaspettato, ricco di gemme preziose che andavo cercando ovunque, ma che non riuscivo a trovare. Mi ricordo che acquistai “Kaamos” e “Aubrite” di Thomas Koner, e altri titoli di artisti che ancora non conoscevo. Ma più di ogni altra cosa, avevo capito che ero entrato in contatto con una realtà diversa: Deep Listenings la rivista che – prima di tutte – aveva aperto le porte dell’ascolto profondo. Ideata e gestita dal nostro amico Gianluigi Gasparetti che, oltre a DL, componeva attraverso il suo progetto Oophoi, soundscapes ciclici, intimi e profondi. Dal quel giorno è iniziato il mio cammino, prima come appassionato ascoltatore e collezionista, poi come compositore di musica Dark Ambient. La ricerca del suono avente la scintilla divina, è e sarà sempre il mio percorso da seguire. Al momento posso dirti che ho esplorato e sperimentato moltissimo, ed il tutto è sfociato negli album che ho potuto realizzare su diverse etichette discografiche (Umbra, Taalem, Fario, The Wire Tapper Series e soprattutto la mia Glacial Movements). Rispetto ai miei primi lavori, caratterizzati prevalentemente da field recordings e sintetizzatori, ho ampliato le mie composizioni con elementi di musica classica, quali pianoforte e violino, opportunamente trattati e manipolati quasi a conferire loro una nuova veste sonora. Con l’ausilio del computer, di nuove tecnologie e strumentazioni e non ultimo internet, oggi tutto è alla portata di tutti. Sono defunte e nate nuove realtà discografiche, con proposte a volte molto interessanti. Nuovi artisti sono emersi dall’anonimato, ma sento che sono pochi quelli che hanno veramente qualcosa da raccontare, che hanno un tocco speciale che li diversifica da tutto il resto. Negli ultimi tempi ho poi riscontrato un notevole cambiamento di alcuni artisti che hanno intrapreso la strada della composizione di colonne sonore per film e serie TV, ciò a mio avviso, è molto intrigante.
Ricordo molto bene le tue preferenze di quegli anni, quando proprio assieme a Gianluigi parlavamo dei pionieri come i Lull, Thomas Koner, Paul Schütze o William Basinski. Potresti spiegare al pubblico dei non addetti ai lavori cosa significhi Ascoltare e come approcciare queste sonorità elettroniche?
Bei tempi caro Mauro! Oltre a parlare dei Lull o di Koner, li ascoltavamo seduti nel Kiva di Gigi. Uno studio ricavato da una parte della sua casa di campagna e fatto con le pietre. Al suo interno, come ricorderai bene, vi erano oggetti antichi e strumenti acustici provenienti da tutte le parti del mondo. Ed ovviamente c’era il suo studio di registrazione. Una parte del Kiva era dedicata all’ascolto che avveniva attraverso un impianto audio di grandissima fedeltà acustica. Sembrava di ascoltare la musica dal vivo. Il suono che si diffondeva da quei monitor avvolgeva tutti noi e l’ambiente, questo il segreto dell’ascolto. Deve avvenire in un luogo quieto, attraverso un impianto audio di livello e possibilmente di notte. Se ci sono queste tre condizioni, l’ascolto può diventare un’esperienza mistica, che tocca i punti più nascosti e insondabili dell’essenza umana. Da evitare l’ascolto veloce e approssimativo, in particolar modo per l’ambient, attraverso servizi streaming in MP3 con il cellulare. Questa è la morte della musica, non si coglierebbero le infinite sfumature che si celano dentro ogni suono. L’esperienza diventerebbe piatta e monotona. Lo so, in questi tempi è davvero molto difficile evitare tutto questo, ma credo sia necessario. Personalmente tengo tantissimo a mantenere vivi i consigli e soprattutto l’eredità che ci ha lasciato il buon Gianluigi al quale, ognuno di noi e nel proprio piccolo, gli deve qualcosa.

Da Cryosphere all’ultimo Netherworld. La trasformazione da label manager a curatore di mostre
Sono passati molti anni dagli esordi dalla raccolta “Cryosphere” e molti di quei musicisti che ammiravi particolarmente sono diventati protagonisti della Glacial Movements, come sei riuscito a coinvolgerli nel tuo visionario progetto?
Per la precisione, di anni ne son trascorsi ben diciassette. Come corre il tempo! Posso dire di essere partito proprio bene con Cryosphere. Avevo coinvolto i Lightwave, Aidan Baker, Troum, Tuu, Oophoi ed altri artisti (compreso il sottoscritto). Avevo stampato 300 copie e vendute tutte nel giro di pochissimi mesi. Negli album successivi ho poi avuto Rapoon, Lull, Paul Schutze, Murcof, Loscil, bvdub, Justin K Brodrick, Dirk Serries / Vidna Obmana e altri ancora. Credo che abbiano percepito il mio entusiasmo, le idee chiare, la coerenza del progetto e l’estetica glaciale e ben definita dell’etichetta. In un’intervista di qualche tempo fa, apparsa su The New Noise, il buon Scott Morgan (Loscil) mi ha definito come un curatore di mostre, più che un label manager. Questa citazione mi trova molto d’accordo, anche se devo dedicare del tempo all’aspetto manageriale di GM, che non è poca cosa. In questi anni di continua ricerca e duro lavoro, sono riuscito a trovare la stabilità in termini di distribuzione mondiale dei prodotti sia fisici che digitali. Anche la parte promozionale occupa molte energie e da qualche tempo la gestisco al mio interno (precedentemente usufruivo della collaborazione di un PR a Londra, purtroppo deceduto un anno fa). Credo che questi aspetti sono ben apprezzati dai musicisti con i quali collaboro. Cerco di essere professionale, serio e attento ai dettagli, ma soprattutto alle richieste degli artisti stessi.

Alla luce della tua esperienza, quali lavori o artisti consiglieresti a chi volesse intraprendere un percorso di conoscenza di queste sonorità, per evitare ascolti improvvisati che potrebbero allontanare un neofita, magari spaventato dalla lunghezza dei brani o dai muri sonori difficili da scalare?
Dal catalogo GM eviterei quelli ovviamente più sperimentali – seppur molto belli – per proporre ad esempio “The Storm Of Silence” e “Black Frost” del duo belga-giapponese Dirk Serries & Chihei Hatakeyama. In questi due lavori si fondono e muovono lentamente chitarre elettriche e bassi profondi dilatati e rarefatti. E’ impossibile rimanere indifferenti. Si è avvolti da un dolce e delicato abbraccio. Consiglio anche “Lost in Time” di Murcof, “The Great Crater” di Scanner, “The Sky Torn Apart” di Paul Schutze, che hanno un approccio più descrittivo e cinematico, e che credo possano far presa immediata su un neofita. Ci sarebbero poi tutti i lavori di Brock Van Wey / bvdub (compreso “Equilibrium” fatto insieme a Netherworld), molto visionari ma al tempo stesso melodici e malinconici. Infine quelli che hanno elementi di musica classica, come ad esempio il mio ultimo album “Vanishing Lands”, “Descending into Crevasse” del duo napoletano Retina.it, oppure “Smooth Inertia” di Stefan Weglowsky appena uscito su GM. Se dovessi invece consigliare artisti che al momento sono fuori dall’orbita GM, direi Abul Mogard, William Basinsky, Biosphere, Teho Teardo, Klaus Wiese, Thomas Koner, Max Richter, Nils Fraham e sicuramente altri che in questo momento non mi sovvengono.
Nel corso di una informale chiacchierata, ormai di venti anni fa, col “maestro” Klaus Wiese alla quale non rammento se tu partecipasti o meno, proprio Klaus ci spiegò che quasi tutta la scena ambient, aldilà delle singole caratterizzazioni, trattasse sostanzialmente di un Blues dilatato all’infinito, con quelle settime minori, la terza e quinta diminuite, proprie delle famose note tristi intime e malinconiche. Cosa puoi dirci in proposito?
Purtroppo in quell’occasione non sono stato presente, ma avrei tanto voluto essere lì con voi. Per fortuna ho avuto successivamente l’opportunità di conoscerlo. Commentare una citazione di Klause Wiese è impegnativo e richiede molta conoscenza. Non ci avevo pensato prima, ma ha ragione. La dilatazione verso l’infinito credo sia un termine adatto, perché è proprio in quel non-luogo che questa musica tende ad arrivare.
Nel 2023 che prospettive di sviluppo vedi per la tua Label e per tutto il movimento, alla luce delle tematiche sulla biodiversità e del cambiamento climatico, che hai anticipato di quasi vent’anni?
Da sempre cerco di andare per la mia strada non seguendo mode di alcun tipo. Non delego ad altri la gestione artistica e manageriale. I fondi economici sono i miei e questo mi permette di avere indipendenza e libertà stilistiche che altrimenti non potrei avere. I tempi non sono buoni per gestire un’etichetta discografica. Specialmente dopo la pandemia e l’avvento dei servizi streaming che hanno sostituito in parte il prodotto fisico, ma che non potranno mai arrivare alla sua bellezza e qualità sonora. Produco meno album e stampo meno copie. In questi giorni ho appena pubblicato “Smooth Inertia” di Stefan Weglowsky, e sto già lavorando al prossimo lavoro che avrà un sapore davvero speciale per me. Si tratta di “Our Forgotten Ancestors” a cura di Massimo Pupillo (bassista degli Zu) con il quale ho molte cose in comune. Ci sentiamo spesso al telefono ed il lavoro è nato un po’ alla volta. Già dal titolo si può percepire la tematica intrapresa da Massimo. Il suono è meraviglioso, pieno di dettagli ed immagini che ad ogni nuovo ascolto aprono nuovi scenari nella mente. Ne sono molto orgoglioso! Farò uscire anche altri album, ma dovrò considerare vari aspetti legati principalmente alle vendite. Nonostante tutto, vado avanti, inesorabilmente e lentamente, come purtroppo non accade con il cambiamento climatico in atto ormai da diversi anni e che, sempre più velocemente, sta impattando sul nostro piccolo e delicato pianeta. Il processo di scongelamento sta comportando effetti naturali devastanti ed incontrollabili e sempre più frequenti. Purtroppo credo che le attuali generazioni, per non parlare di quelle future, non avranno la possibilità di godere delle bellezze naturali incontaminate e glaciali della Terra. Tale fenomeno è irreversibile, per troppo tempo l’essere umano ha sfruttato senza rispetto le risorse messe a disposizione da madre natura. Noi siamo e ci comportiamo come un Virus, che attacca l’organo sul quale vive nutrendosi fino a farlo morire, o a decimarlo quasi del tutto. La Terra non può sostenere 8 miliardi di persone che necessitano di acqua, cibo e tutte le comodità immaginabili, noi non siamo in grado di dare a tutti un aiuto concreto. Come potremmo farlo se ne siamo la causa? Nel corso dei millenni i cambiamenti ci sono stati, ma sono avvenuti non per mano nostra, ma per processi naturali e in tempi piuttosto lunghi. Abbiamo costruito la riserva artificiale sotto il Permafrost (mi riferisco alla Svalbard Seed Global Vault in Norvegia) nella quale sono depositate e conservate tutte le sementi di tutti i tipi di piante del pianeta, per preservarle da un’eventuale catastrofe globale. Servirà a qualcosa tutto ciò? Io ne dubito. Non ho la soluzione, ma idealmente attraverso Glacial Movements, spero di mantenere vive queste realtà glaciali. L’attenzione deve essere sempre molto alta.

Per concludere vorrei chiederti se questo segmento musicale, ovviamente lontanissimo dalle logiche del mainstream, ha raggiunto già il suo punto più alto, o credi che: “The best is yet to come”?
Sono un nostalgico e credo che il momento migliore sia stato quello che va dalla metà degli Anni ’90 fino ai primi del 2000. Io ero giovanissimo ma ero già in ascolto. C’era una sana voglia di sperimentare, di andare oltre il limite e di scandagliare nuovi abissi. E’ stata fatta tanta strada, aperto nuovi percorsi che sono stati poi seguiti dalle generazioni successive. Tranne qualche eccezione, oggi mi sembra di percepire un po’ di banalità e ripetizione eccessiva di certe trame sonore. Mi riferisco anche alla “riscoperta” dei sintetizzatori modulari da parte di alcuni artisti che sembrano ottenere un discreto successo, ma che trovo del tutto inspiegabile. Tichitì, Tacatà, Trillillì e via dicendo, sono loops in ripetizione continua, con qualche tocco di riverbero e delay che fanno impazzire la critica “specializzata” e le masse. Forse mi sto facendo vecchio e non capisco, può essere un mio limite, ma preferisco essere limitato e godere di altro. Se Gianluigi fosse ancora qui, posso immaginare le sue recensioni su DL! Quand’è così mi tuffo nei suoni mistici di Klaus Wiese o nei vuoti siderali di Koner. Grazie amico mio per queste bellissime domande che mi hanno fatto scendere anche una lacrimuccia in ricordo dei tempi passati. Un saluto a tutto il pubblico che segue Q-Cultura!