Per celebrare la giornata mondiale sulla libertà di stampa, siamo andati a scomodare uno dei più noti e prolifici editori indipendenti del panorama nazionale. Parliamo di Giulio Perrone.
Ciao Giulio, ti ringrazio a nome mio e di tutta la redazione per averci concesso questa intervista. Il pubblico dei lettori sa chi sei, ma facciamo un passo indietro. Com’è nata la Giulio Perrone editore?
La casa editrice l’ho fondata nel 2005 insieme a Mariacarmela Leto, che adesso però non lavora più con noi, ma si è spostata a Castelvecchi. Il nostro progetto è sempre stato, fin da subito, incentrato sulla narrativa italiana, tanto che hanno esordito con noi scrittori di grande calibro per il panorama culturale italiano, come Ilaria Rossetti, Paolo Poli e molti altri. Anche oggi, con libri come Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio, prevale l’attenzione ai romanzi nostrani, per quanto abbiamo collane dedicate anche alla narrativa straniera. Importante e caratteristica è poi la nostra collana “Passaggi di Dogana”, una sezione di letteratura di viaggio, che ci porta per mano a scoprire luoghi esotici reali e fantastici. La contemporaneità ruota attorno al nostro progetto, sia nella forma narrativa che in quella saggistica.
Fondare una casa editrice è sempre un azzardo, un rischio, a volte un gioco a dadi. Quali sono state le difficoltà per ingranare nel mondo editoriale?
Beh, c’è da dire che nel 2005 il panorama culturale del nostro Paese era un po’ diverso rispetto a quello di oggi. A Roma soprattutto si era creato un humus particolare per la nascita di una casa editrice, negli anni precedenti erano state fondate Voland, Fazi, Minimum Fax, che hanno tracciato il percorso. All’epoca era pensabile creare una casa editrice nella capitale. Il problema però era quello di restare e portare avanti un percorso che avesse un senso e uno sviluppo. Il lavoro editoriale è molto complesso, si va avanti procedendo anche per tentativi e per errori, come editori ci si auspica sempre di non incappare nello sbaglio che ti farà chiudere tutto. È un lavoro che si svolge interamente all’interno di un raggio di concretezza non indifferente.
Quali sono i valori che contraddistinguono la tua azienda?
Il nostro obiettivo è quello di riuscire a sviluppare un progetto di qualità che sia anche sostenibile. Quindi fare dei libri belli, di qualità, non solo dal punto di vista dei contenuti -che rimane comunque l’elemento primario- ma anche sul lato grafico e fisico del libro è la nostra mission. Poi ci occupiamo di far arrivare i libri al giusto pubblico, per poter in questo modo investire su altri scritti e altri autori. È un collegamento chiave, questo: i libri fanno altri libri.
La libertà di stampa di un editore indipendente

Oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa. Parliamo di questo concetto. Come concepisci, da editore indipendente, la libertà di stampa odierna in relazione al passato? C’è davvero libertà di scrivere e pubblicare ciò che si vuole, quando la nostra società è ancora scossa da grandi tabù e un’infiltrante rivolta di perbenismo?
Io penso di sì. Nella dimensione di una casa editrice più piccola puoi avere più libertà perché i tuoi libri sono indirizzati ad una nicchia di pubblico. Nelle grandi realtà, invece, ci possono essere pressioni economiche e sociali. Certo è che con alcuni temi si fa più fatica, perché non vengono appoggiati dalla maggioranza della popolazione. Per esempio, pubblicheremo tra poco un libro di una scrittrice sinti, e per abbracciarne la cultura ci vorrebbe una divulgazione più ampia di informazione. Ma nell’ambito degli editori indipendenti viene esercitata la libertà, con l’intenzione di portare avanti progetti importanti. Per quanto mi riguarda, ho sempre pubblicato ciò che volevo.
Come dicevamo, hai lanciato tantissimi scrittori che si sono affermati nella letteratura contemporanea del nostro Paese. Quali caratteristiche cerchi in un testo per essere pubblicato dalla tua casa editrice?
Cerchiamo il talento, la voce, un modo diverso di raccontare le storie che un autore ha rispetto agli altri. Certo, bisogna valutare anche la forza dei contenuti, della trama, ma l’elemento fondamentale è e rimarrà la voce. Questo soprattutto per gli esordienti. Si ricerca l’originalità, un modo diverso di raccontare storie.
Lo scrittore e l’editore di conseguenza, ad oggi, secondo te, ha un ruolo sociale? La letteratura può di fatto cambiare le menti e i pregiudizi della mentalità odierna?
Io penso di sì, è una scelta. Non demonizzo in alcun modo chi fa letteratura prettamente commerciale e di intrattenimento perché anche quella ha un valore, ma se si vuole si può portare avanti un progetto che scateni un dibattito sociale e civile. È una scelta di fondo che l’editore deve fare. Magari non su tutti i libri, perché la commerciabilità di uno può permettere ad altri due scrittori con temi “più impegnati” di venire pubblicati. È un esercizio di impiego delle risorse.
Quando si punta sulla cultura

Hai puntato tutto sulla cultura, un settore in crisi nel panorama italiano. Come si è evoluta la casa editrice per rimanere a galla nei tempi moderni? Cosa è accaduto con il covid?
Le problematiche sono sempre di natura finanziaria. È vero che l’Italia non è un Paese di grandi lettori. Si fa fatica a tenere in piedi un progetto culturale, devi sempre inventarti modi nuovi per far raggiungere i libri al pubblico. Il covid all’inizio ha portato un elemento di positività, perché con lo stare chiusi in casa si è ripescata l’abitudine di leggere un buon libro. Tuttavia, non ha impiegato molto ad arrivare la controbolla negativa quando il covid ha iniziato a scemare. Tanti pensavano che sarebbe continuata l’esperienza positiva, ma non è stato così. Si sono ricercate altre forme di intrattenimento.
Il tentativo è sempre quello di trovare nuovi modi per far circolare i libri e proporre qualcosa che tocchi i temi della contemporaneità. Questo soprattutto per far avvicinare i giovani alla lettura, giovani che vogliono leggere esperienze che loro stessi stanno vivendo. E poi, importanti sono le nicchie di lettori, ognuna ha un proprio argomento di riferimento.
Abbiamo parlato di passato, della storia della Giulio Perrone editore e del presente. Adesso tocca al futuro. Cosa ti auguri che accada nel settore editoriale per i giorni a venire?
Spero che venga accentuata l’attenzione delle istituzioni a sostenere progetti che hanno come scopo quello di sviluppare e far circolare la cultura. Mi auguro che appunto ci sia più sensibilità verso l’aspetto culturale. E poi che si costituisca maggiore alleanza tra editori, editori e librai, tutte le “case della cultura”, per far capire che da solo nessuno ha la forza per opporsi alle difficoltà e ai problemi. Per esempio, se io vedo che un libro di un’altra casa editrice vende, non lo vedo come un concorrente, ma come una possibilità che un buon libro possa destare l’interesse del pubblico anche per altri volumi. La solitudine non è mai la strada, né nella vita, né nell’editoria.
Un grazie di cuore a Giulio Perrone.