Per la giornata mondiale dei blogger, abbiamo avuto l’onore e il piacere di ascoltare attraverso la sua voce la storia e gli obiettivi che si è posta Marta Perego, faro di cultura nel mondo dei social e nel giornalismo odierno.

Marta, grazie per aver accettato il mio invito. Molti conoscono il tuo volto, la tua voce, la tua personalità dai programmi culturali che vediamo in tv e dalle tue piattaforme social. Ma com’è nato tutto? Quali sono i primi passi da compiere per diventare una blogger e giornalista culturale?
Posso dire che si arriva soltanto coltivando una passione sincera, la componente vocazionale è molto alta. Non è assolutamente facile, io non ho seguito un percorso di studi canonico per diventare una giornalista, il mio è stato più un cammino creativo. Ma il sogno di diventare giornalista l’ho coltivato fin da bambina, per la passione smodata che mi univa ai libri. Ricordo che una volta mio padre, anche lui giornalista ma di ambiti molto diversi, mi portò in redazione a vedere il suo lavoro. Rimasi incantata dalla scrivania della collega addetta alla cultura, che aveva un tavolo strabordante di articoli e di libri. In quel caos mi sono riconosciuta. Come ho detto, non ho avuto un percorso di studi per diventare giornalista, mi sono laureata in economia dei beni culturali. Poi, uno stage fatto in una rete televisiva privata mi ha aperto le porte. Da lì ho iniziato a condurre trasmissioni tv. Per Class Life, un programma che parlava di moda e lifestyle, cercai il direttore e gli proposi di parlare di libri. Lui incredibilmente accettò. Poi sono arrivati molti programmi, come Ti racconto un libro su Iris e la collaborazione con XStyle.
Come si è originata la passione per la lettura, la filosofia, l’arte e la cultura in generale?
La passione per la lettura è qualcosa che mi ha trasmesso mia madre, quando, la sera insieme a mio fratello minore, ci leggeva le storie. Ricordo che Peter Pan era la mia preferita in assoluto, adesso non voglio scendere nei dettagli psicoemotivi che mi legano a questa storia, ma insomma da lì ho sviluppato un rapporto viscerale con i libri. Ero una bambina timida, solitaria, le pagine, gli scritti e i libri erano un modo per formarmi ed educarmi. Quando avevo 7 anni volli a tutti i costi intervistare l’autrice di Pippi Calzelunghe, Astrid Lindgren, così grazie all’aiuto della maestra di inglese le scrissi una lettera. La mia vocazione per il giornalismo già si era formata: redassi una serie di domane e, inaspettatamente, l’autrice mi rispose. Fu molto emozionante perché i libri li considero un rifugio, un luogo dove scappare da me stessa e al tempo stesso trovare lati di me che non avrei conosciuto in altro modo.
La filosofia, invece, l’ho studiata al liceo, mi piaceva, ma il professore era troppo severo. A quel tempo la ritenevo astratta, poco incline ad una concretezza che ricercavo. L’ho ritrovata in pieno lockdown da covid e, come molte discipline umanistiche, mi ha aiutato a compiere un rito di passaggio nella mia vita di adulta, tanto che ho deciso di perseguire un master in Filosofia. Adesso la racconto attraverso i social, perché mi piace condividere ciò che ha un effetto su di me. Se ci mettiamo in ascolto, i libri e la filosofia ci offrono dei territori di sincerità, per entrare in contatto con il nostro Io profondo.
L’avvento dei social e l’universo dei blogger

Chi sente il nome di Marta Perego ha una garanzia di trovare sui social degli apporti culturali di spessore. Come è iniziato il blogging culturale?
Io lo chiamo social journaling. Cerco di creare un dialogo costante con la mia community. È un modo di lavorare per crescere e far crescere il mondo intorno a te.
Tutto è iniziato per puro caso e per necessità. Ho sempre utilizzato Facebook per condividere i miei contenuti, mentre su Instagram sono approdata tardi, intorno al 2017. Lo usavo a livello privato, pubblicavo qualche foto sporadica. A partire dal 2019, Instagram inserisce la funzione dei video e dei reel, le dirette etc. Ho iniziato a giocare con questo tipo di contenuti. Ricordo che il primo video risale all’ottobre/novembre 2019, in un momento difficile della mia vita. Recensii un film. Poi nel 2020 è arrivata la pandemia e tutti i programmi televisivi con cui collaboro si sono arrestati. Allora mi sono detta: “Cosa faccio?”. Bene, quello che ho sempre voluto fare: organizzo dirette con scrittori. In questo modo ho suscitato l’interesse di molti lettori e da lì ho imparato poco a poco a comunicare meglio. Non seguo mode o tendenze, comunico in maniera personale. I social mi hanno insegnato che l’aspetto principale è la costanza, non esistono trucchi o segreti per crescere come molti sostengono. Io lavoro giorno per giorno, ho una crescita organica, non ho mai avuto esplosioni, ma nemmeno dei veri momenti di stallo. Di grande rilevanza è anche inventarsi un proprio linguaggio. Perché una persona mi deve seguire? Un utente ti segue se sei originale, se trovi la tua voce e racconti i contenuti nel tuo modo personale. Questo lo si trova nel tempo, io ho imparato facendo, come tantissime altre cose nella mia vita. Se mi fermo troppo a pensare, ad organizzare, finisce che non ne faccio di niente. Hai presente la citazione di Carrie Fisher “Abbiate paura, ma fatelo comunque, quello che è importante è l’azione”? Ecco, questa sono io.
Da poco hai costruito la tua personale piattaforma MyFlâneuse. Quali sono le sue finalità?
Tantissime attività che promuovevo e facevo sui social -penso agli incontri filosofici e alle passeggiate flâneuse- avevano bisogno di un luogo fisico per dare qualcosa alla community. La piattaforma è ancora in via di definizione, qui organizzo le cosiddette challenge letterarie, una sorta di book club di confronto in cui si leggono insieme libri soprattutto di autrici, ma sono capitati libri scritti anche da autori. Recentemente abbiamo parlato di Sylvia Plath, l’intramontabile Virginia Woolf e molte altre. Scegliamo sempre libri che toccano argomenti di interesse esistenziale per l’essere umano. Nella piattaforma si può trovare anche uno spazio personale per scrivere ciò che si vuole da parte della community, un modo per dare spazio alla crescita e al dialogo. Poi ci sono gli incontri offline, le già citate “passeggiate flâneuse”. Sono delle vere e proprie passeggiate all’aperto in cui organizzo un tragitto che è stato di interesse per uno scrittore o un libro in particolare. È una modalità per respirare a fondo i libri, oltre al luogo classico della libreria.
Celebre e molto seguita dai lettori è anche la tua newsletter. Quando hai cominciato a scriverla?
Anche questa forma di contenuto è nata durante il lockdown. Inizialmente ha rappresentato un modo per toccare alcuni argomenti che non sono molto fruibili sui social. Ha un grande seguito, è vero, e per questo sono molto grata. La cadenza è di una volta a settimana, con un argomento sempre diverso. Lo spunto lo prendo da un fatto di cronaca, oppure da un libro in particolare che mi ha suscitato un certo tipo di emozioni e riflessioni. È uno spazio che mi permette di creare delle connessioni culturali da condividere con la mia community, per poter crescere insieme. Mi dà molta soddisfazione, perché vedere ciò che pensi e scrivi interessa alle persone non ha prezzo. In molti mi rispondono e io cerco di stabilire un dialogo con tutti.
Dietro le quinte della vita di una blogger e giornalista

Com’è una tua giornata tipo?
Lavoro molto da casa e ogni giorno mi dedico ad attività diverse, ma connesse tra loro. La mattina mi alzo, passo il tempo con mio figlio Orlando finché non arriva la tata. A quel punto mi dedico a varie attività culturali, come leggere i libri, preparare le interviste, i contenuti social, scrivere la newsletter.
I contorni della mia giornata non sono definiti perché l’etichetta “giornalista culturale” in realtà abbraccia moltissimi ambiti. Studio molto, soprattutto i libri e i loro autori, i concetti che vogliono toccare, ciò che sta intorno alla storia. Cerco sempre di andare oltre, di approfondire le tematiche, quindi non è questione soltanto di leggere un libro. Ciò che i libri fanno è darti le parole per ciò che non sapevi, esse stesse ti aprono le porte per dei significati nascosti, degli spazi di senso che sono personali. Leggendo libri trovi il modo di dire determinate cose che altrimenti non riusciresti a concretizzare in un pensiero coerente.
Da quando è nato tuo figlio Orlando, parli molto del rapporto e dell’equilibrio tra lavoro e maternità. Come concili le due cose?
Ecco, questo è un tema che sento molto vicino. Nell’ultimo libro di Antonella Lattanzi si dice che “non ci hanno insegnato ad essere delle donne ambiziose che vogliono essere anche madri”. Io penso che la genitorialità non sia un cristallo fermo, ma piuttosto un territorio fluido, in totale cambiamento. Tante cose cambiano quando nasce un figlio, io vedo la maternità come un momento creativo, una possibilità di creare una relazione straordinaria con qualcuno che hai creato proprio tu. Natalia Ginzburg mi ha aiutato molto in questo passaggio. In un’intervista con Oriana Fallaci, afferma che diventare madre la spaventava. Il terrore cieco più assoluto era quello di non riuscir più a scrivere. Invece ho scoperto che si può essere noi stesse anche nella maternità. Se si dice a tutto no, un secco rifiuto, si finisce per diventare aridi. Nel momento invece in cui si trova la propria forma, tutto diventa possibile. Io ho un’idea di famiglia in movimento, non fissa o cristallizzata, forse anche meno borghese, tant’è che Orlando partecipa attivamente a molte delle mie attività.
Adesso è nato un tuo podcast: A colazione con Orlando. Parlaci di questa tua nuova sfida.
Il podcast lo faccio insieme al mio compagno, Andrea Zirio, la mattina quando Orlando deve fare colazione. È simpatico, divertente, mi piace molto. Io vengo dalla tv, questi linguaggi li conosco e mi sono sempre trovata bene. Il podcast è uno strumento che mi piace perché è un luogo di approfondimento e ti permette di usare la tua voce e il tuo racconto. È fruibile in qualsiasi luogo, io lo vedo come la possibilità di una formazione continua. Ne ascolto molti per la mia continua formazione, per occupare quegli spazi che sarebbero sennò perduti, come un tragitto in auto.
Non solo giornalista e blogger, ma anche scrittrice. Di libri ne hai scritti molti, l’ultimo che è uscito, per i tipi di Vallardi edizioni, è “La verità è che non ti piaci abbastanza: ridefinire l’amore a partire da noi”, con la collaborazione di Valeria Locati. Come è stata l’esperienza di scrivere questo libro?
È vero, avevo già scritto dei libri, ma a questo tengo molto perché racconta tutti i temi che abbiamo citato fino a questo momento. Parla di amore, di coppia, dietro è presente un grande studio e una lunga indagine per ricercare le risposte a domande che avevo. Ho creato nel libro un percorso fatto di connessioni, di sociologia, di filosofia, con anche stralci di vita personale.
Scrivere un libro è faticoso, ma ti dà la possibilità di mettere ordine e chiarezza a tutto ciò che pensi di aver capito. Siamo tutti vittime di pregiudizi sociali, culturali, familiari, prima o poi arriva quel momento in cui non ti senti più in linea con l’idea di una felicità preconfezionata. Allora inizi a cercare tu stesso il significato delle cose e per me questa ricerca passa attraverso le parole degli scrittori, dei filosofi, degli psicologi, dei sociologi.
Molte donne mi scrivono che il libro è stato un grande aiuto nei momenti di buio, di dolore, di crisi. Penso che trasformare le ferite in feritoie sia essenziale, perché ti dà un varco per il futuro, per poter cambiare. Anche i grandi dolori alla fine sono un varco.
Il libro è una sorta di contenitore di riflessioni, non mi voglio mettere sul pulpito ad insegnare perché non ne ho assolutamente le competenze, ma voglio aiutare. Anche a far capire che la solitudine fa parte dell’esperienza umana e non deve più farci paura.
Un grazie di cuore a Marta Perego.